4 maggio 2017

Verso la finale del Millennium


Fettine di Coppa: semifinali (andata)

Quando la primavera rigogliosa sboccia (o almeno dovrebbe) e arriva il tempo delle semifinali di Coppa, per chi ama il football è ora di gustare l'attesa e di sognare grandi partite. Otto sfide, quattro per ciascuna competizione, che promettono equilibrio, emozioni, forse sorprese. Distribuite in dieci giorni, dal martedì della prima settimana al giovedì di quella successiva. La speranza è sempre di arrivare alla seconda settimana con esiti in bilico, punteggi in fieri, partite come cantieri ancora aperti, potenziali capolavori la cui bellezza solo alla fine - riscorrendone immagini e istanti e la progressiva assunzione di forma e significato - potrà essere veramente ammirata e considerata degna (ma, se lo sarà, non vi sarà bisogno di ragionare molto)  di essere fissata nella memoria per un tempo più o meno lungo: quello che si saranno meritato.

Questa volta, inutile negarlo, un po' di delusione c'è. Con quanta 'eccitazione' potremo vivere le gare di ritorno delle semifinali di Champions League in programma allo Stadium (martedì prossimo) e al Manzanarre (mercoledì)? Poca, pochissima. La superiorità dei Blancos e della Juventus si è dispiegata senza considerevoli opposizioni nella prima partita; è parsa anzi più netta e limpida di quanto si potesse prevedere. E i severi risultati incisi sul registro ufficiale del torneo dalle due grandi d'Italia e di Spagna non potranno essere cancellati e ribaltati dalle loro contendenti se non a fronte di eventi davvero imprevedibili, illogici, irrazionali (che, è vero, qualche volta fanno pure capolino nel football).

I colchoneros non sfatano il tabù madridista nel derbi con platea continentale. Da quattro anni l'ordalia si rinnova. Simeone ci è andato vicino una volta ma, in Europa, contro i Blancos - chiunque li guidasse - non l'ha ancora spuntata. A differenza di quel che accade nelle competizioni domestiche. Qui, nel medesimo periodo, l'Atletico vanta una supremazia discreta: sei vittorie in quattordici partite (di Liga, di Copa, di Supercopa), quattro pareggi e altrettante sconfitte. Anni in cui il titolo non è mai andato al Real, che ha rastrellato in patria solo una Coppa del Re. Meno dei rivali. Ma il conto l'ha presentato nelle sfide infrasettimanali in diretta planetaria e nelle notti di Milano e di Lisbona. Da quando Mou è partito, le Merengues giocano queste partite con meno angoscia, Carletto gli ha regalato la forza dei nervi distesi, e ora Zizou li guida con il carisma del sorriso, dell'eleganza innata, della propria leggendaria statura nel calcio. La grandezza del club è (da sempre, ma oggi sembrerebbe ancora di più) soggiogante anche nei confronti delle potenze arbitrali. Chiedere lumi ai dirigenti del Bayern. Del Bayern, non del Silkeborg ...

Cristiano inizia la sua micidiale serata

Anche la Juventus è un dream-team, una raffinata collezione di galacticos non percepita come tale nel comune sentire. Ma gli innesti di quest'anno la dicono lunga. Per dare l'assalto alla coppa, Allegri è stato rifornito accuratamente. Con Dani Alves, venuto per giocare 'queste' partite e non certo quelle col Pescara o il Crotone. Con Pjanic e Higuain, gente di altissimo livello ancora affamata, capace di eguagliare per tecnica e peso i reparti delle concorrenti. Il pacchetto arretrato è (ancora oggi) di valore assoluto. Non ce n'è un altro così solido e affiatato, nel panorama mondiale. E c'è sapienza tattica, 'conoscenze' (direbbe Arrigo Sacchi), consapevolezza di essere arrivati al top. Due finali in tre anni parlano chiaro. La formula magica, il 4-2-3-1 varato qualche mese fa, è però un grande esperimento di catenaccio dissimulato, il rimedio escogitato per consentire a tutti i big di andare in campo, con un grande patto di collaborazione e assistenza reciproca. "Volete giocare tutti? D'accordo, ma dovete farvi il mazzo, correre il doppio e pensare soprattutto a difendere. Altrimenti rimetto Sturaro e Rincon". Questo dev'essere il discorso di alta strategia indovinato da Allegri dopo la partita di Firenze. E, da allora, vediamo Higuain (non solo il 'generosissimo' Mandzukic) frequentare zolle di campo su cui nella sua già lunga carriera non aveva mai sgambettato, tanto lontane sono dalla porta avversaria. Ma è gente di qualità. Molto pericolosa nelle ripartenze veloci. Anzi: letale.

Higuain conclude la sua letale serata

Dunque, a Cardiff le grandi di Spagna e d'Italia si ritroveranno per la loro seconda storica finale, che è poi la seconda in tre anni per entrambe (la terza in quattro per i Blancos). Sarà per il Real la quindicesima e la nona per la Juventus; dice la storia (anzi, l'albo d'oro) che le Merengues non steccano quasi mai l'acuto finale, cosa che invece (è risaputo) capita di frequente alla Juventus. 

Questa volta, se nessuna delle due avrà gravi problemi di organico o clamorosi scadimenti di forma, partiranno allineate. Con uguali chance. Due gruppi di campioni che hanno messo tacche in migliaia e migliaia di partite internazionali. Non sono dunque e ovviamente nel fiore della gioventù. Soprattutto quelli in maglia bianconera, la cui formazione scesa a giocherellare nel giardinetto monegasco vantava un'età media di 31 anni precisi precisi, più alta di oltre cinque anni rispetto a quella della truppa francese, e di quasi tre rispetto a quella calcolata nell'undici madridista che ha scientificamente raffreddato la brace cholista tra i canti del Bernabéu. Sarà difficile per entrambe sfruttare le minime debolezze dell'avversario. Potrebbe essere una finale lunga, interminabile. Bloccata. Dovessi individuare un duello decisivo, direi quello tra i due mattoidi terzini brasiliani ...

Un pronostico? Ci sarebbero analogie con situazioni del passato, per chi vuole fare esercizio tecnomantico o scaramantico sulla finale del Millennium (inteso come catino gallese). Per esempio, proprio nel '98 la Juventus si liberò del Monaco in semifinale, ma trovò poi sulla sua strada Predrag Mijatović (c'è sempre un Magath nel destino). Per esempio, la stessa Juventus potrebbe chiudere la fase degli scontri a eliminazione diretta senza incassare una sola rete, come fece l'Arsenal nel 2006. Performance notevoli, ma che furono anticamera della sconfitta, per la Juve nel '98 e poi per i Gunners (che si arresero alla lunga contro la nascente Philarmonica blaugrana, addestrata allora da Francolino Rijkaard). Non sembrano tuttavia configurarsi come maleficio guttmanniano, come indizio probabile di cicli vichiani. Perché allora, contro il Real, remano la statistica (nessuno ha saputo bissare un trionfo con questa formula) e la tradizionale osticità della Juve (più spesso uscita vittoriosa da una doppia sfida di coppa); anche se, nelle partite secche (la finale del '98, lo spareggio del '62), gli spagnoli hanno sempre prevalso. 

Intanto, nell'Europa più 'piccola', è tornata ieri sera a brillare la stella di una antica squadra: più che una squadra un simbolo, un patrimonio inestimabile del calcio europeo e mondiale. Una squadra di ragazzini terribili, che nello stadio intitolato a Johann Cruijff ha forse conquistato un bel pezzo di finale della coppa di minore prestigio. Il grande nume ha portato bene, non era scontato che i bambini facessero a pezzi l'Olympique Lyonnais. Sarebbe bello vederli in una finale inedita,  opposti a un altro club di antichissimo blasone, il Manchester United, nelle frescure di Solna, il 24 di maggio.

Mans