21 ottobre 2013

Godi, Fiorenza, poi che se' sì grande ...

15 dicembre 1998, Firenze. 
Fiorentina-Juventus 1-0: al 58' Batistuta
Si tolleri la citazione dantesca del titolo: quindici anni dopo, il calcio regala, finalmente, un'emozione. Un campionato prodigo di cori razzisti, polemiche, scontri, violenza e diritti tv, la «grande macchina» montaliana di denaro, scommesse, ingaggi e disingaggi (Trentadue variazioni, 1973), ogni tanto genera un fiore. Un giglio, stavolta. Il 15 dicembre 1998 Lulù Oliveira dalla trequarti di sinistra serviva un traversone, apparentemente innocuo, per la testa di Gabriel Omar Batistuta. La catatonia di Igor Tudor, vigoroso centrale spalatino dei bianconeri, abbandonava Peruzzi, solo ed inerme, alla mercé dello spietato goleador di Reconquista. Uno a zero, ennesima zampata del Re Leone, the one and only, non la sbiadita copia basca ammirata ieri in maglia bianconera che risponde al nome di Fernando Llorente Torres. 

20 ottobre 2013, Firenze
Fiorentina-Juventus 4-2: l'incredula esultanza dei viola
In questa riedizione del big match Fiorentina-Juventus, lʼennesima delusione del tifo viola era ormai già confezionata: una squadra apatica, stanca, macchinosa, spuntata e mai verticale pareva ormai in balìa della corazzata bianconera. Ma in 15 minuti accade l'imponderabile: i nuovi entrati Mati Fernandez e Joaquín destano la compagine di casa e rivitalizzano il vero fenomeno viola, Pepito Rossi, degno erede dellʼindimenticato Batigol. Tre goals e il tripudio, tanto atteso, sotto gli occhi di 40.000 increduli, estasiati tifosi. 

Il campioncino italo-americano è tutto fuorché un personaggio: discreto, silenzioso, umile, timido, lontano dal glamour e dalla mondanità. Papà di Fraine, nell’Alto Vastese, mamma di Acquaviva di Isernia. Non eravamo più abituati a calciatori del genere, senza l'ormai insostituibile corteo di modelle, notti in discoteca, sfuriate in campo, creste e vezzi da superstarMa, citando Pasolini, «il capocannoniere di un campionato è sempre il miglior poeta dell’anno» (Il calcio “è” un linguaggio con i suoi poeti e prosatori, 1971). 

Fraine (Chieti).  Rossi nel paese 
d'origine del padre Fernando, 
scomparso nel 2010
Guardando Rossi palleggiare nel riscaldamento prepartita, si riscopre quella poesia, la passione pura per il calcio; in quegli sfoggi di destrezza lo vediamo retrocedere romanticamente all'infanzia, lontano dai danarosi contratti e dalle prime pagine dei tabloids e del gossip più becero. A quell'infanzia ci accompagna, nella sua semplicità: quando anche noi sognavamo, in strade di quartiere mal asfaltate, di calcare palcoscenici prestigiosi con indosso la casacca della propria squadra del cuore. La degna cornice del Franchi coccola il suo anti-campione: è il piacere di calciare un pallone, è ciò che fa sperare, anche se invano, che in fondo è ancora, solo, calcio. Il rito, la rappresentazione sacra, il simulacro, il teatro, la gioia, l'inganno. Come diceva il Trap, «il pallone è una bella cosa, ma non va dimenticato che è gonfio d'aria».

Duca