30 ottobre 2012

Davvero super

28 ottobre 2012, Estadio Monumental "Antonio Vespucio Liberti", Buenos Aires
Le due gradinate rivali del Boca e del River Plate unite da un filo

Confesso di non saper resistere alla voglia di buttare giù due riflessioni sul superclásico di Baires, che ho visto in un mazzo di partite dei campionati inglese, italiano e spagnolo nell'ultimo week end. Certo, la prima ora di Chelsea - Manchester United è stata la più spettacolare di tutte, ribadendo l'attuale superiorità qualitativa della Premier. Certo, vedere in azione la fluidità del Barça anche in un campo minore come quello di Vallecas lascia credere che ci troviamo di fronte probabilmente per davvero alla squadra più bella di tutti i tempi, che gioca a memoria e con intensità - e divinamente - allo stesso modo contro chiunque, che sia il Real, il Chelsea o il Celtic. Certo, la crescita di personalità e di risultati dell'Inter guidata da Stramaccioni sono tangibili e la pragmaticità di chiudersi dietro e ripartire - che già era stata la chiave della finale della Next Generations Series [vedi] - comincia a riattivare le sinapsi con le grandi Inter di Picchi, Suarez e Mazzola, o di Samuel, Etoo e Milito. Certo, una partita con una squadra di Zeman è sempre come farsi un giro sulle montagne russe. Certo, quel gol di Luca Toni, con quell'avvitamento rapidissimo, resta un bagliore memorabile [vedi].

Ma la diretta dal primo pomeriggio di Buenos Aires, con il vento e le nuvole dell'incipiente primavera argentina, è stata qualcosa di ineguagliabile, difficile da restituire nelle emozioni. Non sono un amante particolare del campionato argentino, la cui cifra media ritengo modesta e spesso noiosa, e dunque credo di argomentare liberamente, senza feticismo. Ma le immagini che arrivavano dall'Estadio Monumental "Antonio Vespucio Liberti" della Ciudad de Buenos Aires (imprinting indelebile dell'inverno calcistico 1978) andavano all'essenza del gioco più bello del mondo nella sua festa, nel suo pathos, nella sua violenza [25 feriti]. Lo spettacolo delle gradinate è forse il solo a poter eguagliare, con tutt'altro linguaggio, le radici mancuniane del When Saturday Comes degli stadi inglesi: i colori, i fumi, le urla, i palloncini e le carte colorate che volano in campo e vi rimangono per tutta la partita, raccogliendosi nelle reti, intangibili come vacche indiane; la folla di portoghesi che si accalca ai bordi del campo; il clima rusticano che pervade ogni angolo; e finalmente il gioco. Modesto, ma calcio, grande calcio, allo stato puro. Tesissimo, aggrovigliato, pedatorio, con qualche perla gettata lì. Autarchico: dei diciotto giocatori entrati in campo solo 4 uruguagy e un "francese" (il nostro vecchio David Trezeguet) gli stranieri; gli altri tutti argentini, compresi i 14 in panchina e i due allenatori. Dominio del River per 70 minuti, poi un rigore casuale e la beffa del pareggio del Boca al 91°. Una doccia emotiva.

E - sopra a tutto, indimenticabile suggello - il "cerdo volador" coi colori "xeneizes" innalzato dalla gradinata inferiore dei Millonarios sotto il naso ai tifosi del Boca durante l'intervallo, "probably a first in football history", come scrive il compassato Indipendent [leggi]. Sì, la storia del calcio ha compiuto la sua ennesima rigenerazione rituale nel santuario del Monumental il giorno di Eupalla 28 ottobre 2012.

CA River Plate - CA Boca Juniors 2:2
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Commento di Jonathan Wilson (Guardian



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