26 giugno 2012

In lode di un grande italiano

Certo, dobbiamo ai ragazzi in campo la bella impresa di questo europeo, Andrea Pirlo su tutti, per il quale non riesco a trovare le parole adatte a descrivere il sentimento, misto di impressione e commozione, che mi avvince e turba ogni volta che lo osservo ricevere il pallone, girarsi sulla sinistra accompagnando la palla con uno o due tocchi brevi proteggendola col corpo dal mastino di turno avvinto alle calcagna, alzare lo sguardo, vedere lo spazio e lanciare maestosamente verso destra: non è solo una performance, è un atto performativo se vogliamo riconoscere, come avrebbe fatto Cesare Segre se non disdegnasse la pedata, la natura linguistica del suo stile. È certamente lui che, insieme agli altri nostri Azzurri, corre, scambia, lancia, difende e segna e fa segnare.

Ma è Cesare Prandelli a sceglierli e a decidere di mandare in campo quelli che ritiene che siano i giocatori più adatti alla sua idea di gioco. "Il calcio 'giocato' è il futuro" ha detto nella conferenza stampa dopo l'impressionante dimostrazione che ha saputo dapprima immaginare, e poi predisporre e creare, nei 120 minuti contro l'Inghilterra. Ciò che mi ha colpito di più di questa ennesima bella partita della sua gestione è stato il ritmo, il forcing (come si diceva anni fa), la determinazione che la squadra ha messo nel secondo tempo supplementare. Quanti inutili tempi supplementari, attanagliati dalla paura e rassegnati ai rigori, abbiamo visto nei nostri decenni di voyeurs? E quante poche volte, spesso azzurre (da Italia - Germania all'Azteca), li abbiamo visti così intensi e spettacolari? Con Balzaretti, Nocerino e Diamanti come protagonisti, oltretutto ...

15 novembre 2011, Palazzo del Quirinale, Roma
Tre generazioni di Italiani
Domenica gli ho dato affettuosamente dell'invertito per spezzare la tensione dell'attesa di quelle ore interminabili. In serietà, Cesare sta avviando una rivoluzione culturale della nostra tradizione. C'è in lui un senso limpido e morale dell'impresa, che attinge la sua semplicità al buon senso delle radici contadine. Non c'è alcuna retorica nella sua missione, nessuna cultura del sudore (deterso) e della sofferenza (lauta), nessun operaismo (milionario). C'è invece - a mio avviso - uno dei portati più nobili e antichi del nostro grande paese: la cultura, la ricerca, il piacere per il lavoro, artigianale o intellettuale (o, come il calcio, la sintesi di entrambe le cose), fatto bene. Come lo sono le ville palladiane, la scrittura della storia, i vestiti di sartoria, la fisica nucleare, l'industria meccanica di precisione o il cinema dell'epoca di Antonioni e Fellini.

Anche per questo Cesare è un grande italiano, che mostra il volto più bello e migliore del nostro paese. Il palcoscenico europeo lo ha fatto scoprire alla critica beota degli altri (più "seri"?, ah ah ah ...) paesi, per la quale la nazionale italiana è, appunto, una sorpresa, avvinta, come è (la Beozia, intendo), allo stereotipo del "catenaccio" (cioè della mafia, spaghetti e mandolino). Cesare ha restituito dignità e moralità a una nazionale avvilita dall'annunciato disastro sudafricano. E lo ha fatto perseguendo l'idea del gioco, della ricerca, dell'applicazione, del lavoro serio e alla fine, inevitabilmente, appagante. Soprattutto, ha saputo infondere nell'ambiente la sua visione e avviare, così, la sua rivoluzione culturale.

Di questo è stato capace perché è persona esemplare, di grande tempra morale e serietà, come dimostra il suo percorso di vita, mai urlato, mai sopra le righe, radicato in solidissime basi (la famiglia, l'educazione, il lavoro, la caritas). Il suo è un profilo pubblico ormai conosciuto e ammirato in tutto il paese, dagli appassionati di calcio, ma anche dalla gente comune, dalle donne, dagli anziani e dai bambini, che riconoscono nel suo sorriso dolce e nei suoi tratti gentili un modello possibile di cittadinanza e di italianità. Ero con Cibali allo stadio la domenica successiva alla morte di sua moglie, affrontata da Cesare con dignità, compostezza e fede sincera e non ostentata. Eravamo più di 40.000 perché si giocava un Fiorentina-Inter. Fu tributato un minuto di silenzio. Che fu silenzio assoluto, senza applausi vacui. Un silenzio commosso, protratto, interminabile, insopportabile. Che serrò la gola a molti e ne solcò il viso di lacrime. Non erano solo l'affetto e la riconoscenza di una tifoseria. Era anche l'ammirazione per la persona.

Senza alcuna retorica, dobbiamo essere fieri di Cesare Prandelli, uno dei più grandi italiani di questo inizio secolo. Ce ne sono milioni come lui, per fortuna, che vivono quotidianamente senza i fari addosso e che fanno del nostro paese un grande paese. Ma sfido chiunque a indicarne dieci di migliori nella sfera pubblica della politica, della classe dirigente, della cultura, e dello sport stesso.

Azor