21 agosto 2017

Tra furgoni e milioni, VAR e palloni


Il giorno è arrivato: quello della foca brasiliana, del suo esordio nel Qatar Football Club al Parc des Princes. Proprio un paio di giorni dopo la strage sulla Rambla, organizzata da una cellula di quell'altro 'stato' che emiri e sceicchi (si dice) proteggono e finanziano. Questa relazione è puramente provocatoria, ma di quel sostegno si parlò (e non poco) dopo l'attentato parigino del 2015 anche nelle cronache del football (vedi qui), oggi l'argomento pare fuori moda. 


Se la bottega del Barça è aperta, allora anche lo sceicco (cugino di Al Thani) proprietario del City ha il diritto di andarci a fare la spesa; ed ecco che filtra l'indiscrezione delle indiscrezioni: il cartellino di Messi (che non ha ancora rinnovato il contratto) non è poi così caro, per lorsignori. Basta convincere lui, la Pulce. A differenza di Neymar, tuttavia, Messi non è solo un bravo giocatore sudamericano venuto a sviluppare la sua carriera in Europa. Messi è cresciuto in Catalogna. Messi è il calcio. 

Sceicchi ed emiri seminano il terrore in questa maniera: non lanciano camion e furgoni su folle inermi, ma tonnellate di denaro nelle casse di club e calciatori. Allo scopo di impadronirsi di un gioco che il fondamentalismo sunnita aborre e vieta di praticare. C'è qualcosa che stona o inorridisce, da qualunque punto di vista si guardino le cose. Le complicità sono diffuse, le analisi dense di contraddizioni, e dunque fermiamoci qui.

Parliamo di calcio.


La partita del week-end era senz'altro quella di Wembley, transitorio home degli Spurs. Ospiti i campioni in carica; star designate: Kane, Eriksen, Alli. Dei Blues potevano e dovevano fare un solo boccone, per tanti motivi. Ma il Chelsea ha un DNA ormai italiano, dai tempi di Vialli, Zola, Ranieri, giù giù fino a Di Matteo e passando ovviamente per Mourinho, cioè l'unico allenatore al mondo che da anni non si vergogna più di erigere – quando serve – barricate umane gigantesche davanti alla propria area di rigore; ora anche Conte, perché a Conte (come a Mourinho) non piace perdere e ormai ha anche il diritto d'infischiarsene del bel giuoco, ha un titolo da difendere e nessuna collaborazione (a sentir lui) da parte dei suoi datori di lavoro. A Wembley questa squadra di campioni ha messo in campo otto giocatori di movimento normalmente abituati a curarsi più di difendere che di attaccare. Alcuni (gli esterni) lo sanno fare, più (Alonso) o meno (Moses) bene, ma certo attaccano con giudizio, non scriteriatamente. Alonso ha timbrato una doppietta giovandosi chiaramente di una prestazione non mirabile di Lloris, ma va detto che l'unica rete degli Spurs porta il nome del centravanti di riserva del Chelsea, l'inguardabile (e anzi, per quanto si è visto finora, inutile e dannoso) Batshuhayi. Una bella partita dai sapori antichi, in uno dei teatri più prestigiosi (anche se rifatto, ha ancora un suo perché), e dunque sia ben chiaro che per sfilare il titolo a quelli là i pretendenti dovranno sudare parecchio. D'altra parte, prima o poi anche Hazard tornerà a fare il suo lavoro.

Anche la Liga è iniziata, anche la Serie A. Mesto il 2-0 del Barça, normale il 3-0 (esterno) del Real, bello il 2-2 interno del Girona (club catalano all'esordio nella Primera División) contro l'Atletico, ma sono stati due punti buttati, in superiorità numerica, la banda del Cholo a dieci minuti dalla fine era sotto di due. Poi, alla distanza e specie di questi tempi, la qualità migliore dei singoli ha la meglio e detta la sua legge.

In Serie A goleade e inizio morbido per tutte le 'grandi' o presunte tali, il VAR ha risolto qualche problema e qualcun altro lo ha trascurato. La musica di Juve e Napoli è sempre la stessa (va beh, la Juve quando gioca in casa non ha problemi, le 'piccole' sanno che non c'è trippa per gatti e si esercitano nel pressing alto, così tanto per accompagnare il picnic con un allenamento che potrà tornare utile in altre circostanze), il Milan sembra molto migliorato, l'Inter più affidabile. La Roma sgraffigna tre punti a Bergamo più per fortuna che per merito, ma certo l'Atalanta migliore di un anno fa – per ora – non sembra. La Lazio è inchiodata dalla coraggiosa Spal. Questa sintesi brevissima ma ricca di luoghi comuni non può interessare a nessuno: alzo le mani (dalla tastiera) e saluto cordialmente gli eupallici, ovunque essi si trovino in questo scorcio d'agosto.

Mans

9 agosto 2017

Lo scarpone al centro del villaggio

Fettine di coppa: Supercoppa Uefa 2017

Dovrebbe essere il peggiore, e segna gol decisivi in partite che vedono anche i pinguini al Polo Nord, per dire della loro importanza. Il peggiore, il più scarso, anzi lo scarsone, lo scarpone, il frangiflutti, l'interditore, il corridore, il protettore degli estri, l'assicuratore degli astri miliardari. Sono solo dicerie messe in giro dalla critica calcistica, perché poi lui va in rete proprio in quelle partite, fulminando i portieri da fuori o dentro l'area e di prima intenzione, colpisce traverse, sforna assist. Certo, recupera anche palloni. Non è che li sradichi: li calamita. Sembrano errori di tocco e di misura, sembra la modestia degli avversari; forse ha la capacità di sparire e ricomparire sulle linee di passaggio quando ormai la traiettoria non può essere corretta. Ma sì. Casemiro vale un Ronaldo, è lui la vera anima del Real. Casemiro ha cambiato la storia del Real quanto e forse più di Cristiano: al centro del villaggio c'è lui, pagato a suo tempo da Florentino la stessa cifra investita dal Milan per garantirsi i servizi pedatori di Borini (per dire). E lì in mezzo ce l'ha messo Zidane, uno del quale Mou ha detto qualcosa tipo "non si capiva se volesse fare l'allenatore oppure no", come a sottintendere "non si capiva cosa ci facesse a Madrid, se non l'icona di se stesso", vai a sapere. 

Carlos Henrique Casemiro: non sta intercettando il pallone;
lo sta scaraventando alle spalle di De Gea, di prima intenzione.
Forse in fuorigioco, sì, ma è solo un dettaglio

Zizou ha meriti incontestabili nella costruzione della squadra che, oggi, ha una dimensione che supera e di parecchio la semplice attualità del football. Il Madrid di questi anni si è installato decisamente e inopinatamente (chi l'avrebbe detto?) nella storia del calcio, e si tratta di una cosa non discutibile alla luce della nonchalance, della facilità apparentemente irrisoria con cui ormai domina le partite che contano. Il Real di Zidane interpreta e riassume diversi tipi di calcio: calcio di possesso lento e di gestione, di pressing, di contropiede. Di meglio in giro, oggi, non c'è, e quando il ciclo sarà finito anche i detrattori potranno ammettere che questo è stato probabilmente il Real più forte di sempre, più forte dei Galacticos di Zizou (appunto) e Ronaldo, forse apparentabile al protostorico prototipo di don Alfredo e dell'asso ungherese. Forse, Zinedane sta per diventare nel mondo Real qualcosa di analogo a quello che è stato Cruijff nell'universo ajacide e barcellonista. L'uomo di una svolta. Della svolta più inattesa e sorprendente. Forse, dietro la sua sorridente modestia, c'è una determinazione feroce molto simile a quella che nel 2006 accompagnò le sue ultime esibizioni sul campo, da dominatore assoluto, fermato solo da un insulto di Materazzi. Quell'errore gli è costato molto, ma potrebbe averlo cambiato definitivamente. E' un uomo che trasmette calma e sicurezza ai suoi uomini; ansia e isteria - ingredienti tipici del Real negli anni di Mou - sono spariti dal repertorio dei Blancos, anche quando il gioco si fa duro e difficile.

"José, ma sì, quasi quasi ti vendo il gallese.
Casemiro? No, Casemiro no. Non se ne parla nemmeno"


Il buon Mou, invece, ormai offre qualcosa di interessante solo quando si presenta in conferenza stampa. Guida una squadra che, in due anni, ha già messo sul mercato 300 milioni di euro, un terzo dei quali investiti per riprendere Pogba. Ecco, il declino di Mou è evidente (al di là dei risultati che in qualche modo lo tengono a galla) dalla difficoltà di riuscire a mettere in efficienza una macchina strepitosa (per fisicità e abilità tecniche) come quella del francese. In un anno, il suo rendimento è scemato, la sua posizione in campo è diventata variabile, i suoi errori una costante. Pogba, oggi, è più somigliante a Kondogbia che al Pogba juventino. La cosa fa abbastanza tristezza. Fa tristezza anche vedere l'UTD concedere al Real, dopo la rasoiata di Casemiro, cinque minuti di possesso palla ininterrotto, un torello da allenamento. Fa tristezza, paragonare questa dell'UTD a una qualsiasi delle versioni (anche le più raccogliticce) ammaestrate da Ferguson. Forse, a Old Trafford saranno contenti di lui, che l'anno scorso roba (anche se di valore non eccelso) in bacheca ne ha portata; non a caso, i suoi desideri vengono esauditi (Lukaku, Matic, Lindelöf, rispettivamente 85, 45, 35 testoni) con una certa puntualità (ora ha detto di volere Bale, e chissà). Ma produce un calcio prevalentemente difensivo e sostanzialmente approssimativo, ben al di sotto di quel che pretendono la tradizione del club e il suo prestigio (e il suo seguito) planetario. 

"Fotografo, è l'espressione giusta?
Ho l'aria di uno che si sta spremendo le meningi per escogitare
la soluzione del problema?"

Mourinho, ormai, non ha più calcio da insegnare (ammesso l'abbia mai fatto). Perpetua la propria leggenda grazie alle abilità comunicative, al fascino del suo palmarès. Ma è palesemente, come si suol dire, bollito. Le sue reazioni in panchina sono quelle di un allenatore sedato, più che seduto sui propri ricordi. Il calcio cambia in fretta, lui è sulla breccia da lustri. Essendo un uomo di successo, potrebbe cambiare mestiere. Riuscirebbe ugualmente a rimanere sulla ribalta.


Mans