22 maggio 2017

Ove si narra di come non sia sempre vero (anzi) che vince il campionato la squadra che subisce meno gol

Cartoline di stagione: 2016-17, considerazioni finali

La stagione volge al termine, anche se restano in agenda appuntamenti di rilievo: le finali delle due coppe, l'europeo Under 21 e alcuni turni dei gironi di qualificazione al mondiale. Ma i tornei nazionali, gli scudetti, i piatti d'oro e d'argento, almeno per quel riguarda i paesi calcisticamente più rilevanti, sono ormai assegnati. Qua e là, ieri o l'altro ieri è calato il sipario. Ci sono stati verdetti a sorpresa? Uno solo davvero clamoroso: quello che vede il Monaco svettare nella Ligue 1 a dispetto del colosso parigino. Inimmaginabile, impronosticabile. Un'impresa storica, che mette temporaneamente fine all'egemonia parigina, durata quattro anni, e dunque arenatasi ben prima di riuscire a minacciare seriamente la sequenza dell'Olympique Lyonnais (sette titoli consecutivi, dal 2002 al 2008).

Altri esiti hanno premiato club reduci da stagioni deludenti. La Premier League, per esempio, sebbene non si possa certo dire che il primo posto del Chelsea costituisca un risultato inatteso. Ma penso soprattutto al Feyenoord, vittorioso in Eredivisie dopo quasi vent'anni; e anche allo Spartak Mosca, cui il titolo mancava da ormai tre lustri. 

Massimo Carrera: nella storia dello Spartak ora c'è anche lui

Tra i tornei considerati di minor prestigio, da sottolineare la strenua volata della gloriosa Honved, che viaggia appaiata al Videoton quando mancano solo due partite alla fine - speriamo di anon averli 'gufati'. Inutile poi rimarcare il perdurante dominio del Celtic nella 'liga scozzese' e quello del Basilea nella 'Superlega' elvetica: non hanno alternative, rispettivamente, da sei e da otto anni.

In Italia, la Juventus eguaglia il Celtic e batte ogni record nazionale. Nessun club si era mai laureato campione d'Italia per sei stagioni consecutive. Nemmeno in epoca pionieristica. Del resto, nessuno si sarebbe sognato di non considerare ovvio questo lieto fine bianconero: una signoria che si perpetua anche 'depredando' in estate le risorse (in senso tecnico, cioè in giocatori) dei signorotti più ambiziosi. E che approfitta del declino protratto e depresso che vive il calcio milanese, ormai affidato a (non si sa quanto capienti e/o sapienti) portafogli ed eminenze grige cinesi o pseudo-cinesi.

Filosofia antica del calcio italico
Tutto questo è banale e scontato. Costituisce solo una premessa al tema centrale del ragionamento che volevo proporre. In Italia, da tempo, la critica professionale indica nel rendimento difensivo delle squadre premessa necessaria ai loro successi. 'Primo non prenderle' è frase tra le più ricorrenti nel lessico pedatorio nostrano, retaggio di un'epoca (anche più di una) nella quale il catenaccio era (o era considerato) la nostra risorsa prevalente, il nostro modo più efficace per sopravvivere nel calcio a fronte di paesi e di squadre più attrezzati sul piano atletico (questo è sicuro) e talora anche su quello strettamente tecnico. Prendere pochi gol, in un torneo che negli ultimi quarant'anni è passato dall'essere lungo solo trenta partite al durarne otto in più (in sostanza, due mesi scarsi di ulteriore colluttazione agonistica), è sempre stato il sicuro viatico per lo scudetto - è quel che solitamente si afferma. Quella che finisce in testa alla classifica è da noi, quasi sempre (dicono), quella che avrà incassato complessivamente il minor numero di reti. Di qui - altro luogo comune emancipato a verità indiscutibile - l'idea che la squadra si costruisca dalla difesa. La difesa - il reparto, e anche in generale la capacità della squadra di difendersi, di proteggere la propria area, di 'concedere poco' - è la 'base' indispensabile, irrinunciabile per primeggiare. Senza solidità difensiva, ogni ambizione è destinata a dissolversi; i sogni zemaniani sono rimasti sempre tali proprio perché lui si è sempre preoccupato (ovunque allenasse) di insegnare ad attaccare e non a difendere. Una squadra 'zemaniana' produce (di default) spettacolo, ma nell'albo d'oro il suo nome non è destinato a fare capolino. Il che indispettisce i presidenti e, alla lunga, anche i tifosi.

Ma è vero, tutto questo? Sono considerazioni confermate dai numeri e dalla storia del nostro campionato? Beh, sì: è vero se guardiamo alla sua epoca più recente. Da dieci campionati, finisce in testa la squadra con il numero più basso nella casella dei gol al passivo. Ma prima?

Difesa a oltranza

Prima non era così. Anzi. Nei 76 tornei regolarmente disputati a partire dalla istituzione del girone unico (1929-30) fino al 2005-06 compreso, solo 34 volte ha primeggiato (numeri alla mano)  l'XI con la difesa più ermetica. E, se consideriamo i tre decenni compresi tra il 1950 e il 1980, cioè l'età d'oro del catenaccio all'italiana, si contano ben 17 casi in cui le squadre che si cucirono lo scudetto sulla maglia non poterono vantare il primato della porta meno battuta.

Forse ce ne sarebbe abbastanza per iniziare a ripensare la storia del nostro calcio fuori dai canoni critici consolidati, e resi perenni dal prestigio di alcuni eminenti (e grandissimi) scrittori e storici di cose del pallone. L'ultimo decennio, in effetti, costituisce l'eccezione furibonda a una regola che non era sempre valida, e che marca - oggi - una differenza tra il nostro e gli altri campionati. Già: perché il Chelsea campione d'Inghilterra ha subito più reti del Tottenham, il Real ne ha incassati più dell'Atlético Madrid, lo Spartak più del CSKA, il Monaco più del PSG, e il Feyenoord più sia dell'Ajax sia del PSV.

Come la mettiamo?

Mans