11 luglio 2016

La notte delle falene

La quindicesima edizione del Championnat d'Europe de football si è conclusa, dunque, e con il Portogallo sono ben dieci le nazioni che possono vantare almeno una conquista. Certamente, guardando alla storia e alla tradizione, non si tratta di un evento paragonabile a quelli che videro trionfare la Danimarca e (soprattutto) la Grecia; l'assenza del Portogallo da qualsiasi albo d'oro era anzi da considerare una stranezza, una lacuna, un fato malevolo. Ora la situazione è più normale, e tra i grandi paesi del calcio l'unico a distinguersi per l'assenza dalle tabulae del continente è, oramai, l'Inghilterra. Prima o poi, tuttavia, verrà anche il suo giorno. O forse no.

Il reprobo di Bissau
Immaginavamo (un po' per esorcizzarla) una finale burocratica, scontata, senza storia, già scritta. I francesi avevano organizzato da tempo il giro trionfale per la città, preparato e bene addobbato il pullman che (tra due ali immense di folla) doveva procedere a passo d'uomo sui Champs-Élysées; si saranno invece svegliati stamane increduli e speranzosi di aver vissuto solamente un incubo, un brutto sogno, un sogno inizialmente bello e giusto (il 'cattivo' Cristiano Ronaldo, che vuole tutti i palloni e tutti i record, cacciato dal gioco grazie a un'eroica e carognesca stecca di Payet), poi sempre più cupo, fino all'entrata in campo dell'Uomo Nero, il reprobo di Bissau, l'unico soggetto di cittadinanza portoghese che ancora esercita il mestiere maledetto del centravanti: Éderzito António Macedo Lopes. E' quasi notte fonda, lo Stade de France è sempre più ansioso e demoralizzato, Éderzito lavora sporco per un po', ma poi trova lo spiraglio per scoccare verso Lloris un pallone carico di veleno e di rimbalzi. Svegliatevi, cugini: la finale è finita così. L'invasione delle falene era veramente un presagio funesto. 

Éderzito (Éder per gli amici) merita qualche cenno bio-pedatorio. Come abbiamo saputo ieri sera dai telecronisti, gioca in Francia, nel Lille Olympique Sporting Club, dove si è accasato a metà dell'ultima stagione, ripudiato dallo Swansea City. Viaggia per i trenta, segna col contagocce. Con quella di ieri sera, le sue presenze nella Seleção Portuguesa sono ventinove: di queste, solo quattro le ha giocate tutte intere, così come quattro sono, adesso, i gol che portano il suo nome. Solo che i tre precedenti li ha somministrati in partite amichevoli (cioè inutili; uno persino all'Italia), che nessuno ricordava o ricorderà. Il quarto lo scaraventa di diritto nella storia del football. Accadde la stessa cosa al greco Aggelos Charisteas nel 2004: fu lui (in quell'epoca stitico centravanti del Werder Brema) a risolvere la finale (teoricamente burocratica) del championnat, organizzato dal Portogallo. La precisazione, si dirà, è superflua: tutti se ne ricordano. Senza quella rete, la carriera di Charisteas era destinata a un sicurissimo e sempiterno oblìo. Il medesimo cui era destinata la carriera di Éderzito.

A Cristiano, considerato il miglior giocatore del mondo soprattutto dai colleghi e dagli sponsor, è stato dunque riservato lo stesso trattamento che Luisito Monti adoperò nella finale del '34 nei confronti di Svoboda, il miglior giocatore della Cecoslovacchia; e la stessa cosa accadde a Puskás nel '54, durante la prima partita (non la finale, cui parteciperà zoppo anzichenò) con la Germania; e poi ancora a Pelé nel '66, messo definitivamente fuori uso in un match decisivo da João Pedro Morais (portoghese!), passato alla storia per quell'infame zompata. 

Cristiano usciva piangendo dal campo. Destino ingrato, il calcio non è solo fortuna, trionfi, reti a grappoli, palloni d'oro. E' anche ingiustizia, violenza (premeditata o no), lacrime e ginocchio fasciato per impedirgli di rotolare fuori dalla naturale sede. Sulla sua fronte, vicino all'occhio destro, mentre gli stregoni lusitani provano a rimetterlo in sesto, si adagia una falena, l'ultima rimasta a volteggiare nel distretto di Saint-Denis. "Non disperarti, sarai tu a sollevare la coppa", gli sussurra, prima di volare via, verso le altre mille luci di Parigi. Che lentamente si spengono, mentre più a sud e più a ovest lunghissima e luminosa sarà la notte, là dove l'Europa tramonta.

8 luglio 2016

Adieu, Alemania

Stacco imperioso: chapeau!
Sorprese, sì, ma l'effetto sorpresa prima o poi svanisce. Per l'Islanda ai quarti. Per il Galles in semifinale; mentre definire 'sorpresa' l'Italia è un controsenso logico e storico; e lo stesso dicasi (ma in negativo) per l'Inghilterra. I Dragoni sono stati infilzati agevolmente dalla Lusitania, come il risultato classico (conseguito già nel primo tempo) lascia intuire.  Bene o male, il protagonista è sempre lui, il numero sette: la sua squadra vince la prima partita nei 90 minuti (la prima su sei) e pesca il biglietto per Saint-Denis. Cristiano ha fatto un bel gol. Molto simile, anche nella dinamica dell'azione, a quello che Pelé segnò all'Italia nella finale del 1970 (per il confronto: qui Pelé, qui Cristiano), e va giustamente lodato. Prima, aveva fatto ridere, per le continue proteste e per un goffo tentativo di rovesciata. Ma il suo calcio solipsistico prevede ogni tanto qualche bel colpo, anche se spesso superfluo nell'economia dei singoli match, specie se di qualche importanza; mercoledì sera, l'eccezione ha confermato la regola. Con ciò, che oggi lo si esalti per il primato dei gol realizzati nelle fasi finali del campionato d'Europa è semplicemente comico. Dei suoi tanti celebratissimi record, il più inutile e forzato è certamente questo.
L'assenza di Ramsey ha pesato molto, specie sulla capacità di creare pericoli da parte dei gallesi. Restava il solo Bale, a cantare e portare la croce: ha fatto quel che poteva, certo non aiutato dalla rude scarponaggine dei suoi compagni (Robson-Kanu ha fatto intravedere il motivo per cui in Francia è arrivato senza lo straccio di un ingaggio), superati (nemmeno troppo alla lunga) dalla migliore qualità tecnica degli avversari. Il suo torneo è però da giudicare, nel complesso, eccellente. Uomo-squadra.

Neuer è gigantesco, ma Griezmann lo beffa con tocco lieve
I francesi sapevano, nel comporre il tabellone, che l'impatto con la Germania ci sarebbe stato in semifinale. Se c'è da perdere coi tedeschi - avranno pensato - meglio che ciò non accada a Parigi (l'evento avrebbe un impatto simbolico inquietante), ma - eventualmente - nella più defilata Marsiglia. Non è accaduto, la Francia prevale e ringrazia le raffinate qualità di Griezmann e la propensione a gioco contronatura di una Mannschaft declinante, che davanti ha solo fantasmi e roboticamente manda al cross (per chi?) gli esterni di difesa, che a loro volta assi non sono. Ecco: l'undici nettamente inferiore alle attese rispetto a due anni fa è stato proprio quello di Gioacchino Manicarrotolata: troppo bayernizzato e guardiolizzato, privo di attaccanti affidabili (Gomez, si sa, tende a marcar visita - come Khedira -, e Podolski viene ormai convocato solo per gestire i selfie e tenere allegra la truppa), con leggende al tramonto (Schweinsteiger, Özil), e altri pezzi da novanta in crisi d'identità (Götze, Müller) o inconsistenti (Draxler). Niente doppietta (mondiale più europeo), probabile fine di un ciclo.

Domenica sera, dunque, finale burocratica a Saint-Denis. Naturalmente i media hanno già scelto il tema, Griezmann contro Cristiano, la rivincita della finale di Champions e così via; ovviamente, la voglia di parlare di calcio non c'è. Anche noi ne abbiamo poca, in fondo. E allora diciamo solo che non si vede come il Portugal possa intralciare la marcia dei francesi verso la gloria pallonara sempiterna e il terzo titolo europeo. Non si vede, ma non è detto che un 'come' non ci sia e faccia capolino nella notte di Parigi.

3 luglio 2016

L'irreparabile

Mi telefona un amico. Negli anni pari, tra giugno e luglio, è normale. Ormai sono quasi abituato, anche se mi coglie sempre di sorpresa e, allo squillo, sobbalzo. Stavo leggendo un trattato di psico-archeologia, una disciplina nuova e affascinante, per quanto indigesta. Comunque, poso il libro e rispondo. 
Come va?
Mah, non saprei. Non so cosa pensare.
Riguardo cosa?
(Ed ecco che mi fa esplodere un petardo nell'orecchio destro).
Come riguardo cosa? Ma lo sai o non lo sai che siamo alla definitiva resa dei conti? Che questa volta, cabala o non cabala, statistiche o non statistiche, c'è poco da fare conto sulla tradizione? Lo sai che questa volta potrebbe capitare l'irreparabile?
Beh, l'irreparabile accade sempre, lo diceva anche Cesare Pavese. "La cosa più temuta accade sempre", il mestiere di vivere, Einaudi, 1952, postumo, va da sé, ultima pagina.
C'è poco da scherzare. Loro sono ventimila e noi più o meno cinquemila
Un momento. Da dove mi stai chiamando? Dalle Termopili?
No, dall'Atlantique, non senti che casino?
E cos'è, una nave da crociera?
(Arriva un altro petardo).
Lo fai apposta? Sono a Bordò, allo stadio.
Ah, allora ci dev'essere una partita. Dovevo immaginarlo (in realtà l'avevo capito benissimo). Che partita è?
Beh, è la partita (su 'la partita' si sentivano le maiuscole).
Uhm, fammi pensare. Real Madrid-Barcellona?
Seeee, a Bordò? 
Brasile-Argentina allora?
Italia-Germania!!! (lo dice con voce stentorea e alterata, dev'essere davvero una questione di fondamentale importanza per lui).
Ah ho capito, sai che roba. Non abbiamo mai perso coi tedeschi, lo sanno anche i neonati.
Sì, ma stavolta è diverso. Loro sono i campioni del mondo.
Anche noi lo siamo stati, parecchie volte. E anche quando non lo eravamo, li abbiamo sempre battuti, se la memoria non mi inganna.
E' vero, ma prima o poi l'irreparabile accade, come diceva quel tale amico tuo. E potrebbe accadere stasera. Me lo sento, maledizione. Va beh, ti saluto, devo mettermi a cantare.
A cantare?
Sì, non senti? E' partito l'inno di Mameli. Venderemo cara la pelle. Frate-elliii d'Ita-haliaaa ... 
Va bene. Buona partita.
Non mi ha nemmeno salutato, ha chiuso la conversazione così, brutalmente. Non è la prima volta che succede. E va beh.

Leggo ancora un po' (questo libro è davvero insensato), poi esco a fare due passi, le strade sono deserte. Vedo che qualcuno ha esposto la bandiera italiana, certo lo facciamo solo quando c'è il calcio, che paese bislacco. Poi torno, c'è aria di temporale. Accendo il computer, vediamo cos'è successo. Ah, abbiamo perso ai rigori. Pazienza. Stacco il telefono, non si sa mai. Sui social tutti insultano Pelé. E che c'entra Pelé? Ah no, ho capito. Pellé, ha sbagliato un calcio di rigore, che ci sarà mai di così strano. Che paese bislacco. 

2 luglio 2016

Robson-Kanu turn

A memoria, non viene in mente un giocatore capace, con una sola finta (qualcosa di simile al Cruyff turn, ma eseguita in coordinazione disperata e precaria), di mandare fuori dal campo tre difensori e ritrovarsi il pallone sul piede preferito, in posizione centrale, solo nell'area di rigore, a pochi metri dal portiere. Un rigore corto in movimento, si può dire. Hal Robson-Kanu, centravanti del Galles ma inglese (è nato a Londra) e poi naturalizzato, normalmente peraltro esterno offensivo, duecento partite e venticinque gol nel Reading, attualmente svincolato, ha azzeccato un gesto che resterà negli almanacchi. 

La sequenza
1. Robson-Kanu ha ricevuto e controllato la sfera.
Ha accanto due difensori, e un terzo pronto a intervenire
2. Portandosi avanti di interno-tacco la palla, il gallese
'sorprende' i tre difensori: sono tutti alla sua sinistra.
Per le scuole-calcio è materiale didattico utile.
I belgi fanno tutto ciò che non si dovrebbe fare: epocali!

Con la sua prodezza, i Dragoni perfezionano la rimonta (che poi rifiniscono al 90°), e infliggono al Belgio la più rovinosa e comica delle sconfitte. E nessuno, tra quanti hanno visto la partita, può reputare che sia accaduto per capriccio o casualità. No. Perché il Belgio è sopravvalutato. Perché? Perché si ritiene abbia giocatori fortissimi. Vero, forse. Ma sono tutti attaccanti, preferibilmente trequartisti. In una squadra ci vogliono anche i difensori; e occorre anche che la cosiddetta 'fase difensiva' sia organizzata. 

Jordan Lukaku
Per difendersi con così tanti giocatori offensivi schierati, occorre intelligenza, affiatamento, tempismo. Doti e abitudini che i poveri cristi messi in campo da Wilmots per sopperire all'assenza dei titolari non sembrano possedere. O forse ne posseggono un po', ma sono distratti. Vanno fuori giri. Ai tempi (soprattutto gli anni '70 e '80), i Rode Duivels erano capaci di mandare dallo psichiatra i reparti d'attacco che li affrontavano, vincendo sistematicamente la guerra di posizione. Qualcuno degli avversari finiva sempre in fuorigioco, arrivare al tiro era affare complicato. Era brutto affrontarli, e noi ne sappiamo qualcosa. Oggi, nella loro metà campo si organizzano festini, tutti i portoni sono spalancati, e persino un Robson-Kanu con loro va a nozze. 

Il cannibale
Morale della favola, da Lille - una breve pedalata per arrivare a Courtrai, passando da Roubaix -, i pedatori belgi tornano a casa, ci hanno messo pochissimo tempo. La prossima volta, forse, sceglieranno una seconda maglia diversa da quella della loro gloriosa rappresentativa ciclistica. Vedere il fratello rasta di Lukaku con la maglia di Merckx faceva abbastanza ridere, si converrà.

Quindi ecco che la prima semifinale è stabilita. Galles-Portogallo. Naturalmente i giornalisti si concentreranno sul duello tra Bale e Cristiano, e i ragionamenti sulla partita saranno limitati a questo argomento, ritenuto parecchio mediatico e piuttosto affascinante. Ci annoia il solo pensiero. Poiché intanto, e però, i lusitani saranno senza William Carvalho, e i gallesi senza Aaron Ramsey, due autentici pezzi da novanta (a occhio, l'assenza di Ramsey peserà di più). Ma il Portugal dovrebbe essere più stanco, dopo ottavo e quarto conclusi prima ai supplementari e poi ai rigori. E sarà già la sesta partita. Logica e storia vogliono che da questa parte del tabellone si giochi per il secondo posto finale; dall'altra ci sono nove coppe del mondo e sei titoli europei a disputarsi il biglietto per lo Stade de France. Noi siamo disposti a perdere questa sera con la Germania, ma a una sola condizione. Che a Saint-Denis, il 10 luglio, ci siano le colorate e allegre comitive del Galles e dell'Islanda ...

Certo, è un sogno, più che un pronostico azzardato. D'accordo, come non detto. Non chiediamo troppo: in fondo ci siamo già divertiti abbastanza.