12 agosto 2015

Prima dei calci di rigore

Affettati di coppa: Supercoppa UEFA

Di solito 5 a 4 è un risultato tipico di partite ad eliminazione terminate ai calci di rigore. Invece le due spagnole, di coppe europee titolate, hanno inscenato una partita molto divertente, godibilissima, nonostante lo scirocco che ammorbava Tbilisi, laggiù dove l'Europa è solo una nozione geografica in quella manica di terra tra due mari (solo Baku è il confine "europeo", secondo la comunità UEFA, ancor più a est). Magie di Messi, castronerie di Mathieu, scarsa tenuta dei mediocampisti blaugrana, usciti o calati vistosamente, da una parte; tenacia indomita degli andalusi, con Banega e i nuovi arrivi (Konopljanka, Krohn-Dehli e Immobile) a brillare, dall'altra. Luis Enrique ha dato l'impressione di aver preso un po' sottogamba l'impegno, Unai Emery invece, come suo solito, si è speso in piedi tutta la gara. La differenza, come altre volte, l'ha fatta Luisito Suarez. E il 5:4 è al netto, "prima", dei calci di rigore.

11 agosto 2015, "Boris Paichadze" Dinamo Arena, Tbilisi
I protagonisti delle magie e delle rapine della serata: per Pedrito siamo agli sgoccioli
gloriosi della sua avventura nel club epocale in cui è cresciuto
Quando è a pieno regime, come spesso nella scorsa stagione (contro il Real, il Bayern e la Juventus, per esempio), il Barcellona di questa gestione sembra un XI ancora più impressionante per ritmo, intensità, gioco di prima e verticalizzazione, della magnifica Philarmonica che suonava sotto la direzione di Guardiola. La differenzia una maggiore discontinuità di performance, alternando più di una volta primi tempi immaginifici (come proprio con il Siviglia in Liga nell'aprile scorso: 2:0) a secondi tempi con la spina staccata (in quella partita Gameiro pareggiò all'84°, per stare in tema). Ma magari ci torneremo sopra, perché ormai il Barça è un capitolo di storia del football, caratterizzato dal continuo "sviluppo" tattico, da Van Gaal a Rijkaard, a Guardiola a Enrique, di una comune idea di gioco: difesa altissima, riconquista immediata della palla e suo scorrimento continuo, senza portarla, in attesa di creare il varco nella linea di difesa avversaria.

Quel che voglio rimarcare qui è la festa di fútbol che gli spagnoli sono ormai in grado di inscenare quasi ovunque. Il nostro calcio "esporta" un prodotto insipido in lande asiatiche senza tradizione e senza connoisseurship. Gli spagnoli traslocano a migliaia nel cuore dell'Asia per celebrare una festa. Questa è ormai la differenza tra i due movimenti. A Pechino una brutta partita senza emozioni, a Tbilisi un condensato di cosa può essere una partita di pallone: punizioni, svarioni, tattiche, risse, rimonte, fatiche e lacrime. Una festa senza fine sugli spalti. Alla fine magari vincono sempre le solite, ma almeno facendo spettacolo e concedendolo. Senza furberie, speculazioni e nervosismi.

Il fútbol spagnolo vive un'età di splendore come non aveva mai conosciuto, cominciata con la vittoria in Coppa dei campioni del Barcellona contro la Sampdoria di Mancini, a Wembley nel 1992. Da allora ha vinto un Mondiale, due Europei, nove CL (con quattro altre finaliste), due coppe intercontinentali, tre coppe del mondo di club, sette coppe UEFA (ed EL), due coppe delle coppe, cinque intertoto, etc. Una valanga, per almeno un terzo con colori al di fuori dell'asse Barça-Real (che, peraltro, ha "mediatizzato" globalmente il Clásico proprio in questi anni). Nell'ultima decade l'accelerazione è impressionante e non dà segni di cedimento. Stiamo assistendo, talora senza adeguata consapevolezza, a una stagione di dominio senza paragoni. Come ci ha confermato la degnissima inaugurazione della stagione europea che culminerà allo Stade de France il prossimo 10 luglio. Si annunciano - sperém - 11 mesi belli pieni. Sempre sia lodata Eupalla!

Azor