15 maggio 2015

Il Gestore e i santoni scornacchiati

Fettine di coppa: ritorno delle semifinali (CL e EL)

Uno parla parla, e chissà se lo ascoltano davvero.
L'altro perde pixel e ha il sopracciglio abbassato
"Tutto mi sarei aspettato fuorché di vedere Niccolai in mondovisione”, disse un giorno Manlio Scopigno quando seppe che il suo leggendario stopper sarebbe volato in Messico con la nazionale italiana per giocarvi la Coppa del mondo. Tutto mi sarei aspettato fuorché di vedere Allegri arrivare a una finale di Champions League, pensavo l'altra sera, al triplice fischio di Real-Juventus. Già. Mentre Carletto chiude il suo biennio a Madrid tra i fischi e i fazzoletti del Bernabéu, Maximilano vede proiettata la propria carriera in una dimensione superiore (e di parecchio) a quella che si riteneva possibile per lui. "La Juve di Madrid ha incarnato diverse epoche del pallone italico. Resistente e chiusa come nei bunker trapattoniani degli anni Settanta, rapida e cinica come nei ruggenti Ottanta e insieme moderna nei cambi di modulo (difesa prima a 4, poi a 5, con trequartista e senza) secondo i dettami di Allegri, arrivato davvero oltre Conte e di parecchio. Mentre l'assatanato Antonio era tutto pancia e istinto, talvolta scomposto, il suo successore ha insegnato alla squadra a ragionare, a non avere fretta e a cambiarsi d'abito come Arturo Brachetti, mica per niente un torinese. E la Juve trasformista è davvero una grande maestra di arte varia" (Maurizio Crosetti, La Repubblica: vedi). Sarà. Qui a Milano lo abbiamo visto per anni al lavoro, e continuiamo ad essere scettici. Ora, saggiamente scelto dalla dirigenza juventina dopo l'addio di Conte, ha gestito, amministrato pragmaticamente un undici che non aveva certo bisogno di imparare a stare diversamente in campo; un gruppo bisognoso di relax agonistico, di 'conservazione' e non di 'rivoluzione'. Gente che domina la Serie A giocando la maggior parte delle partite in totale souplesse. Del resto, Allegri ha mostrato difficoltà palesi quando ha dovuto costruire (al Milan, nel secondo e nel terzo anno), meno quando ha potuto gestire (sempre al Milan, il primo anno). Sta applicando alla Juve più o meno lo stesso metodo che adoperò Fabio Capello subentrando a Sacchi sulla panca rossonera. Con intelligenza e furbizia mediatica, non c'è alcun dubbio. Tra gli allenatori, vi è chi ama seminare, chi preferisce specializzarsi nel raccogliere risultati, chi riesce a combinare le due fasi: Allegri sembra ben avviato a essere un campione del secondo tipo.

E comunque sia, va tributato un grande applauso alla Juventus e ai suoi campioni. Grandissimi e grandi e ai loro ultimi giri, come Buffon e Pirlo, Tevez ed Evra; quelli che grandissimi e grandi certamente saranno, come Pogba e Morata, destinati o meno a vivere in bianconero la loro crescita calcistica; e quelli di valore medio-alto (Marchisio, Vidal) e medio (Chiellini, Bonucci, Lichtsteiner). Ci hanno regalato la prospettiva di una serata impreventivabile; una finale, a Berlino, e contro il Barça, er mejo fico der bigonzo. Già sento i giornalisti-opinionisti-ultras antijuventini blaterare sull'esito tennistico della sfida. Mah. Se i catalani ci arriveranno dopo aver coltivato sicumera di vittoria e pensando di dover usare il pallottoliere, faranno la stessa fine del dream team di Cruijff, nel '94, ad Atene. Chi ha buona memoria, sa come andò.

La tenuta da gioco ricorda parecchio quella indossata dall'Italia
nella semifinale mondiale del 2006 [rivedi]

Dunque e in definitiva, le semifinali delle due coppe hanno assai ridimensionato il ruolo taumaturgico di certi allenatori, vincenti per definizione, visionari per vocazione, specialisti di coppa per tradizione. Si è visto il Pep - privo della classe di Robben e Ribery nonché della devastante potenza di Alaba - capace di fare solo un po' di solletico ai suoi ex allievi - sì, ha vinto all'Allianz, ma partendo da un complessivo uno a cinque, quando i catalani hanno iniziato a pensare ad altro attendendo il novantesimo. E Carletto - cui Perez ha sottratto Alonso e Di Maria per far cassa, spendendo i ricavi per James Rodriguez -, senza centrocampisti di ruolo, senza mediani e uno straccio di interditore, e soprattutto senza il signor Modric (un fuoriclasse) a dettare il ritmo, non ha estratto dal cilindro alcun coniglio a sorpresa. Nudo alla meta, Gareth Bale ha mostrato limiti tecnici inaccettabili per uno valutato cento milioni di euro nel folle mercato di questi tempi. E Benitez? Benitez è specializzato nel toppare i primi tempi, rattoppandoli nei secondi (esempio fulgido: la finale di Istanbul); ma nel pantano di Kiev i ronzinoni del Dnipro hanno praticato un calcio di totale ostruzione cui lui (Benitez) non ha trovato rimedi. Si è salvato, dunque, il solo Emery. Ma è stato molto aiutato dalla Viola, che in due partite ha buttato nella spazzatura una quantità impressionante di palloni da gol.

Così, alla fine, avremo le due finali meno pronosticate. Del resto, stiamo parlando di football, e  proprio questo è il suo bello.

Mans