27 febbraio 2015

Il Toro arrasa San Mamés

Russ cume ‘l sang

Ho imparato un verbo nuovo giovedì notte: arrasar. C'era scritto sulla home di Marca e forse era una cosa un po' malevola nei confronti dei maldigeriti baschi: “Un Toro bravo arrasa San Mamés”. Il Toro ha raso al suolo la Catedral. Ci hanno scambiati per quelli del Feyenoord? No, per fortuna tra tifosi è stata una festa, un gemellaggio non scritto. E i baschi non dovranno ricostruire il San Mamés, che l'hanno appena rifatto nuovo di pacca e stupendo.

Dovranno però riflettere su chi li ha sbattuti fuori dall'Europa League. La breve biografia degli undici in campo con la maglia del Toro può spiegare quella che molti ora chiamano favola ma favola non è. Solo il Toro dei primi anni '90 poteva contare su qualche stella (Martin Vazquez, Scifo). Normalmente, invece, il Toro è forte quando è costruito sugli 'scarti', ma quelli giusti. Come il portiere, Padelli: prima di venire a Torino aveva giocato titolare solo nel Pizzighettone. Poi ha fatto panca nobile anche a Liverpool, ma sempre panca è stata. I tre difensori centrali: Moretti ha giocato quasi 50 partite in Europa con la maglia del Valencia, poi è tornato a fare vacanza a Genova. Annoiato, forse, ha deciso per le emozioni forti e dall'anno scorso è una colonna del Toro. Maksimovic: giovane serbo di belle speranze, fisico statuario, arroganza da vendere. Sarà un crack del mercato e Cairo già si frega le mani. Glik, il capitano: preso da Bari e Palermo che non sapevano che farsene. Ha la faccia di Karol Wojtyla da giovane, ma non porge mai l'altra guancia. Darmian lo conoscono tutti: ha già giocato un mondiale ed è arrivato in granata via Palermo e Milan, che non vedevano l'ora di disfarsene. L'altro terzino è Molinaro, onesto mestierante considerato inadeguato dalla Juve, che lo ha rifilato allo Stoccarda. Poi è tornato passando dal Parma ed è arrivato a Torino a parametro zero. Dovendo sostituire Masiello, nessuno ha storto il naso. Vives giocava onesti campionati a Lecce: preso per fare una discreta serie B. Gazzi, idem: bene a Bari, acquistato dal Siena, uscito dal progetto tecnico di Ventura quest'estate, rientrato in emergenza alla prima di campionato con l'Inter: aveva già le valigie fatte per andare a giocare nello Spezia. El Kaddouri: il Napoli lo piglia dal Brescia, ma lo trova acerbo e un po' inconcludente. Viene al Toro e – solo ed esclusivamente quando gli gira la (mezza) luna giusta – illumina il prato. Don Fabio Quagliarella, come lo chiamano gli spagnoli, è il giocatore più noto. Canterano granata, ha giocato più partite quest'anno che negli ultimi quattro. Maxi Lopez: notissimo alle cronache rosa è arrivato a gennaio dal Chievo, dove faceva la riserva di Meggiorini (un altro che conosciamo bene). Quattro gol e due assist in cinque partite. Fuori dalla lista Uefa c'è Bruno Peres, preso dal Santos quest'estate. Ce lo teniamo buono solo per il campionato, con i gobbi che già tremano all'idea di vederlo partire da un'area e arrivare all'altra arrasando tutti i loro in maglia a strisce. 


Ecco, questo è il Toro 2015, la prima italiana a vincere a Bilbao in tutta la storia del football. Un Toro costruito così, con mandrogna sobrietà da Urbano Cairo. Uno fortunato e bravo a scegliere l'allenatore perchè qualunque tecnico italiano, davanti a una rosa del genere, si sarebbe rifiutato di giocare una competizione europea. E invece Ventura ha dato un senso e una libidine a tutto quanto. Libidine per noi, infinita.

Pulici

Non è mai troppo tardi

Fettine di coppa: sedicesimi di EL 2014-15 (ritorno)

Alla bella serata di coppa di giovedì sera - bella non solo per il calcio italiano ma in generale - sono mancati solo alcuni colori. Dal De Kuip avremmo preferito che le immagini fossero giunte in bianco e nero, aperte dallo storico stroboscopio dell'Eurovisione e magari introdotte dalla voce chioccia di Bruno Pizzul: da Rotterdam, infatti, giungevano echi di euronotti anni 1970s, da uno stadio di straordinario fascino, col terreno di gioco sodo e zolloso come solo nel nord del continente (memore dei vomeri profondi del sistema curtense), e le file compatte di pubblico (e di lanci di oggetti ne abbiamo visti ben altri, dalle lattine alle rondelle, in quegli anni). Da Bilbao avremmo preferito che le immagini fossero giunte dalla Vecchia Cattedrale abbattuta (per far posto all'ennesimo santuario omologato) e, soprattutto, che il nostro glorioso Toro avesse sfoggiato non un'orrenda t-shirt azzurra, ma la sua storica maglia bianca da trasferta, con scudetto, pantalonicini e calzettoni granata. Peccato, ma prendiamo atto: questo è ormai il tempo del calcio moderno, con i suoi top-player (cui la serata sembra aver aggiunto finalmente anche l'atteso Fredy Alejandro Guarín Vásquez) e il suo calcio da play-station.

Un'immagine che valeva una sigla
Per una sera, però, sono saltate molte delle inibizioni del calcio di plastica, quello che ha impacchettato quasi tutti gli ottavi di Champions, fatta eccezione per la grande lezione imposta a uno dei suoi stocafissi più immarcescibili, Arsène Wenger, da un Monaco corsaro guidato da un nostro vecchio beniamino, João Moutinho, e dalla giovane stella nera su cui aveva posto gli occhi anche l'Inter di Mancini, Geoffrey Kondogbia. I sedicesimi di Europa League ci hanno riportato alle serate di Coppa Uefa del secolo scorso, con partite combattute e dagli esiti imprevedibili. Generose di emozioni sono state, per esempio, Dinamo Kiev - Giungamp (e non tanto per l'ennesima invasione di campo), Borussia Mönchengladbach - Siviglia (forse la più bella con quella di Bilbao), Besiktas - Liverpool e Olympiacos - Dnijpro. Oltre all'exploit delle italiane, questo turno archivia la disfatta delle squadre della Premier: fuori Liverpool e Tottenham (e già si era perso per strada l'Hull), avanza solo l'Everton, mentre in CL sono già fuori l'Arsenal e mezzo fuori il City, mentre ha buone chance, pur tra molte insidie, il solo Chelsea. A conferma che, per fortuna, non contano solo i budget e i fatturati per stabilire le gerarchie agonistiche.

Quanto alle nostre, ci è tornato alla mente - per restare al bianco e nero catodico - il maestro Manzi, che ci ricordava come "Non è mai troppo tardi" per imparare. Per imparare la lezione del calcio europeo. Dopo avere snobbato per quindici anni la Coppa UEFA - e proprio nei giorni in cui il nostro ultimo vincitore, il Parma, è diventato l'emblema del fallimento criminale della classe dirigente del nostro calcio - i nostri club sembrano riaverla presa finalmente sul serio. Ma dal momento che, arpinianamente, non ci annoveriamo tra le "belle gioie" [vedi], non crediamo nemmeno che la resipiscenza sia culturale. Di vile becchime continua a trattarsi, infatti: in una fase critica in cui i bilanci cominciano a saltare come tappi, anche un milioncino di euro, brutto e misero ma immediato, fa gola come una boccata d'ossigeno al posto della canna del gas. E la promessa dei play-off di Champions (bada ben, mica dell'accesso diretto) per il vincitore dell'Ombrelliera rappresenta un balsamo dell'anima per l'angoscioso stato comatoso in cui versano molte presidenze monageriali nostrane.

Un maestro capace di fare immaginare i colori
Volgendomi al "bright side" della serata devo dapprima riconoscere che ero stato troppo pessimista nel commentare l'andata [vedi]. Lasciando da parte l'allenamento partenopeo, meritato dalla grande spedizione in terra turca, e i patemi da pazza Inter (che ha sprecato lo sprecabile e beneficiato di un Celtic ridotto in dieci, sbloccando infine solo grazie a un missile ben temperato del Guaro), tre sono state le vere imprese della serata. Al De Kuip la Roma ha finalmente ritrovato carattere e voglia di vincere, ridando senso alle gerarchie: la seconda della Serie A non può valere meno della terza della Eredivisie, soprattutto se è capace di spendere decine di milioni per Iturbe, Ibarbo e Doumbia. Al Comunale di Firenze la Viola ha scritto la pagina storicamente più pesante della giornata, mostrando come la quinta in classifica della Serie A (con fatturato di 90 milioni di euro) valga quanto se non più della settima della Premier League (che fattura, oltretutto, 215 milioni di euro). Peccato che non sia sceso in campo nemmeno un giocatore di passaporto italiano, ma i meriti di Montella sono indubbi; su 180 minuti ha sofferto solo nei primi 20 al White Hart Lane, ha concesso una sola occasione al "Franchi" (orrendamente sprecata da Soldado); per il resto ha spezzato il ritmo e le linee di passaggio all'XI di Pochettino, ridimensionando anche gli alti lai alzati ad HarryKane, che ha l'aria di essere il solito attaccane inglese (leone in casa, miciotto all'estero).

L'epopea l'ha scritta il Toro, al San Mamés, dove ha preso in mano la partita orientandola spavaldamente fino alla storica espugnazione. Va dato merito dell'impresa a Giampiero Ventura, vecchio artigiano del calcio all'italiana nel suo senso migliore, senza catenacci ma di grande sagacia tattica, che alla vigilia era apparso sereno e fiducioso. Con ragione. Con sei italiani in campo, è l'impresa più nazionale della serata. Il Torino è la decima forza della Serie A attuale ed ha prevalso sulla 12esima della Liga. Anche così si rabbercia il ranking, e soprattutto si ricuce l'autostima perduta dal nostro calcio. La Roma e il Toro dovevano vincere e sono andate a farlo fuori casa senza erigere barricate, ma giocando: secondo tradizione, ma a viso aperto.

Questa sì che era una maglia gloriosa da trasferta
Una delle ragioni della positiva stagione europea dei club italiani risiede anche nella cultura dei tecnici che le guidano: Benitez ha vinto tutte le coppe ed è una garanzia; Mancini ha fatto il visiting professor all'estero e si vede; Garcia viene da vittorie in Francia; Montella è forse il migliore allenatore italiano, con Conte, tra quelli che non hanno ancora allenato all'estero; e Ventura è uno di quei vini che migliorano invecchiando. Nelle annate trascorse i nostri club avevano affrontato l'Europa con dei tecnici provinciali, addestrati a far barricate in trasferta a Reggio e a Trieste ma dimostratisi inadeguati a livello europeo (dai Mazzarri ai Gudolin, dai De Canio ai Rossi, per intenderci). Il passo avanti è evidente.

Basterà a colmare il gap e a far tornare un po' più in alto il nostro calcio? Non è detto. Gli ottavi ci diranno se si è trattato di un fuoco fatuo. Per evitare le violenze tra gli ultras russi e ucraini la regia dell'UEFA ha apparecchiato l'accoppiamento italico peggiore tra Fiorentina e Roma. Ma il resto del programma è da leccarsi i baffi, tra echi storici e opportunità attuali. Ossi duri per le altre italiane, con il vantaggio per Toro e Inter di giocarsi il ritorno in casa contro Zenit e Wolfsbrug, mentre il Napoli prolungherà il suo inverno a Mosca. Ma ricordandoci che stiamo parlando pur sempre della serie B europea. Ad agosto avevo sommessamente fatto notare che "la EL è ormai l'unica coppa alla portata delle squadre italiane" [vedi]. A terra siamo noi con le nostre vergogne ...

Azor

26 febbraio 2015

L'equilibrio forse apparente e l'indecente presupponenza del Borussia

Fettine di coppa: ottavi di CL 2014-15 (andata)

Hakan Çalhanoğlu. Sta per segnare un gran bel gol
L'andata degli ottavi di CL è dunque consegnata alle tabulae. Unica - ma relativa - sorpresa la batosta interna dei Gunners (squadra sempre 'leggera', sempre non bene attrezzata per le grandi battaglie d'Europa), più che altro perché subita dal Monaco (spacciato anche nei pronostici meno imprudenti), club dato in disarmo di ambizioni e vivacchiante ai margini dell'alta classifica nel campionato di Francia. Come già un anno fa, i Citizens ospitano il Barça nella prima partita, e come un anno fa la perdono, seppure con passivo 'migliore'. Le due grandi favorite impattano nelle rispettive trasferte, in confronti considerati improbabili (Shakthar e Schalke). I vicecampioni perdono nello stadio-farmacia, ma possono rimediare. A occhio, tra quelle che avevano vinto il girone, unica a rischiare seriamente l'eliminazione precoce è dunque l'Arsenal. Atlético e Borussia devono rimontare un gol - i tedeschi, tuttavia, avendo segnato fuori casa - e non sarà semplicissimo. Ma sarà dura anche per il Chelsea e - forse - per il Porto.

Rispetto all'anno scorso sembra dunque esserci maggiore equilibrio. Le gare di ritorno furono allora sostanzialmente una formalità per tutte le 'grandi'. Le squadre di casa (seconde nei gironi) conseguirono nella prima partita solo una vittoria (l'Olympiakos contro lo United) e un pareggio (strappato dal Gala al Chelsea) poi vanificati; fecero sei reti e ne incassarono venti. Quest'anno, il passivo si è dimezzato, e all'attivo c'è un gol in più. Diciassette timbri complessivi sul tabellino (mai così pochi dal 2011, quando furono sedici). La tendenza è sempre la stessa, ma meno netta. In ribasso le quotazioni del Chelsea e dei Colchoneros; stabili Bayern e Real; in rialzo preoccupante (per le rivali) quelle del Barça. Stabili (e basse) le prospettive di PSG, Juve e Borussia. Sostanzialmente azzerato (salvo rivolgimenti epocali) il futuro di Arsenal e City.

Lichtsteiner sembra non credere a quel che ha visto.
Bonucci cerca disperatamente di rimediare
Chiellini vorrebbe scomparire nelle profondità dello Stadium
I nostri giornali hanno salutato con enfasi la prestazione (e la vittoria) della Juventus. Forse, e anzi soprattutto, per la desuetudine ai risultati incoraggianti a quest'altezza della competizione. Purtroppo, invece, a noi sembra di poter dire che la partita messa insieme dalla Juve, contro un avversario dalla vulnerabilità difensiva inverosimile, sia stata molto deludente. Si sono ben comprese, allo Stadium, le radici della stagione indecente del Borussia - indecente, davvero, in Bundesliga. Le ultime vittorie (conseguite contro concorrenti dirette nei bassifondi della Bundes) avevano forse lasciato intendere un ritorno alla competitività degli uomini di Klopp. Alcuni di loro, importanti e anzi insostituibili (Marco Reus su tutti) sono tornati a pieno servizio. E il 'modo' di stare in campo è tornato (ammesso sia mai cambiato) quello che conoscevamo. Quello della grande squadra, che cerca di alzare il ritmo, che tiene la pressione altissima. Che, in trasferta, cerca di 'spaventare' l'avversario ostentando sicurezza e personalità. Sette, otto uomini sistematicamente oltre la linea della palla. Spregiudicatezza cui non ha corrisposto una adeguata produzione offensiva. Poche occasioni, un gol regalato da Chiellini, molte leziosità nel palleggio. Non è più 'quel' Borussia.

Ma non è ancora la Juve che si vorrebbe. Una 'grande' Juventus, martedì sera, avrebbe goleado senza pietà e senza rimedio. Due soli gol, altrettanti gettati nella spazzatura, e nient'altro. Dopo la topica di Chiellini, venti minuti inguardabili. C'è poco da essere ottimisti. A occhio, tra le sedici, Juve e Borussia si pongono all'altezza di Basilea e Shakthar. Una delle due - ovviamente - passerà, salvando bilancio e stagione. Ma difficilmente andrà oltre.

Mans

Il portiere-vajassa

Oje vita mia

Nell'avvicinarsi alla partita casalinga contro il Sassuolo, i tifosi napoletani erano divisi in due gruppi: il primo convinto che Benítez avrebbe confermato Rafael Cabral Barbosa tra i pali, nonostante l'indigesta cassata servita a Palermo dal giovane portiere brasiliano [vedi]; il secondo invece credeva che il tecnico spagnolo avrebbe preferito il maturo Mariano Andújar, che pochi giorni prima aveva difeso la porta degli azzurri nella razzia di Trebisonda. La scelta finale cade sul portiere argentino; il modulo è l'unico che Benítez adotta (4-2-3-1), con David López e Gargano a centrocampo e Gabbiadini e Callejón sugli esterni. In avanti, con Higuain squalificato, spazio per Duván Zapata.

Nel Sassuolo si segnala la presenza di Paolo Cannavaro, per la prima volta da avversario al San Paolo dopo otto anni con la fascia da capitano. L'omaggio dei tifosi è commovente ma Cannavaro esce dopo poco più di venti minuti per un infortunio; standing ovation per l'ex capitano e gli azzurri proseguono con il solito possesso, sin prisa pero sin pausa, ma concedono alcune occasioni agli avversari.

Gli occhi di molti (e anche quelli di chi scrive) sono però spesso puntati su Andújar, anche quando la palla è lontana dalla sua zona: lo si vede sbracciarsi, dare indicazioni ai compagni, incitarli, e maledirli se necessario; una gestualità quasi teatrale (esagerata?), assolutamente in contrasto con la staticità del collega brasiliano. I napoletani, grandi gesticolatori [vedi], apprezzano comunque. Mugugni preoccupati alla prima uscita si trasformano in un applauso sentito: finalmente un portiere che non ha paura di abbandonare l'area piccola!

Un portiere-vajassa è preferito ad un portiere silenzioso,
almeno al San Paolo di Napoli

La partita scivola con lentezza, in un gioco impostato dal Napoli che si difende dai contrattacchi della squadra emiliana. Koulibaly, memore del prezzo pagato dalla squadra nel paio di occasioni in cui ha provato a gestire la sfera, regala almeno tre palloni agli spalti, dando l'impressione di essere intenzionato a spazzare qualsiasi cosa gli capiti a tiro di piede, siano anche polpacci; il messaggio è chiaro, Zaza e Berardi evitano di incidere troppo.

Duván in avanti cerca sempre di far valere la sua mole; buttarla sul fisico con Zapatone non conviene, come capiscono al 61' i difensori sassolesi. La rete che sblocca la partita è una dimostrazione di forza e agilità, con la punta partenopea che tenta più volte il tiro, ribattuto, scivola rialzandosi in un attimo per sganciare un missile dal limite e infilare il povero Consigli. Neanche 10 minuti e lo stesso Duván serve un assist per Hamšík che sigla il due a zero. Si tratta della settima rete per il giocatore slovacco quest'anno, computando tutte le competizioni, perfettamente in linea con la media delle sue annate migliori; un ulteriore indizio di come la crisi di Marekiaro stia sbiadendosi sempre più.

Un fisico bestiale, un cresta mostruosa. E una maglia di jeans...

Da qui in poi la partita si anima solo con l'espulsione di Mertens per un fallo inutile, con una rete mancata da Callejón da una posizione che solitamente lo vede concludere a rete e per una notevole parata di Andújar che fa nuovamente gioire i supporters napoletani come per un goal. Con la vittoria conquistata e la Roma ancora bloccata su un ennesimo pareggio, il secondo posto si trova a soli tre punti; la squadra di Garcia ora deve andare a Rotterdam per riscattare un altro pareggio casalingo col Feyenoord per poi ospitare la Juventus all'Olimpico nel posticipo del lunedì sera, mentre il Napoli ospiterà il Trabzonspor forte del 4 a 0 ottenuto in Turchia per poi essere ospitato dalla squadra operaia guidata da Ventura. La pressione è tutta sui giallorossi, con il Napoli che ha vinto 11 delle ultime 13 partite tra Campionato, Coppa Italia ed Europa League.

Il tabellino dei fuochisti riporta:
  • una dozzina abbondante di fumogeni, uno dei quali, lanciato sulla pista di atletica, è finalmente riuscito a incendiare un telo a copertura del sistema di impianto audio richiedendo l'intervento dei pompieri armati di estintori;
  • due bombe carta lanciate dalla Curva B ma chiaramente rivolti alla tifoseria romanista contro cui si esponeva un beffardo striscione relativo ai fatti di piazza di Spagna.
Pope

23 febbraio 2015

Il perseguitato

Cartoline di stagione: 25° turno 2014-15

C'è sicuramente del marcio in Inghilterra. Tutti complottano a uno scopo preciso: impedire al Chelsea di vincere la Premier League. I risultati si vedono: a dodici partite dalla fine del torneo, i Blues hanno 'solo' cinque punti di vantaggio sugli inseguitori, i soliti Citizens. Chiaramente c'è un complotto, e c'è un perseguitato. 

Sono solo otto (su ventisei) i matches di PL che finora Mou non ha portato a casa. Diciotto vittorie, sei pareggi e due sconfitte. Quando le cose vanno storte per lui, non è mai per merito degli altri o per demerito dei suoi. Regola che fin qui ha sopportato una sola eccezione.

Rivediamo le otto (in realtà sette) scandalose partite attraverso le sue dichiarazioni.

"Vai a quel paese, Frankie!"
21 settembre 2014
Manchester City-Chelsea 1:1
Molti la ricorderanno soprattutto perché il City ottiene il pareggio grazie al più classico fra i classici gol dell'ex. Firmato da Frank Lampard, leggenda di Stamford Bridge. Vibrante la polemica tra Mou e Pellegrini. "Abbiamo giocato 90 minuti contro una piccola squadra che cercava solo di difendersi", dice il cileno. “Io non sarei contento di giocare in questo modo. Dieci giocatori che difendono nella propria metà campo, segnano un gol in contropiede e poi continuano a difendere fino alla fine”, specifica (come fosse una novità). La risposta di Mou? "Mr Pellegrino [sic] dice spesso che non parla mai di me e della mia squadra – ha affermato il tecnico di Setubal – eppure continua a farlo. Io invece faccio quello che lui dice. Non commento le sue parole e non chiedetemi di farlo. Non mi interessano" [vedi]. Infine, alle domande su Lampard, il portoghese esibisce tutto il suo egocentrismo: "I don't speak about players from other teams, I am sorry. I don't speak about Frank. To speak about Frank is to speak about my past with Frank, the player he was for what he means in my career" [vedi].

26 ottobre 2014
Manchester United-Chelsea 1:1
Segna Drogba. Al minuto 92' 47" c'è l'espulsione di Ivanovic (secondo giallo). Al minuto 93' 34" Robin Van Persie insacca il pari. "Abbiamo giocato un buon primo tempo, ma anche un secondo tempo fantastico. L'arbitraggio? Non posso parlare, altrimenti sapete poi quello che mi succede" [vedi]. "We have a little space for our mistakes, or the referee’s mistakes ... I have no comments on the referee. I prefer just to say my feeling is we had a good first half and a fantastic second half. You know I cannot speak [about the referee]. Some can and some don’t and one of the ones who cannot speak is me, because you know what happens to me when I do. So I prefer not to speak about the second yellow card because, if I do, I have to start in the first half and go through many, many things that happened in the game"[vedi].

"No commento on the referee"

29 novembre 2014
Sunderland-Chelsea 0:0
Nessuna polemica, nonostante l'espulsione di Diego Costa. Anzi, Mou esprime la propria solidarietà nei confronti degli avversari: "They defended a lot and they defended well. It is not a crime, it is a strategy and they did well in their approach. My players tried everything. We got a little bit tired but I have nothing negative to say about my people. I think Sunderland defended very, very well" [vedi].

6 dicembre 2014
Newcastle-United-Chelsea 2:1
Prima sconfitta stagionale. Ne avevamo già parlato a suo tempo. E' la partita dominata dai ball boys di St James ... [vedi]. "Potevano esserci 20 minuti di recupero ma le cose non sarebbero cambiate perchè le cose che succedono fuori dal campo non possono essere controllate dall'arbitro. L'arbitro non può punire il raccattapalle che fa sparire il pallone o lo spettatore che se lo tiene" [vedi]. Solo sfortuna.

Fabregas diving
28 dicembre 2014
Southampton-Chelsea 1:1
E' dopo questo pareggio che Mou grida al complotto. Perché? Perché l'arbitro non ha fischiato un sacrosanto rigore per i suoi. "Tutti hanno visto che c'era un rigore per il fallo in area contro Fabregas. L'arbitro ha fatto un errore, un grosso errore, ma capita che la gente sbagli. E' un buon arbitro, un giovane arbitro, sono cose che succedono. Ma guarda caso succede dopo che Sam Allardyce [l'allenatore del West Ham] ha accusato uno dei miei giocatori di essersi buttato a terra per guadagnare un rigore. E poi un altro allenatore dice la stessa cosa. E poi un altro ancora. Partita dopo partita, c'è un coro di accuse non meritate contro di noi. E adesso un arbitro ci dà un'ammonizione invece di un penalty. Andrò dal direttore di gara, gli farò gli auguri di buon anno e aggiungerò che dovrebbe vergognarsi per l'errore che ha fatto" [vedi]. "There is a campaign against Chelsea. I don't know why there is this campaign and I do not care" [vedi]. Ecco un riassunto dei tuffi precedenti.

1° gennaio 2015
Tottenham-Chelsea 5:3
A distanza di pochi giorni, la disfatta di White Hart Lane. I Blues vincevano uno a zero, poi l'arbitro gli nega un rigore, ed è goleada degli Spurs. “I'm more shocked at other things than to concede five goals. I am shocked that, in three days, we’ve had two incredible decisions that punished us in a very hard way". Accusa l'arbitro anche quando prende la decisione giusta: “Eden Hazard told me there was not a foul or a red card when he was fouled in the second half but Mr Dowd is too slow to go with that ball – he was 40 yards away. He made the right decision, so that’s good, but he couldn't make the decision that was 10 metres away in the first half  – a crucial moment of the game" [vedi].

31 gennaio 2015
Chelsea-Manchester City 1:1
Mou ha ricevuto un bel bollettino da 25.000 pounds per le sue dichiarazioni, e così non si presenta in sala-stampa. E' subito tornato a casa, sullo stesso pullman che durante il match ha posteggiato come d'abitudine nella propria area di rigore.

Adesso è veramente troppo!
22 febbraio 2015
Chelsea-Burnley 1:1
E' l'esplosione definitiva. Matic impazzisce e si fa espellere per essersi avventato sull'avversario che, dopo aver colpito il pallone, trattiene (forse) la gamba per tacchettarlo sulla tibia (ma è cosa che si può affermare solo dopo aver rivisto l'azione al rallentatore: a velocità normale non si ha alcuna sensazione di fallo violento). Poi il Burnley pareggia. Mou lamenta due rigori non concessi, un rosso non sventolato. Definisce 'criminale' l'intervento che ha scatenato la folle reazione di Matic ("It could be the end of Matic's career. A criminal tackle. Matic is a very lucky guy": vedi). Ma stava comunque vincendo la partita e ha beccato il pari a cinque minuti dalla fine. "Probabilmente ora rischierò di non potermi sedere in panchina in occasione della finale di Coppa di Lega perché domani potrei anche ricevere una squalifica per aver parlato con voi in questo salotto. Il punto è che gli episodi a noi contrari di cui ho parlato si verificano settimana dopo settimana. Lo so, il calcio è il calcio e nel calcio qualche volta prendi, qualche volta no. Ma credo che ora sia troppo. I miei giocatori non godono del rispetto che meritano. Questo signore - il riferimento all'arbitro dell'incontro, Martin Atkinson - è uno dei migliori fischietti in Europa ma anche lui sbaglia e ieri ha commesso 4 errori chiari. Tutti vogliamo la continuità ma nel modo giusto. Un avvocato può essere continuo ma se perde 15 cause su 15, nessuno lo vuole. Se fossimo in una situazione normale, quando a volte hai decisioni a favore, a volte contro, avremmo 12 punti sul Manchester City" [vedi].

Dodici, invece di cinque. Dunque Mou ritiene di avere sette punti in meno di quelli che meriterebbe. Poiché ne ha lasciati in totale diciotto, sarebbe interessante sapere quali sono gli undici che non rimpiange.

Mans

21 febbraio 2015

Bicchieri mezzi

Fettine di coppa: sedicesimi di EL 2014-15 (andata)

A leggere e ad ascoltare i commenti della stampa italiana, la serata record di Europa League, con ben 5 squadre della nostra Serie A in lizza per accedere agli ottavi, sembrerebbe essere stata molto positiva nel suo complesso. A me non pare poi così tanto. Alla fine portiamo a casa una sola vittoria, larga. E quattro pareggi, di cui due in casa. Il solo dato positivo è, per una volta, l'assenza di sconfitte.

Il Manolo alla turca
E così ci beviamo subito il bicchiere mezzo pieno.

A ben vedere, in questo momento il Torino e la Roma sarebbero già fuori dai giochi. Inter e Fiorentina in bilico. Solo il Napoli è pressoché certo di essersi qualificato. E forse non è un caso che alla sua guida sia l'allenatore (di club italiani) più onusto di coppe internazionali. Gita turistica in Turchia. Pubblico straordinario, per calore, sostegno e compostezza nella disfatta, all'Hüseyin Avni Aker di Trebisonda. Gran bella partita, di personalità e di spessore, di Manolo Gabbiadini, che conferma su palcoscenici continentali la crescita di consapevolezza e autostima. Gol all'esordio in EL per questo non più giovanissimo attaccante nostrano, già vicecampione europeo Under 21: le porte della Nazionale maggiore (2 soli caps finora) potrebbero schiuderglisi definitivamente a breve. E' lui la stella italica della serata.

Pazza Inter, invece, come sempre. Anche al Celtic Park. Dove il club di casa coltiva il football attraverso la sua memoria, come sanno fare solo i britannici onorando la propria tradizione. Bello l'invito agli ex nerazzurri battuti nella finale di Coppa campioni 1967 a ritrovarsi insieme ai Lisbon Lions [vedi]; e peccato che siano potuti salire fin lassù solo Mariolino Corso e Gianfranco Bedin. Sul campo, sferzato dalla pioggia delle Highlands, l'XI nerazzurro del 2015 ha palesato invece i progressi del lavoro di Mancini e le debolezze strutturali della rosa: i centrali difensivi, Ranocchia e Juan Jesus, hanno confermato di essere due ronzini di razza purissima, ben corroborati da un degno castrone par loro come Campagnaro. Se nella fase offensiva la squadra ha trovato forse il suo assetto migliore (al momento), con Shaq the Shark irrefrenabile suggeritore e stoccatore, in quella difensiva il cantiere rimane aperto. E preoccupante. A San Siro è probabile che i bianco verdi non riproporranno il pressing + ritmo incessante di quando giocano nella propria tana. Ma la Beneamata farà bene a badare a non prendere un golletto che potrebbe anche rivelarsi assassino. Sperem.

I vecchi leoni
La partita più matura l'ha giocata la Viola, nella Londra del nord. Ha sofferto per 25 minuti la mareggiata degli Spurs, contenendo i danni; poi ha risalito progressivamente la corrente, con pazienza e sagacia tipicamente italica, ricucendo il suo gioco senza fare barricate ma abbassando il ritmo a tal punto da depotenziare quelle intense azioni d'attacco tipiche della Premier League domenicale. Sfortunatamente per loro, gli Spurs non hanno trovato di fronte a sé le generose difese britanniche, ma le arcigne linee difensive approntate da Montella, bravo a cambiare in corsa il modulo dalla difesa a 3 a una più larga linea a 4. Non pervenuti, di conseguenza, né HarryKane né Lamela. Al Franchi i Gigliati potranno anche agire in modo reattivo. A patto di non rintanarsi all'indietro, ma di difendersi correndo in avanti. Vedremo. Ma confido.

Il bicchiere mezzo vuoto riguarda certamente le altre due partite. Generosa e appassionata quella del Toro: non è vero però che sia stato sfortunato. L'Athletic è fior di squadra e ha giocato con intensità 90 minuti senza fare barricate, puntando a far male. Quando penso al Toro in Europa il pensiero va sempre alla Plia alzata al cielo da Mondonico all'Olympisch Stadion di Amsterdam in quella sera di maggio di 23 anni fa [vedi]. Da allora il lungo oblio internazionale a degni livelli. Giusta pertanto la festa all'Olimpico di Torino, mai così gremito in campionato (e pour cause!). Sarà, però, molto difficile espugnare il San Mames. Ma dobbiamo affidarci solo all'ottimismo della volontà.

Il Toro d'Europa
Nel giorno dell'ennesimo sacco di Roma da parte delle popolazioni barbariche d'oltre Limes, l'XI giallorosso ha mostrato tutta la sua involuzione. In tempi non sospetti avevo avanzato l'impressione che il mercato estivo della Roma si preannunciasse fallimentare [vedi], come ha poi confermato il supplemento invernale. La rosa è farcita di giocatori di mezza qualità e anziani. La squadra segue la parabola discendente del suo campione eponimo, con i suoi alti (Ethiad e derby) e i suoi bassi (le molte partite anonime, le panchine, etc.). Manca continuità. Soprattutto, è svanita la velocità esibita nell'autunno 2013. Il Feyenoord ha rischiato ma non ha sofferto. Anche in questo caso è difficile ipotizzare che la "Kuip" possa essere espugnata. Occorrerebbe una serata di particolare ispirazione del Pupone. Speriamo, ma senza illuderci.

Martedì sera, allo Juventus Stadium, i campioni d'Italia proveranno a rimisurarsi con l'Europa. Vi hanno battuto il Malmoe e l'Olympiacos, quest'anno, impattando in bianco con l'Atletico. Fuori casa hanno perso sia al Pireo sia a Madrid. Percorso perlomeno incerto. Il Borussia ha invece vinto fuori sia con l'Anderlecht sia col Galatasaray, e perso solo dall'Arsenal (ma a qualificazione già certa). Al Westfalen Stadion ha rullato sia l'Arsenal sia il Galatasaray e concesso il pari all'Anderlecht all'ultimo turno. Percorso perlomeno sicuro. Tra novembre e dicembre gli Schwarzgelben hanno vissuto una crisi spaventosa di gioco e di risultati, dovuta al calo di tensione psicologica e fisica post Mundial di molti giocatori chiave. Kloppo ha lavorato sul lato atletico nella pausa di gennaio - una risorsa cui la nostra Serie A rinuncia per raccattare trenta denari dalle gelide e deserte serate di Coppa Italia (a spese RAI) - e adesso la macchina si è rimessa a correre e fare risultati. Proprio mentre la banda di Allegri sembra essersi afflosciata. Le premesse sono preoccupanti.

Azor

18 febbraio 2015

I tre tenori del Chelsea

Fettine di coppa: ottavi di CL 2014-15 (primo martedì)

Difficile imbrigliare l'olandese, ma ci si prova
Non verrà certo ricordata come una serata memorabile di calcio, la prima degli ottavi di CL 2014-2015. Al Parc e a Leopoli, ma soprattutto a Leopoli, c'è stato poco di godibile. La mista ucraino-brasiliana dello Shakhtar, guidata da quel vecchio volpone di Lucescu, ha battagliato ferocemente e impantanato il Bayern, picchiando e facendosi picchiare, soffrendo solo alcune potenti percussioni di Robben (foto), ma non riuscendo mai a pungere in contropiede. 

Migliore il match di Parigi, forse e peraltro il più atteso del turno. Migliore, ma certamente senza alcun contributo del Chelsea, more solito. D'accordo, i Blues sono in testa alla Premier, anzi la dominano (almeno apparentemente) senza problemi, soprattutto - va detto - grazie alle magagne altrui; ma alla qualità della rosa (che Mou sta però eccessivamente spremendo) si dovrebbe chiedere un calcio adeguato, avanzato, gradevole. Giocasse di più, non è detto che produrrebbe risultati peggiori. Sono chiacchiere, certo. Questo è il football di Mourinho, sempre più cinico col passare degli anni, sempre più votato al calcolo, sempre calibrato sull'avversario, mai - se non contro le squadre ritenute sicuramente inferiori - davvero offensivo e corale. Difesa attenta, concentrazione, e poi uno tra Hazard o Fabregas, Diego Costa o Willian oppure Oscar, o magari (d'ora in poi) Cuadrado (e in panca c'è pur sempre Drogba, e c'è anche il sottovalutato Schürrle), qualche giocata decisiva la estrarrà da un repertorio piuttosto vario. E poi ci sono i calci piazzati, i corner, situazioni nelle quali i difensori in maglia blu hanno pochi rivali. Terry e Cahill; più, naturalmente, il cingolato serbo che signoreggia la fascia destra del campo.

Un XI pieno di jazzisti. Improvvisano, là davanti. Non hanno bisogno di uno spartito. Gli basterebbe il pallone. L'anno scorso, per dire, Hazard si divertiva pochissimo. Oscar, lo stesso - e non si sono tenuti la cosa per sé. Ci furono giornate in cui lo spettacolo offerto dal posizionamento del pullman nella propria area risultò davvero sgradevole (non solo sul piano estetico) anche per loro. Ieri sera il portoghese non l'ha rispolverato, mirava semplicemente a controllare la partita, a ingrigirla, ad assopirla e possibilmente spegnerla, risparmiando energie. Le fiammate del PSG parevano velleitarie. 

Dopo l'acuto
Poi, senza alcun preavviso, si è levato il canto dei tre tenori di Stamford. Tre steccate in sequenza - un cross basso e sbagliato di Terry (alla Neymar), alzato casualmente (istintivamente) di tacco da Cahill (alla Messi), e inzuccato da Ivanovic (alla Suarez) nell'angolo opposto a quello cui aveva mirato, come evidenzia la torsione - che hanno ridotto il Parco al silenzio. Un gol assolutamente estemporaneo, imprevisto, ingiustificato, uno sgorbio calcistico. Uno schiaffo alla musica del football

E ancora dopo, tuttavia, il match è stato raddrizzato dai parigini, piuttosto incacchiati. Meritavano di vincere, le occasioni - pulite - non sono mancate, i numeri del resto parlano chiaro anche se non contano nulla. Rimpiangeranno questa serata, perché fra tre settimane voleranno a Londra speranzosi di fare bottino, ma torneranno ancora una volta a mani vuote.

Mans

11 febbraio 2015

Cinque partite, quindici punti

Oje vita mia

Il successo del Napoli domenica scorsa contro l'Udinese ha confermato lo stato di ottima forma raggiunto dagli uomini di Benitez dopo un inizio stagione che, con il mancato passaggio del preliminare di Champions League, ha depresso oltre ogni misura condivisibile il pubblico e i media locali. A partire dalla vittoria della Supercoppa esotica, il Napoli sembra aver cambiato la propria disposizione mentale verso le partite, riducendo le distrazioni difensive, riuscendo finalmente a trovare maggiore equilibrio nella mediana, che pare riesca ora ad arginare meglio l'offensiva avversaria. E sorprende che sia proprio grazie al 'pacco di ritorno' Gargano e al povero David Lopez, accolto dal tifo napoletano con una serie di tweet velenosi [vedi]; sono proprio loro a garantire quell'atteggiamento più 'italiano' (come a dire, 'finalmente provinciale!') che da più parti la stampa locale chiedeva a Benitez, come se il professore di calcio spagnolo desse più retta ai giornali di area partenopea che al suo cuscino... [vedi]. Anche sulla fascia sinistra bassa abbiamo finalmente un paio di mancini che possono alternarsi senza che l'uno faccia rimpiangere l'altro e soprattutto senza adattare dei destrorsi, grazie all'arrivo di Ivan Strinić. Altro acquisto di gennaio è stato Manolo Gabbiadini, che è andato a infoltire la zona più avanzata della squadra che non necessitava di rinforzi se non per sostituire l'infortunato Lorenzo Insigne, mancato proprio nel suo momento di forma migliore.

Sarà amore eterno? Lo scopriremo in estate ...

Il Napoli è dunque la squadra che ha raccolto più punti in campionato, piegata solo dalla Juventus al San Paolo, e si trova a lottare su tre fronti, esattamente come l'anno scorso: accesso alla Champions League in campionato, sedicesimi di Europa League e semifinali di Coppa Italia. Differenze rispetto all'anno scorso? Due punti in meno nella massima competizione nazionale, ma soli quattro di distanza dal secondo posto. E ci sono due trofei in più in bacheca, che costituiscono il 20% del totale raccolto in oltre 80 anni di storia (escludendo le coppe di secondo piano).

L'Udinese all'andata aveva compiuto un vero e proprio scippo approfittando della solita distrazione difensiva, massimizzando l'unico tiro in porta con una rete e vincendo. Per il ritorno Benitez si affida a un minimo turn-over schierando Rafael in porta con davanti Albiol e Britos (oramai ribattezzato 'Brivitos' dai supporters partenopei), che può quindi rientrare nella sua posizione prediletta abbandonando la fascia ora affidata a Ghoulam, reduce dalla Coppa d'Africa, e a Maggio sulla destra. Inler e Gargano sulla mediana con Hamsik avanzato e supportato dal mancino Gabbiadini a destra e dal destrorso Mertens a mancina, mentre la punta è Higuain, in una condizione spettacolare come mai si era visto a Napoli. Saranno proprio i due esterni d'attacco dai piedi invertiti a realizzare due splendide reti nella prima metà del primo tempo, e per Gabbiadini è la prima rete davanti al suo nuovo pubblico; la seconda metà viene letteralmente regalata alla squadra ospite, che non esagera nell'approfittare di tanta generosità e stampa un tiro sulla traversa e uno poi lo piazza in rete grazie a Théréau con il contributo non proprio incolpevole di Rafael. Il pubblico del San Paolo è fin troppo abituato agli sbalzi di umore e al catastrofismo preventivo negli ultimi mesi e pertanto si va all'intervallo con diversi tifosi che manifestano il proprio disagio emotivo nei confronti del portiere, con insistenza particolare durante la sua canonica preghiera al fischio dell'arbitro. Insomma, sembrava che il 2 a 1 fosse a vantaggio dell'Udinese.
Nel secondo tempo il Napoli torna in campo più carico e riesce a schiacciare i friulani ma, come spesso è capitato nella gestione Benitez, al sostanzioso indice di pericolosità non equivale un adeguato numero di reti [vedi]. L'unica che arriva è ad opera di ancora di Théráu e sempre nella stessa porta, giusto per ricambiare il favore a Rafael e limitare le proprie prestazioni in termini fantacalcistici, fermando il risultato sul 3 a 1 che consente al Napoli di restare a 4 punti dalla Roma al secondo posto e di allontanare di altri 2 punti le quarte (ora Sampdoria e Fiorentina a meno 7).
Il tabellino dei fuochisti è scarno:
  • 2 bombe carta (in Curva B)
  • 5 fumogeni (3 in curva A e 2 in B, uno dei quali lanciato infine su un diffusore sonoro posto sulla pista di atletica). 
Si segnala comunque il perfetto lavoro delle forze dell'ordine per il sequestro (temporaneo) di una pericolosa bandiera inneggiante all'eversivo tecnico partenopeo [vedi].

Pope

9 febbraio 2015

Le molte facce dell'Atlético, l'espressione di Messi e le vergogne di casa nostra

Cartoline di stagione: 23° turno 2014-15

Colori di Madrid




In un gelido pomeriggio madrileno, i colori cupissimi delle immagini trasmesse dai monitor annunciavano già lo schianto. Il Vicente Calderón è uno dei pochi stadi dall'interno dei quali è ancora possibile vedere il cielo; quasi dappertutto, ormai, si gioca sempre e solo in uno scintillìo di luce artificiale. Biblica nelle proporzioni, la catastrofe si è abbattuta sull'armata di Carlomagno, che peraltro giungeva decimata allo scontro. Una lezione di calcio - di pressing, di concentrazione agonistica, di organizzazione di gioco - che il Real non subiva dai tempi delle sfide tra Mou e Guardiola. L'Atlético conferma di poter avere molte facce. Può, a volte, emulare i terribili e feroci Estudiantes di fine anni '60; ma può anche servire momenti di gioco veloce e raffinato. Simeon mago ha così arricchito la sua recente collezione di partite divenute leggendarie già al triplice fischio. A discolpa di Carletto e del meccanismo Real (abbastanza inceppato di suo, dopo il mondiale per club) vi è solo l'aver dovuto presentare un reparto di difesa completamente diverso da quello titolare, del quale era arruolabile il solo Carbajal, ma spostato di fascia. In mezzo al campo, giostravano Khedira (spaesato e con la testa altrove) e Isco (troppo snob per poter reggere i ritmi e il pressing dei Colchoneros). Spazzati via. Un autentico massacro, di cui il punteggio finale non rappresenta la reale entità.

Allegria del calcio - esuberanza
Allegria del calcio - gioia
Allegria del calcio - armonia

Viceversa, il Barça è squadra riaccesa negli umori e nelle prospettive. I tre davanti producono scintille di gioco inarrivabile. Soprattutto, si divertono - l'espressione di Leo è tornata 'normale', ed è già molto. Passano a Bilbao di goleada, e lasciano intravedere margini di miglioramento strepitosi. Immaginate Messi, Neymar e Suarez al top, e vogliosi di giocare 'insieme', non ciascuno per conto suo alla ricerca del santo graal. Un trio che ha tutto per scrivere pagine inedite nella storia del football, e ha davanti tutto il tempo che serve per poterle scrivere. Attendiamo curiosi e fiduciosi. 

Allegria del calcio - intesa

Mentre HarryKane torna ad imperversare nel North London derby, gli spreconi del City si fanno quasi sgambettare dall'Hull, e accumulano altri due punti di ritardo dal Chelsea - che invece passa abbastanza agevolmente a Villa Park. Modestissimo show - anzi, indecoroso - dello United a Boleyn Ground, dove il West Ham avrebbe potuto chiudere e strachiudere la partita prima di farsi raggiungere al novantesimo e oltre. Immeritato il pari, regredito e confuso il progetto di gioco messo in campo da re Aloisio. E prestazioni vieppiù deludenti di quelli su cui a Old Trafford puntavano per tornare rapidamente al vertice. Falcao è un mistero: o la Premier e i suoi ritmi non sono adatti per lui, o lui è ormai (dopo i molti infortuni) un ex grande attaccante, inadatto alla Premier; oppure, ancora e semplicemente, tra lui e Van Persie c'è qualcuno di troppo. Di Maria, invece, è l'ombra del campione ammirato la scorsa stagione, nel Real e ai mondiali. L'impressione è che, come si suol dire, non ne abbia più. Non per quest'anno, almeno. Sicché i due grandi colpi di mercato hanno prodotto, finora, poche emozioni e molta zavorra.

Gli tocca portare la croce e cantare

Spiccioli di casa nostra, a chiusura di un turno ordinario. Ravvivato però dalla solita inutile, sterile polemica. Non si parla d'altro che del mancato, ritardato, pseudo-taroccato replay televisivo dell'azione che ha portato la Juve in vantaggio nell'impari confronto con il Milan. Comunicati insinuanti da parte rossonera, risposte arroganti da parte bianconera. Uno spettacolino mediatico (con tutte le possibili ed evidenti dietrologie) che non si può nemmeno definire indegno. Un teatrino ripugnante ed offensivo per chi vorrebbe che di calcio si discutesse non solo serenamente, ma anche scegliendo temi appropriati e interessanti. In Italia invece, da molto tempo ormai, di calcio non si parla più.

Post scriptum: accolto a Linate come un Rummenigge, Poldi sembra aver già concluso la sua gloriosa parabola di titolare nell'Inter. Stabile, d'ora, in poi - fatte salve le necessità di turn-over - la sua collocazione: in panca. E' un pedatore fuori corso, e al termine del suo semestre Erasmus tornerà all'Arsenal. E poi, ci scommetto, ancora una volta a Colonia. Dove finirà la carriera: da capitano non giocatore. Dove nessuno potrà negargli una bella cerimonia di laurea: honoris causa, naturalmente.

Mans

3 febbraio 2015

Emozioni equatoriali

Quattro quarti di emozioni alla Coupe d'Afrique des nations de football 2015 in un week end di pedata europea assai più avaro di lustrini, nonostante il big match di Stamford Bridge. Quattro partite una diversa dall'altra, moltissimi gol, uno spettacolo intenso e a tratti di qualità. Ovviamente, de video, avevo sbagliato la metà dei pronostici [vedi], ma mi consolo perché anche Jonathan Wilson, de visu, ne aveva sbagliato uno [vedi].

31 gennaio 2015, Bata Stadium, Bata
Il signor Rajindraparsad Seechurn e i suoi seguaci
Entrambi davamo la Tunisia come vincente sui padroni di casa della Guinea Equatoriale, perché lo iato qualitativo e tecnico tra i due XI è abissale. Eppure ... Partita orribile fino al 90° e poi folle nella mezzora abbondante successiva, complice anche un arbitraggio - di Rajindraparsad Seechurn della Repubblica di Mauritius - che dire disastroso è usare un eufemismo. Les Aigles de Carthage hanno picchiato come fabbri dal primo minuto e controllato la partita senza patemi fino al bel gol del solito Ahmed Akaïchi, ma hanno commesso l'errore di non blindare il risultato. Così, al 92°, l'arbitro ha concesso un rigore inesistente alla Nzalang Nacional (la Nazionale del Tuono!). Freddissimo nella gazzarra inscenata dai maghrebini, Javier Balboa ha messo nel sacco portando la GE ai supplementari. Il medesimo ha poi pennellato una magistrale punizione nel sette al 102° (non "viralizzata" solo perché il suddetto non si chiama Pirlo [vedi]). A quel punto i tunisini hanno perso testa e partita (0:2). Arbitro scortato fuori dal campo dagli steward, per difenderlo dagli inferociti giocatori nordafricani: scena indecorosa, che ha macchiato un torneo finora ad allora alieno da violenze. Peccato, anche perché il signor Seechurn ha spezzato una confortante sequenza di buoni arbitraggi nella fase a gironi, con alcuni ufficiali - non solo la stella maliana Koman Coulibaly, ammirato anche ai Mondiali in Brasile - preparati, competenti, sempre vicini all'azione, assistiti da guardalinee all'altezza.

Qualche ora prima, sempre a Bata, era andato in scena il derby del fiume Congo, grondante di echi storici, etnici, bellici e politici. Il grande santone bianco del calcio africano, Claude Leroy, che aveva allenato l'ex Zaire e quest'anno è assiso sulla panca dell'ex Brazzaville, aveva provato a sdrammatizzare il confronto alla vigilia, constatando lapalissianamente che alla fine avrebbe comunque vinto il Congo [vedi]. Si temevano incidenti, perché i due paesi distano poche centinaia di miglia dalla Guinea Equatoriale. Non ci sono stati, per fortuna, anche perché il risultato è stato limpido. Primo tempo noioso, poi due reti del Congo in apertura di ripresa, grazie anche al puntuale Thievy Bifouma, che ha una spazzola di saggina sul capo, ma anche un bel fiuto del gol. A quel punto tutti si attendevano che Leroy riuscisse a blindare tatticamente la partita. Al contrario, i guizzanti attaccanti della RD Congo, Léopards di nome e di fatto, hanno azzanto la preda finendo con lo sbranare i Diables Rouges: tra 65° e 91° quattro morsi sanguinanti di Dieumerci (nomen omen) Mbokani - che qualcuno ricorderà in belle partite di Europa League giocate con Anderlecht, Standard Liegi e ora Dinamo Kiev -, Jeremy Bokila e Joel Kimwaki, sotto l'egida ispiratrice di Yannick Bolasie, che è la stella del gruppo e non solo del Selhurst Park. Una rimonta strepitosa ed esaltante (4:2), per loro e per lo spettacolo offerto. Merito anche dell'assetto conferito da Florent Ibengé, l'unico allenatore africano che si è conquistato la semifinale.

A Malabo, invece, tra Ghana e Guinea copione scontato. Se il tuo giocatore migliore è Kévin "naperon" Constant hai detto tutto: i Syli Nationale (gli Elefanti Nazionali) erano approdati ai quarti grazie al sorteggio che li ha preferiti al Mali di Seydou Keita. Ed era il loro capolinea nella giungla. Le Black Stars non hanno faticato ad avere la meglio, risolvendo la pratica nella prima ora (3:0), con una doppietta di Christian Atsu, sigillata dal gol più bello visto finora in questo torneo [vedi]. Il Ghana lo aveva cominciato male, perdendo la prima partita contro il Senegal, ma poi rifacendosi con due vittorie sull'Algeria e sul Sud Africa nel girone più qualitativo. Avram Grant, che ha assunto la guida della nazionale solo alla vigilia della Coppa, sembra aver cominciato a prendere le misure di una rosa tra le migliori, ma squassata da un Mondiale disastroso. L'assetto tattico è solido e prudente, ma non rinunciatario, i giocatori più blasonati stanno disputando un buon torneo, e la tonicità sembra in crescita. Li attende la semifinale dall'esito, sulla carta, più scontato.

1 febbraio 2015, Nuevo Estadio, Malabo
Il mediano dello Stoccarda Serey Die, sontuoso palafreniere
di Sua Maestà Gnegneri
Algeria vs Costa d'Avorio è stata una finale anticipata. Bella partita, in assoluto la migliore vista finora, per assetto tattico e per qualità individuali. Tirata. Con gli Éléphants avanti grazie a un'inzuccata senza opposizione alcuna di Wilfried Bony a metà primo tempo, il pareggio di Soudani su frittata della difesa ivoriana a inizio ripresa, il forcing delle Fennecs bruciato da una bellissima incornata "alla Santillana" sempre di Bony e il sigillo a tempo scaduto di Gervinho in contropiede (3:1). L'eliminazione dell'Algeria conferma il dato storico che non vuole vincitrici le squadre del Maghreb quando la fase finale della CAN si disputa nell'Africa nera. Ha certamente nuociuto il cambio d'allenatore rispetto al bellissimo Mondiale dell'estate scorsa: Vahid Halilhodžić aveva assemblato un XI corsaro, fondato sulla velocità e sulla verticalità; Christian Gourcuff ha puntato su un gioco più meditativo, ma le stelle attese - da Yacine Brahimi a Nabil Bentaleb, da Sofiane Feghouli a Riyad Mahrez - hanno giocato un torneo sotto tono, senza impennate. L'icona sexy del torneo, il bel Hervé Renard dalle camicie inamidate nonostante l'umidità equatoriale, ha invece infuso nell'XI ivoriano quella componente di pragmatismo che era sempre mancata alla "génération dorée", dotatissima qualitativamente ma incapace di vincere o di incidere un torneo internazionale. Renard ha già vinto la CAN nel 2012, con lo Zambia, in una finale, finita ai rigori, proprio contro la Costa d'Avorio. L'assetto tattico è maturo, con tre difensori centrali e una capacità di rovesciare rapidamente il campo grazie alla velocità di attaccanti come Gradel, Gervinho e Bony. In mezzo al campo sta facendo un grande torneo Serey Die, che i più ricorderanno per i lacrimoni al momento dell'inno nazionale al suo debutto ai Mondiali brasiliani [vedi]. Die supplisce alle carenze atletiche di Yaya Touré, che sembra afflitto da evidenti problemi muscolari. Come il Ghana, anche la Costa d'Avorio appare in crescita, dopo i due pareggi iniziali con Guinea e Mali, e poi le due vittorie con Camerun e Algeria.

Pronostici per le semifinali? In apparenza scontati: Costa d'Avorio sulla RD Congo e Ghana sulla Guinea Equatoriale. Sulla carta. Vedremo se saranno scritti, invece, sull'acqua del Golfo (di Guinea).

Azor

2 febbraio 2015

Gli squadroni della necropoli

Cartoline di stagione: 22° turno 2014-15

La partitissima di questo turno, come si sa, era in cartellone sabato a Stamford Bridge. Con le unghie e con i denti, il Chelsea ha respinto l'assedio dei Citizens. Una resistenza stremata e sfibrante, agevolata però dalle cilecche del Kun. Mou ha ripresentato il pullman, ma sta portando lentamente i suoi in prossimità dell'asfissia agonistica. Rischia qualcosa, se non cessa di praticare un incomprensibile mobbing nei confronti delle presunte seconde linee; specie perché in Champions lo attende il PSG e dunque l'ottavo teoricamente più difficile tra quelli sorteggiati per le quattro grandi d'Europa. Vista la sua abitudine al foto-finish primaverile, punto qualche centesimo sul City. 

Zouma è più alto di Milner e sui palloni che spiovono si comporta così

Ma veniamo subito alle frattaglie di casa nostra. Ecco che finalmente, alla ventunesima giornata, la scrematura in alto sembra compiuta, i primi tre posti destinati secondo logica, nel logico ordine che è poi il medesimo dell'anno scorso. Dunque un solo motivo tiene accesa la fiamma dell'interesse (per così dire) nella malinconica Serie A italiana, stagione 2014-2015: chi riuscirà a fare peggio tra Milan e Inter? 

La necropoli è disorientata, il popolo dei bar-sport disincantato, ma i giornalisti-tifosi dei talk-show in onda sulle antenne locali osservano il duello con partecipazione ostinata e crescente. Con sarcasmo ma senza ironia.

Dal canto nostro, abbiamo solo poche notazioni da proporre.

I due club, curiosamente, quest'anno non hanno provato a indebolirsi nella cosiddetta 'finestra di mercato' di gennaio con reciproche e mirate cessioni di giocatori: l'Inter ha scelto, a questo scopo, di puntare su Podolski (accolto trionfalmente a Linate dalla torcìda come fosse un Rummenigge), mentre il Milan ha identificato in Bocchetti il prospetto ideale per aggravare uno dei suoi problemi sempiterni (il quarto di sinistra della linea difensiva).

Inoltre, le due rose sono fitte di misteriosi pedatori. Da Hernanes a El Shaarawy, il cui valore è ormai imponderabile; Juan Jesus e Zapata, viceversa, costituiscono ronziname garantito e sicuro. A ragione qualcuno si domanda perché debbano guadagnare quattrini per maltrattare palloni. 

Le due truppe sono dense di giocatori presi a prestito, e non è mai chiaro se vi sia o meno l'obbligo del riscatto (è possibile che i dirigenti non la dicano tutta giusta, quando mettono a segno i loro 'colpi'). Il Messi delle Alpi. Destro. Van Gingel (boh!). Il già menzionato e famosissimo Podolski. 

In entrambe le rose vi sono giocatori di qualità accertata, quasi alta se non proprio assoluta. Kovacic e Shaqiri e Icardi, Menez e Cerci e Bonaventura. Così almeno si dice. Questa è gente - si dice - che i tifosi di almeno quindici/sedici squadre di serie A possono solo sognare di vedere con la maglia preferita. Si dice, tanto per dire qualcosa.


I due allenatori hanno idee chiarissime (e molte alternative all'idea principale) che non riescono a mettere in pratica, e stanno peggiorando il rendimento degli allenatori cui sono subentrati - in ciò si riconoscono benissimo le strategie societarie. Ma nessuno si sogna di rimpiangere Seedorf o Allegri, Mazzarri o Stramaccioni. Anzi, i due ora al timone godono di un credito pressoché illimitato presso i fideles dell'una e dell'altra parrocchia, per ciò che hanno dato temporibus illis (uno in panca, l'altro in campo).


Milan e Inter sono, in Serie A, le squadre che giocano il calcio più inguardabile. Un calcio osceno, pornografico, offensivo del comune senso del pudore - se ancora esiste qualcosa che in Italia possa essere definito 'comune' e considerato 'pudore'. Le cose cambieranno, prima o poi, si dice; i cicli - anche quelli negativi - prima o poi finiscono. E se invece, questa volta, il ciclo si fosse definitivamente assestato?

Chiazze di colori vivaci al Meazza
Ieri, in questa corsa al peggio, ha fatto meglio l'Inter. Finalmente ha interrotto la tradizione delle goleade contro il Sassuolo. Tre a uno (per il Sassuolo). Tre a uno anche per il Milan: persino il Parma è più male in arnese dei rossoneri. Al Meazza, prima della partita, non si trovava più un biglietto - nel senso che devono aver rinunciato persino a metterli in vendita. In un clima già spettrale, il silenzio calato quando Nocerino (si noti: uno dei reprobi centrocampisti scaricati e rimpiazzati da rottami - giovani e stagionati - del Chelsea), con gesto da attaccante di razza, segnava il gol del momentaneo uno a uno parmense, era lo stesso che si potrebbe ascoltare facendo due passi tra i viali del Cimitero Maggiore nel cuore della notte. 

Mans

1 febbraio 2015

L'ultima occasione sprecata

La Fiorentina spreca un'altra occasione. Forse l'ultima. E non mi riferisco al pareggio di Genova: visto l'andamento della partita e la giornata no di mezza squadra è un punto guadagnato. Mi riferisco all'incapacità patologica (o alla volontà, questo francamente non lo possiamo sapere) di questa società di fare un salto di qualità. Ho già scritto che il tecnico viola è bravo e mi auguro che resti a Firenze per molti anni ancora, ma oggi ha dimostrato come non si possa inventare uno sport che esiste da oltre un secolo. Certo Montella ha commesso degli errori (perché ostinarsi a giocare con una sola punta di ruolo? Perché Richards non gioca di più visto il fisico imponente e la condizione approssimativa di molti uomini chiave? Perché gioca Mati Fernandez in un centrocampo in cui nessuno recupera palla tranne il lentissimo Badelj? Perché insistere su Tomovic quando è chiaro che il ragazzo in serie A non ci può stare, così come Kurtic?). Di fatto, la maggior parte degli inciampi cui abbiamo assistito in stagione non può essere imputata al tecnico. La rosa è il frutto di un abborracciato susseguirsi di errori strategici, scommesse perse e tentativi di risparmiare qualche euro non rinnovando per tempo contratti che andavano rinnovati. Questo groviglio di strafalcioni è, a sua volta, il risultato di una stratificazione societaria in cui ci sono molti ruoli, come ho già avuto modo di dire, ma comanda solo uno e quello che comanda non è un uomo di calcio. D'altra parte se in oltre dodici anni questa società  non ha mai veramente lottato per lo scudetto una ragione ci sarà. La Fiorentina non è squadra da primo posto. Non lo è per motivi anzitutto numerici, quantitativi, ma le proprietà precedenti avevano almeno una volta duellato per il titolo: Pontello nel 1981/82 e Cecchi Gori nel 1998/99. I Della Valle non hanno mai portato la Fiorentina oltre il terzo posto e considerando la modestia del campionato italiano degli ultimi cinque anni è un'impresa per la quale occorreva impegnarsi parecchio. Ma non è questo che infastidisce di più. È la comunicazione con la città che non mi piace e i molti dubbi che restano dietro a operazioni-lampo che non hanno senso se non equiparando la Fiorentina all'Udinese o all'Atalanta.

Juan Guillermo Cuadrado Bello, con la vecchia maglia
Domenica scorsa, poco prima della gara contro la Roma, Guerini si è presentato in diretta Sky e a domanda diretta ha risposto che nella remota eventualità che Cuadrado avesse lasciato Firenze la società si sarebbe fatta trovare pronta per sostituirlo. Bene. Cuadrado è stato ceduto, e lo stesso Guerini torna sullo stesso palcoscenico per dire che in due giorni non si può sostituire Cuadrado. Pradè conferma le dichiarazioni del collega.  E quei trenta e oltre milioni incassati dove vanno a finire? Forse per pagare Badelj, Kurtic e Ilicic? O forse verranno investiti a giugno prossimo? Premesso che il ricavo è al netto di quanto la Fiorentina ha pagato la restante metà del giocatore all'Udinese solo pochi mesi fa e che quindi non sono i 33 o 37 milioni di cui si parla. La cifra guadagnata non compensa in ogni caso la perdita tecnica. E diciamo che quanto incassato verrà investito nel prossimo mercato estivo (anche se sono certo che domani qualcosa arriverà a coprire la fascia). Ma ora la Fiorentina è in corsa su tre fronti. In campionato, nonostante i troppi passi falsi, la Viola è a 7 punti dal terzo posto. Sono tanti, ma non tantissimi tenendo conto che anche il Napoli non è esente da scivoloni improvvisi e le milanesi paiono fuori dai giochi. C'è la Coppetta Italietta in settimana e c'è il Tottenham in coppa UEFA. Valeva davvero la pena vendere uno dei giocatori migliori adesso?
Certo nessuna società italiana può trattenere un fuoriclasse contro la sua volontà e di fronte a offerte come quella presentata da Mourinho ai Viola. Ma cedere Cuadrado a gennaio rischia di bruciare una stagione, l'ennesima, mentre tutto è ancora in ballo.

Cibali