13 gennaio 2015

Cantieri in corso

Cartoline di stagione: 19° turno 2014-15

Alcuni dei maggiori club europei hanno cantieri aperti in casa da alcuni mesi, in seguito al cambio di allenatore. E' una situazione interessante, laboratoriale, che proprio le partite dell'ultimo turno dei vari campionati invitano a rivisitare.

Le quotidiane didattiche del Mancio
Per una volta muovo volentieri dal caso italiano, perché segna finalmente un avvicinamento agli standard europei e non un'ulteriore precipitazione agl'inferi. Mi riferisco all'Inter, ovviamente, che dopo la pausa natalizia comincia a fare vedere i primi risultati del lavoro, ormai bimestrale, di Roberto Mancini. Già a Torino con la Juventus l'XI aveva mostrato una capacità di reazione dopo l'avvio incerto che gli aveva fatto sfiorare una vittoria di prestigio contro la prima della classe. I primi venti minuti della partita contro il Genoa hanno offerto uno spettacolo di intensità, ariosità di gioco e di ritmo, da entrambe le parti, quali si vedono usualmente in Premier. Per il momento sono solo spezzoni, ma la tendenza è positiva e va accolta come tale. Tre brevi considerazioni. La rosa è la stessa che sotto la guida di Walter Mazzari aveva smarrito qualità individuali e gioco collettivo: si tratta dunque di un gruppo di giocatori di livello tecnico e caratteriale di valore assai maggiore di quanto il pressapochismo del discorso mediatico e da bar non volesse ritenere fino a oggi. Il merito è tutto di Roberto Mancini, di gran lunga il migliore dei tecnici sulle attuali panche della Serie A, insieme con Rafa Benitez: le esperienze, e le vittorie, all'estero, gli hanno conferito maturità e conoscenze tali da riplasmare un ambiente come poche altre volte era accaduto nel nostro calcio in così poco tempo: non solo il lavoro sui singoli (il training di Guarin è l'esempio più evidente) ma una didattica collettiva, quotidiana, evidentissima nella disposizione in campo e nella conduzione del match. E vengo al terzo punto: orientandosi sul 4-2-3-1 (non a caso lo stesso modulo adottato da Benitez a Napoli), Mancini ha in mente un'idea di gioco propositiva, fatta di possesso e conduzione, baricentro alto e pressione difensiva nella metà campo avversaria, gioco a due tocchi, che è quella che ormai si gioca abitualmente nel calcio internazionale d'élite e che è ormai scomparsa dagli orizzonti culturali dei tecnici nostrani. E' una visione comune all'estero, quanto sconosciuta in Italia: e capace, da sola, di convincere giocatori di qualità (non dei campioni, bada ben) a trasferirsi in un "campionato di passaggio" come l'attuale Serie A e in una squadra decaduta come l'Inter. Vedremo tra qualche settimana se il cantiere avrà proseguito la sua costruzione: fosse così, Mancini avrebbe posto in pochi mesi le basi per avviare un progetto pluriennale promettente.

Una rosa qualitativamente comparabile, fors'anche lievemente inferiore, è quella dell'Olympique de Marseille, sulla quale sta lavorando da sei mesi Marcelo Bielsa. Ci sono due tratti in comune con l'Inter manciniana: i giocatori sono gli stessi che lo scorso anno avevano fallito clamorosamente la stagione sotto la guida di Élie Baup (poi sostituito in corsa da José Anigo); è cioè la qualità dell'allenatore - le sue capacità didattiche, motivazionali e di empatia - a marcare la differenza. Rispetto a Mancini, Bielsa ha avuto il vantaggio di cominciare la stagione col ritiro estivo, e dopo due mesi la squadra era già in testa alla Ligue 1, sorprendendo solo i (moltissimi) nesci. Soprattutto, rispetto a Mancini, El Loco ha un'idea di gioco, più radicale, fondata sulla corsa prima che sul possesso, più sulla verticalità dell'azione che sulla trama insistita. Il 3-3-3-1 è il modulo più adatto a interpretarla, ma ha i suoi limiti: la squadra finisce con l'essere meno compatta, le distanze tra le linee sono più difficili da mantenere: non a caso l'Olympique ha perso alcune partite per banali errori di concentrazione quando non tecnici. Da dicembre l'XI ha smarrito lo smalto esibito in autunno e palesa un calo fisico e un appannamento del gioco collettivo, come mostrato dalla secca sconfitta a Montpellier. A febbraio-marzo avremo visto se si sarà trattato della tipica fase di flessione stagionale che ogni squadra attraversa, o se il cantiere avrà incontrato dei problemi strutturali. Ma già quanto visto fin qui è stato molto positivo, come testimonia la ritrovata passione di un ambiente e di una città.

Los Tres Tenores
Ben altra qualità è quella della rosa del Barcellona, che Luis Enrique ha preso in mano l'estate scorsa: siamo ai vertici assoluti del pianeta pallonaro. Quello che manca è l'ambiente, sprofondato in una crisi etica, gestionale e politica clamorosa: i reati fiscali nell'acquisto di Neymar e nei contratti di Messi, la tratta dei minorenni nella mitica Masia, il blocco del mercato per tutto il 2015 decretato dalla UEFA, l'allontanamento di Zubizarreta e Puyol dalla direzione sportiva, il rumore delle scimitarre tra le diverse fazioni che si contendono il controllo del Més que un Club, l'odore del sangue che la stampa e i media catalani e spagnoli inseguono ogni minuto. Basterebbe questo sintetico (e lacunoso) richiamo alla situazione societaria per qualificare come ammirevole il lavoro di campo svolto finora dall'allenatore asturiano nella sfida più impegnativa della sua carriera. Un tridente come quello composto da Messi, Neymar e Suarez ha pochi riscontri nella storia del calcio (a memoria stento a richiamarne di qualitativamente paragonabili per non dire di migliori): tutto si risolve sul come farlo funzionare al meglio. Contrariamente a quanto pensino in molti, non è questione di equilibrio tattico: quasi nessun commentatore ha rilevato infatti come il Barça sia la squadra europea che ha subito meno reti finora in stagione tra campionato e Champions (9 in Liga e 5 in CL) dopo il Bayern (4+4) e la Juventus (9+4). La fase difensiva è saldissima (la difesa è bloccata a 4 senza sperimentazioni di "metodo" come avvenne a Roma), più di quella del Real, che in stagione ha perso anche una partita in più (5 contro le 4 del Barça). E' semmai l'innesco dei cannoni offensivi il cuore del cantiere ancora in corso. La vittoria splendida contro l'Atletico ha acclarato il disegno che ha in mente Luis Enrique: il tiki taka è definitivamente accantonato, se non come riflesso pavloviano episodico e funzionale alla fase di gioco; la squadra non pressa alta nella metà campo altrui come in passato, perché lo scopo è quello di creare lo spazio per lanciare in libertà i tre attaccanti, grazie alla tessitura di Mascherano, Busquets e Rakitic e alle aperture di Iniesta. Tutto qui. Ma è moltissimo. Perché non è affatto facile trovare continuità e ritmo. Il problema, soprattutto, è culturale: quasi tutti coloro che guardano giocare il Barcellona attuale hanno sempre nella memoria quello di Guardiola, e il confronto è immediato, a discapito dell'XI attuale e dell'idea di gioco di Luis Enrique. Se potesse cancellare la "storia", il Barça sarebbe probabilmente ammirato per il suo gioco attuale e per partite come quelle di domenica sera: lo spettacolo offerto dai Tre Tenori là davanti è stato memorabile.

I segreti della mediana
Ultimo cantiere in corso, forse il più indietro di tutti, è quello mancuniano, sponda United. Anche in questo caso la rosa è di qualità, benché forse meno di quanto non la sopravvaluti il senso comune giornalistico secondo il quale anche un onesto pedatore è ormai etichettato come un "top player" (grazie anche alla non proporzionale entità dei contratti milionari che sono ormai capaci di strappare i procuratori). A differenza di Barcellona, l'ambiente è saldissimo dietro a Louis van Gaal, che gode della stima - e vorrei vedere, trattandosi, dei quattro allenatori qui analizzati, del migliore e più vincente in assoluto - di una dirigenza fatta di grandi campioni del passato (come è il caso, non a caso, anche del Bayern). In assoluto, è forse il cantiere più affascinante da seguire, perché l'ingegneria tattica è tipicamente olandese, con le sue figure inusuali e con i suoi sperimentalismi. L'impianto è un 3-1-4-2 non così scontato, con Carrick facente funzione di metodista e una mediana atipica come quella composta da Rooney e Mata. A ben vedere Re Aloysius sta tentando quel che è riuscito a Carletto a Madrid con Kroos, Isco e James: aggiungendo però due cursori di fascia come Valencia, Blind o Young. Anche i due attaccanti si riducono, in realtà, a una sola punta, Van Persie, più uno striker che gli gira intorno, come Di Maria o Falcao (se saprà interpretare il ruolo: al momento non sembra volerci provare, afflitto come appare da stellinite acuta). Il problema è costituito dalla difficoltà di mantenere le giuste equidistanze tra le linee e di sincronizzare i movimenti difensivi a scalare. La squadra incassa infatti un po' troppe reti (21 finora, una a partita). Ma l'impianto di gioco è chiaro e si tratta solo di attendere che gli interpreti assimilino gli automatismi. Ci vorrà ancora tempo, perché per più d'un giocatore (Rooney, Mata, Di Maria etc., ma anche lo stesso De Gea, chiamato sempre più spesso a usare i piedi come Neuer) si tratta anche di imparare un ruolo e una collocazione nuova in carriera: una sfida nella sfida. Dovesse riuscire sarà uno spettacolo. Teniamo poi presente che Van Gaal ha vinto ovunque sia andato. Sarà questione di tempo anche a Manchester. Come ho già scritto [vedi], insieme all'orchestra bavarese di Guardiola e alla máquina madridista assemblata da Ancelotti, lo United rappresenta, in prospettiva, l'attesa più densa di promesse per noi "mendicanti" di bel calcio.

Azor