14 luglio 2014

Löw story

I Mondiali sono finiti e noi siamo già orfani della sfera di cuoio. L'astinenza è una brutta bestia e nelle prossime settimane si farà sentire eccome. L'epilogo è stato all'altezza del resto. La Germania ha vinto. Qualche giorno di vacanza e poi di nuovo a sudare sotto il sole di amene località montane perché il circo riaprirà i battenti fra un mese e mezzo.

13 luglio 2014, Estadio do Maracana, Rio De Janeiro
Jogi a testa alta verso il destino
Con gli occhi ancora illuminati da uno spettacolo bellissimo proviamo a tracciare un (provvisorio) bilancio della manifestazione. Iniziamo dai numeri, freddi come sempre, ma piuttosto indicativi: in questa edizione si sono segnati 2,7 gol a partita, nel 2010 erano stati 2,3. Vi sono state in media 0,2 espulsioni e 2,8 ammonizioni a partita, nel 2010 erano state rispettivamente 0,3 e 3,8. In campo si sono visti in media quasi 400 (396 per la precisione) passaggi a partita per squadra, nel 2010 erano stati 353 (altro che fine del tiki taka). La Germania, squadra vincitrice del torneo, è risultata l'undici col miglior attacco (18 gol) e la miglior media di passaggi, 4157, di cui solo 377 lunghi (chiedere a Guardiola e al blocco Bayern per ulteriori delucidazioni). La miglior difesa è risultata quella degli USA il che pare sorprendente, ma non lo è poi troppo se si considera che ad allenarli c'era il maestro del vincitore, quello Jurgen Klinsmann che ha chiamato a sé il giovane Joachim Löw nel 2004 come suo vice e gli ha consegnato le chiavi della Fussballnationalmannschaft nel 2006 dopo averlo avviato a una carriera che da ieri è già storia. E proprio nella vicenda di Löw sta, credo, il segreto della Germania campione del mondo 2014. I nipotini di Wagner giocano in un campionato che è un prodotto assai trendy. La Bundesliga è un torneo che tutti i Paesi vogliono e per assicurarselo sono disposti a sborsare fior di quattrini perché è bello e spettacolare. Come sono giunti a questo risultato? Con pazienza e programmazione. Sono partiti da lontano, hanno deciso con chiarezza quello che volevano fare da grandi e l'hanno fatto. Non si vince il mondiale solo con pazienza e programmazione, ci vogliono giocatori forti (quelli se li sono costruiti in casa) e tanta fortuna. Se non hai fortuna non vinci nulla, ma se hai programmato bene, se hai avuto la pazienza di crescere i tuoi migliori talenti senza svenderli al primo procuratore-squalo che ti si presenta con in mano qualche migliaio di euro, se costruisci stadi magnifici e accoglienti e releghi le televisioni al ruolo che hanno ovvero pubblicizzare il prodotto e non fagocitarlo, se sei tutto questo e sei sfortunato non vinci comunque il mondiale, ma non esci nemmeno al primo turno in un girone in cui ci sono Uruguay e Costa Rica né perdi 7:1 in semifinale.

La Germania ha programmato bene, ha costruito il suo successo investendo sui vivai, lasciando fuori il profitto immediato a ogni costo nella consapevolezza che il denaro sarebbe comunque arrivato, a fiumi ben più straripanti degli spiccioli sborsati per avere un diciassettenne che "forse" diventerà un fenomeno. E i soldi sono arrivati, insieme coi successi. La Nazionale tedesca si fonda sul blocco Bayern, tutte le nazionali vincenti si fondano su un blocco, ma deve essere forte davvero e non solo per tradizione o per strapotere interno (leggasi Italjuve e le magre figurette che i bianconeri rimediano in Europa, per non parlare delle altre italiche compagini impegnate in Europa League, vero imbuto da cui passano, a malapena, i nostri sogni puntualmente spezzati dal ranking UEFA).

Il Maracana incorona i degni Campioni
(compresi Poldo e Poldino)
Dicevamo del Bayern: i bavaresi sono una corazzata oggi, ma non lo sono solo perché spendono tanto nell'acquistare. Hanno in squadra due stranieri veramente forti: Robben e Ribery, entrambi giocano in Baviera da anni. Intorno, oltre a Dante (non sempre impiegato da Guardiola), Martinez e Thiago Alcantara vi sono tanti tedeschi, molti dei quali cresciuti calcisticamente in Germania. Ai Mondiali abbiamo scoperto quanto sono forti Goetze e Hummels, abbiamo avuto conferma del talento di Schweinsteiger, dell'immortalità di Lahm e della superiorità nel ruolo di Neuer. Non fa piacere che la Germania abbia vinto perché ci ha raggiunti nella classifica all times del campionato del mondo, ma se lo sono francamente meritato.

Se lo meritava anche l'Argentina che ieri ha giocato la sua miglior partita del torneo e l'ha persa. L'ha persa perché la Germania ha segnato un gol. L'ha persa perché Higuain e Palacio invece hanno sbagliato gol facili per due come loro. L'ha persa perché il dottor Sabella (comunque molto bravo) ha inspiegabilmente lasciato negli spogliatoi il migliore in campo dei suoi dopo i primi 45', Lavezzi. E l'ha persa perché, come abbiamo spesso ripetuto, Messi non è Maradona. Ora il paragone deve finire per sempre. Messi è Messi e francamente ci basta e ci avanza. Certo, speravamo di vederci consegnare un nuovo mito da adorare, un santino meno sbiadito da tenere sulla testiera del letto, ma non ci è stato concesso. Messi ha giocato come ha potuto, regalando un paio di begli spunti, ma niente di più. Abbiamo tutti negli occhi il momento in cui si è piegato e ha rimesso sull'erba del Maracana. Ma che gli succede? Perché soffre di questo tipo di attacchi? Siamo sicuri che le cure cui è stato sottoposto da ragazzo per vincere il capriccio della natura che lo aveva condannato al nanismo non c'entrino nulla?

L'Argentina ha fondato la sua cavalcata verso la finale sulla difesa. Ezequiel Garay è un centrale da mettere sotto contratto costi quel che costi. Bene Demichelis, Mascherano è semplicemente il migliore nel suo ruolo. Ma tutti i giocatori dell'Albiceleste ieri hanno fatto una grande partita. Gli è forse mancato troppo Di Maria. Poteva finire diversamente, ma è finita come doveva finire.

Sono convinto che fra due anni e ancor di più fra quattro il Belgio sarà la squadra potenzialmente più forte del mondo e che la Spagna non sia finita. Al Brasile occorreranno anni per riprendersi dalla catastrofe sportiva subita; l'Argentina è sempre capace di sfornare talento, ma ha perso un'occasione che non si ripeterà presto. Noi dobbiamo ricostruire tutto facendo piazza pulita del passato se vogliamo avere qualche speranza di rinascita. L'Olanda, orfana del suo guru, può sempre sorprendere, ma adesso in cima c'è la Germania di Löw. È a loro che bisogna guardare per colmare la distanza. Ne saremo capaci?

Cibali

Il verdetto

Cartões Postais do Brasil

E' l'ultimo istante vissuto da Miro nella storia della Coppa del mondo.
Esce dal campo, sostituito da Mario Götze. 
Logico che toccasse a Mario decidere la finale
Per Özil (classe 1988), Müller (1989), Götze (1992), Kroos (1990), Schürrle (1990), Hummels (1988), Khedira (1987), Neuer (1986), e i più esperti Lahm (1983), Mertesaker (1984), Schweinsteiger (1984), per lo stagionatissimo e ormai leggendario Miro Klose (1978) è dunque giunta l'ora di salire in tribuna d'onore, alla fine dell'ultima partita di un torneo, per ritirare la coppa. Ah, dimenticavo Podolski (classe 1985), il numero dieci (yes!). Dubitavo potesse accadere. Li consideravo forti ma non abbastanza. Tedeschi ma non abbastanza, e non solo per via delle intervenute mescolanze. Non vedevo, tra loro, qualcuno con la personalità, il carisma, la capacità di leadership in campo che era di Seeler e Overath, Beckenbauer e Breitner, Matthäus e Klinsmann. Li pensavo destinati a restare per sempre giovani, e senza coppe [vedi].

E invece eccoli arrivati, anche loro "quattro volte in cima al mondo", eccoli che festeggiano e con una certa sobrietà. Si sono diplomati. Quelli che sorridono e scherzano sul prato del Maracanã sembrano liceali che hanno appena vinto la coppa dell'istituto; Löw è il loro professore di storia e filosofia (ma laureato in filosofia), con sguardo da ex sessantottino (tedesco, s'intende) e una moderata passione per il Fußball. Dilma è come l'odiata preside, nessuno vuole farsi fotografare con lei. Gli argentini sono quelli della quinta E, quelli che devono prendere il treno tutti i giorni per venire a scuola. Giocare a pallone è la cosa che sanno far meglio, ma il più bravo di quest'anno (Di Maria) si è fatto male e non può, per questo sono così sconsolati. Guardalo, Götze ha proprio la faccia da primo della classe; riuscirà nella vita, qualunque cosa decida di fare.

Lo sguardo perso nel nulla
Tutti aspettavano Leo, e nei prossimi giorni scorrerà parecchio inchiostro - è già iniziato a scorrere. La sua biografia sarà aggiornata, perché - è comune sentire e diventerà luogo comune - ha fallito nell'occasione più importante. Lo hanno premiato col 'pallone d'oro' di Brasil 2014, ed è chiaro che quel premio era destinato a lui da tre o quattro anni. Una patacca, ma la credibilità della FIFA è quello che è. Anche la carriera di Messi è e rimane quello che è e che è stata. La carriera di un fuoriclasse epocale, una carriera che - a ventisette anni - si è già lasciata alle spalle quasi seicento partite ufficiali; alla sua età, Diego ne aveva giocate poco più della metà. Certo, il suo sguardo assente - prima, durante, dopo la partita - dice molto, se non tutto. Si è acceso ogni tanto, quando ha avuto la palla tra i piedi, e poi si è subito spento. Non aveva più la forza di dare un senso a se stesso, e speranza a quelle migliaia di argentini che, sparsi sulle sabbie di Copacabana, aspettavano il gesto.

Così e infine la coppa attraversa l'Oceano, per la prima volta in direzione dell'Europa. Doveva accadere, un giorno o l'altro. "Maliarda e girovaga", riposerà per quattro anni a Berlino. E nessuno può ragionevolmente affermare che Eupalla abbia emesso un verdetto iniquo.

Mans

13 luglio 2014

Re Aloysius

Cartões Postais do Brasil

Dunque finalmente ci sono riusciti: gli olandesi hanno vinto la loro prima finale mondiale al quinto tentativo. Certo, trattasi di finalina: ma avevano perso anche quella, nel 1998, contro la Croazia. Senza contare le delusioni del 1974 (cocente), del 1978 (rabbiosa) e del 2010 (impotente), nelle finali per la Coppa.

12 luglio 2014, Estadio Nacional, Brasilia
Aloysius Paulus Maria "Louis" van Gaal canta l'Het Wilhelmus
Là dove non erano riusciti Rinus Michels, Ernst Happel, Guus Hiddink e Bert Van Marwijk, è dunque riuscito Aloysius Paulus Maria "Louis" van Gaal. Che ha pilotato magistralmente una rosa di giovani ed inesperti (ad alto livello) giocatori innervata da qualche satanasso e pochi campioni. Ad Aloysius va senza dubbio il titolo di migliore allenatore di Brasil 2014: pragmatico, eclettico, motivatore.

Non ha mostrato innovazioni tattiche, ma una maestria nel gestire una varietà di opzioni come nessun altro. Quello che il nostro buon Cesare si era ripromesso, senza poi riuscirci. Van Gaal ha mostrato una difesa a 3 e spesso a 5, una mediana spesso a 4 (con esterni veri come Kuyt e non terzini) e talora a 5, un attacco talora a 3 e più spesso a 2. Ha difeso a zona, ma a tratti anche a uomo in mezzo al campo (con Sneijder a seguire Messi ovunque, per esempio). Ha sfruttato la balistica di Blind per allungare la profondità offensiva. Etc. etc. Uno spettacolo tattico memorabile.

Aloysius ha retrocesso in mediana Sneijder (come aveva provato a fare Gasperini ...) con ottimi risultati, si è avvalso della ecletticità di un giocatore "totale" come Kuyt (che avrebbe potuto anche schierare in porta come para rigori), ho sdoganato dalle fasce Robben, che ha giocato forse la serie di partite più belle e scintillanti della sua carriera (in crescendo). Ha esaltato la lucidità degli anticipi e i tempi difensivi di Vlaar. Ha lanciato in mezzo al campo giovani segugi come De Guzman e Wijnaldum. Ha estratto dal cilindro Krul. Ha dato fiducia all'incerto Cillessen. Ha mimetizzato le pause di Van Persie e le amnesie di Martins Indi. E potremmo continuare.

Soprattutto, Re Aloysius ha mostrato cosa deve fare un allenatore in un torneo di sole sette partite: adattarsi alle caratteristiche dei giocatori, darsi obiettivi immediati, mostrare pragmaticità per raggiungerli. Van Gaal ha un caratteraccio, e non si cura di "gestire" i media: per questo gravano su di lui pregiudizi immotivati. Tra i tecnici, però, è stimato come un vero santone. Per dirne una, anzi due (antitetici): Mourinho lo rispetta come un maestro, Guardiola lo venera nel suo Pantheon. In Brasile ha compiuto uno dei suoi molti capolavori. E non vediamo l'ora di vederlo seduto sulla panchina che è stata di sir Alex: sarà uno dei grandi protagonisti della prossima stagione.

Azor

PS: il Brasile di Scolari e David Luiz? Ne riparleremo.

10 luglio 2014

L'importanza di essere Messi

Cartões Postais do Brasil

Leo sussurra nell'orecchio destro di Romero quel
che si potrà sapere solo leggendo questa cartolina
fino all'ultima riga
A Leo è andata bene e avrà certamente pagato la pizza a Mascherano. Non fosse per la tigna, la concentrazione, la scelta di tempo del barcellonista (e dunque suo Sancho Panza di millanta battaglie calcistiche), ora l'Argentina sarebbe a pezzi - altro che "siete! siete!" -, la mitologia della Pulce svenduta a due centesimi sulle bancarelle, e la coppa del mondo un affare di vicinato tra olandesi e tedeschi, l'ennesima rivincita delle rivincite che avrebbe però consentito a Blatter di bagarinare personalmente domenica pomeriggio nei dintorni del Maracanã. Leo dunque dovrà ora sdebitarsi e fare qualcosa di più del nulla che ha combinato a San Paolo.

Nulla, ma in realtà quasi nulla.

Quasi nulla? In realtà molto. A pensarci bene, molto. Quasi tutto. Anzi: tutto. E toccava dunque a Mascherano di pagargli la pizza, perché senza Leo difficilmente l'Argentina sarebbe arrivata negli ottavi e poi nei quarti e poi (soprattutto) in semifinale e quindi in finale. Anzi, soprattutto in finale.

Perché? Semplice. Senza Leo l'Olanda avrebbe giocato diversamente. La sola presenza in campo di un tale spauracchio ha convinto Luigi van Gaal a schierare i suoi bene coperti, onde nulla rischiar. Troppo tardi ha capito che il de cuius non era in giornata di vena poetica e vagava per il campo come fosse terra sconosciuta e straniera da esplorare senza mappa e senz'acqua e senza sapere come e perché il destino l'avesse scaraventato così lontano da casa. Troppo tardi Luigi van Gaal ha sussurrato ai suoi che la partita forse si poteva anche vincere, che non era obbligatorio pareggiarla e poi rischiare di perderla ai calci di rigore. Troppo tardi. Robben ha schiumato rabbia per novanta minuti e si capiva benissimo che, fosse dipeso da lui, gli Oranje avrebbero giocato in modo diverso. Non fosse dipeso dalla tigna, dalla concentrazione e dalla scelta di tempo di Mascherano, Robben avrebbe fatto esplodere la santabarbara al novantesimo, quando era finalmente riuscito a sgommare oltre le trincee biancocelesti. 

Il tackle più importante di Brasil 2014

Confortato dall'atteggiamento contratto e spaurito degli avverari, constatata la scarsa vena e anzi l'assenza spirituale del santo numero dieci, Sabella ha consigliato ai suoi di mettere anzitutto la museruola a Robben. Minimo tre o quattro sempre nei suoi pressi, e mine nell'erba sui suoi percorsi. Quintali di sonnifero sparsi qua e là. Van Persie? E' in posizione di fuorigioco dal primo minuto del match contro i Ticos e ha pure mal de panza. Innocuo, non c'è bisogno nemmeno di massaggiargli le caviglie. Poi anche Sabella ha capito che la partita si poteva forse vincere, che non era obbligatorio pareggiarla, e tanto meno rischiare tantissimo di perderla visto che poi in porta loro metteranno Tim Krul, gigantesca insuperabile sagoma mattacchiona. Ha tirato un sospiro di sollievo quando Van Gaal, per confondergli le idee, ha tolto dal tabellino Van Persie e inserito Huntelaar, scoprendo il bluff o ricorrendo a quello di riserva. Sabella ha risposto gettando allo sbaraglio Aguero e Palacio. I due non fanno nemmeno il solletico a Vlaar, ma sono grandi rigoristi. Infatti Palacio non ha bisogno di tirare il suo, visto che Vlaar, spossato dalla noia, e Sneijder, spossato tout court, sbagliano il loro.

Leo invece dal dischetto ha segnato. Era il primo della lista argentina, ovviamente. Il penalty psicologicamente più importante, proprio perché calciato dopo l'errore olandese. "Se ne pari un altro, ti pago la pizza", ha detto Leo a Sergio Romero prima di tornare verso il centro del campo a guardare con gli altri la fine del film. Un fuoriclasse si vede anche da questi dettagli.

Mans

9 luglio 2014

La fine del futebol

Cartões Postais do Brasil

“Quando a Berlino l’Italia intera ha alzato la Coppa dei Mondiali FIFA al cielo, migliaia di ragazzi hanno rincorso il loro sogno di diventare campioni e si sono iscritti a una scuola calcio. Quando la Spagna ha vinto la Coppa dei Mondiali FIFA in Sudafrica, migliaia di giovani sono passati dal festeggiare i propri campioni ad esultare per i propri gol” [vedi]. E' Coca-Cola Italia che parla, mica un sociologo, mica un pisquano qualsiasi, e sa quello che dice: le scuole anzidette sono una delle rovine del calcio da noi ma paiono bene avviate e ancora meglio sponsorizzate; in Spagna evidentemente l'euforia per il futebol si è semplicemente sommata a quella che c'era già. A ogni modo, una della innumere campagne pubblicitarie prodotte dal Grande Sponsor e destinata anche al Brasile ha evitato ogni riferimento al passato e mostra solo un gruppo di ragazzi che gioca a pallone in una favela [vedi]: ma il pallone rotola a valle, loro lo inseguono, lo inseguono, lo inseguono e arrivano dritti dritti nel deserto, forse in Qatar, dove si disputeranno (forse) i mondiali del 2022. Poiché per coprire a piedi quell'immensa distanza avranno alla fine impiegato più di un mese, si suppone che almeno loro (il ragazzo più inquadrato, fra l'altro, indossa la maglia della Seleçao e assomiglia ad Angel Di Maria - foto) non abbiano visto la semifinale di Belo Horizonte. Non ne serberanno l'indelebile, brutale ricordo. La loro vita non ne sarà segnata. Gli racconteranno la partita quando si saranno decisi a tornare nella favela, ma penseranno ad uno scherzo. Di giocare a pallone non gli passerà la voglia.

Ma a quelli che c'erano? Che erano al Mineirão o davanti alla tv, a quei milioni di bambini che prima hanno perso il loro amatissimo cartoon (O Ney) e poi il sogno di vedere comunque i propri eroi alzare la coppa? Crederanno ancora nel loro gioco preferito? Inizieranno a preferirne altri, meno 'dolorosi'? E' la fine del futebol? C'è modo e modo di perdere una partita. Per il Maracanaço, gli intellettuali brasiliani azzardarono paragoni forti: fu come una bomba atomica, fu la nostra Hiroshima (Nelson Falcão Rodrigues). Cosa si dirà questa volta? Speriamo solo non ci arrivino notizie drammatiche, e che gli effetti rimangano circoscritti esclusivamente all'ambito sportivo. A terra con le nostre vergogne qui in Italia, scopriamo di essere in buona compagnia. Anche loro devono ripartire da zero, e anche da loro i giornali già scrivono di ristrutturazione del sistema, indicando in quello tedesco il modello da imitare.

Di Brasile - Germania, prima semifinale della FIFA World Cup 2014, si parlerà per sempre. Originerà infinite discussioni calcistiche; si produrranno libri, film, documentari a gogò. E, a giudicare dagli umori percepiti ieri sera, il povero Frederico Chaves Guedes, detto Fred, sembra destinato a raccogliere l'eredità di Barbosa. "Lo vedi, figlio mio? Quello era il centravanti che, nella nostra coppa del mondo di calcio, mille anni or sono, fu capace di segnare un solo gol, inutile e in fuorigioco. Guardalo, è l'uomo che fece piangere tutto il Brasile". Forse, si spera, qualcuno ricorderà come, a quel tempo, in tutto il paese non esistesse un centravanti più bravo di Fred.

Mans

7 luglio 2014

Much ado about nothing?

Alla penultima tappa di un Mondiale spettacolare, pieno di emozioni, belle partite e memorabili giocate, approdano alle semifinali le tre squadre che alla vigilia erano date tra le più favorite insieme con la Spagna. Solo l'Olanda è la vera sorpresa, non accreditata da nessuno, nemmeno degli autori di Eupallog che, a dire il vero, avevano quasi tutti sottovalutato la Germania: Azor (Brasile, Spagna, Argentina: vedi), Cibali (Brasile, Spagna, Italia, Argentina: vedi), Mans (Brasile, Argentina, Uruguay, Spagna: vedi) e Pope (Argentina, Germania, Brasile, Belgio: vedi).

Oranje 2014: una sorpresa? O un eterno ritorno?
Tanto rumore per nulla dunque? Guardiamo al palmarès (cioè alla storia): 5 coppe il Brasile, 3 la Germania, 2 l'Argentina, la metà del totale. Guardiamo al Ranking FIFA (cioè alla cronaca): Germania 2°, Brasile 3°, Argentina 5°. Soprattutto, consideriamo le 60 partite cui abbiamo assistito e domandiamoci: non è arrivato in fondo qualche XI che lo meritava? La risposta è no. Non si è persa per strada nessuna compagine memorabile.

Agli ottavi sono tornate a casa il Cile (sfortunato), l'Uruguay (modesto), il Messico (buono ma limitato), la Grecia (epica ma senza qualità), la Nigeria (atletica), l'Algeria (memorabile e sfortunata), la Svizzera (modesta) e gli USA (più tattica che tecnica). In questo turno meritavano maggior fortuna solo Cile e Algeria, ma erano da semifinale?

Ai quarti sono tornate a casa la Francia (scioltasi al dunque), la Colombia (travolta dall'impeto verdeoro), il Belgio (inesperta a questi livelli) e la Costa Rica (che dopo i fasti ha puntato ai rigori senza più osare). In questo turno hanno pagato dazio le due squadre attese come possibili "sorprese": Cafeteros e Diables rouges. Un loro approdo alle semifinali sarebbe però equivalso, più o meno, a quello dell'Olanda, palmarès a parte: ma non hanno subito torti lungo strada.

Alla fine, dunque, si confrontano come sempre il calcio europeo e quello sudamericano. Impressiona un ricorso: nell'ultimo torneo svoltosi a quelle latitudini, Argentina 1978, tre nazionali arrivarono come oggi in fondo: Brasile, Olanda e Argentina; al posto dell'Italia, ahinoi, ora c'è la Germania. Storia immobile? Forse. Storia contemporanea? Olanda e Germania erano tra le quattro anche in Sudafrica 2010, il Brasile in Asia nel 2002, l'Argentina vi manca invece dal 1990.

Rispetto ai tornei più recenti sono mancati all'appello Spagna e Uruguay (2010), Italia, Francia e Portogallo (2006), Turchia e Corea (onde anomale del 2002). Sempre presente la Germania che, vista la qualità del gioco espresso finora (ricalcato su quello del Bayern guardiolano), appare a questo punto la favorita. Vincesse, non demeriterebbe certamente il titolo. Soprattutto sarebbe un grande scorno per chi, in questi ultimi due anni, ha ripetutamente dato per morto il tiki-taka ...

Azor

6 luglio 2014

Ti conosco, Mascherano

Siamo dunque al redde rationem. Conclusisi i quarti di finale ci accingiamo al rush decisivo. Sono rimaste in quattro a contendersi il sogno che porta dritti a Rio de Janeiro e al bellissimo Maracanà 2.0. A tale proposito vorrei sottolineare la bellezza degli stadi realizzati per il Mondiale dei Mondiali. Complimenti all'organizzazione e a chi, fisicamente, ha progettato e costruito tanti begli impianti, tutti all'altezza del gioco espresso e dello spettacolo offerto.

Dicevamo delle quattro semifinaliste. Siamo onesti: nessuno si aspettava che l'Olanda arrivasse così avanti nella competizione. Io per primo ero certo che i dissapori dello spogliatoio limitassero l'elevato tasso tecnico della rosa, anche se si stratta di un tasso tecnico decisamente sbilanciato dalla metà campo in su. Il tecnico Louis Van Gaal da ieri rischia seriamente di relegare il Josè Mario Do Santos Felix più famoso del mondo pallonaro al ranking di Special Two. Al minuto 120 di una gara passata a bombardare la difesa della Costa Rica ti fa entrare uno spilungone che risponde al nome di Timothy Krul, portiere con poca fama e meno gloria, in forza al Newcastle United, 36 presenze nel suo club e appena 26 anni.

5 luglio 2014, Arena Fonte Nova, Salvador
Tim Krul para il rigore decisivo e porta l'Olanda in semifinale
Il buon Krul inizia a innervosire gli avversari, ormai dilaniati dai crampi e para ben due rigori su quattro. Il quinto è inutile. Van Gaal appare come un santone infallibile e geniale. La Costa Rica è eliminata e l'Olanda va a San Paulo dove incontrerà l'Argentina di Messi (e da ieri anche di Huguain).

La partita dell'Olanda è stata quello che ci si poteva attendere, un rimbalzare sistematico contro l'organizzazione centro-americana. La Costa Rica ha organizzato una difesa a cinque al confronto della quale il Bol'soj Ballet sembrava il gruppo dei disoccupati di Full Monty. Sincronismo perfetto, movimenti provati e riprovati, Van Persie finisce in fuorigioco 11 volte; alla fine del match gli offsides arancioni saranno ben 13. Anche questo è un piccolo record. Jorge Louis Pinto ha rinunciato al confronto. Forse non aveva molte alternative contro un avversario evidentemente più forte. Il fortino eretto da Keylor Navas (che portiere!) e compagni ha retto per 120 minuti ed è crollato solo grazie alla perfezione dei rigori calciati dai cecchini olandesi. L'Olanda ha dimostrato di essere una station-wagon a trazione anteriore laddove il talento superiore di Robben può e deve risolvere i problemi mostrati da una difesa imbarazzante. Il motore davanti è fenomenale, il cassettone dietro intrainabile. Martins Indi e Vlaar sono lenti e tecnicamente modesti, De Vrij e Blind scorrazzano sulla fascia senza mai sapere quando e quanto devono salire. E d'altra parte se Van Gaal reclama a gran voce l'importanza tattica di De Jong un motivo ci sarà. Kuyt viene impiegato talvolta come terzino e talvolta come esterno alto. Contro una difesa così organizzata nessuno si spiega perché non abbia giocato Huntelaar. Un pasticcio tattico evidente. Ma l'Olanda è passata e al Mourinho in salsa Vermeer va reso il merito del risultato. Si tende sempre a simpatizzare per i più deboli, ma quando a vincere sono i più forti c'è poco da recriminare.

5 luglio, Estadio Nacional, Brasilia
Higuain calcia verso la porta di Courtois. È l'1:0 per l'Albiceleste
Ben diverso è stato l'altro quarto di finale, Argentina-Belgio. Gli uomini del dottor Sabella hanno regolato la pratica in meno di dieci minuti. Higuain si è sbloccato e questa è un'ottima notizia per l'Albiceleste.
Il Belgio si è sciolto come neve al sole. La squadra più giovane ha sofferto l'esperienza e l'abitudine a giocare partite decisive di quella più vecchia dell'intera competizione. L'Argentina resta la mia favorita per la vittoria finale. Peccato per l'infortunio capitato a Di Maria, pare che per lui il Mondiale sia finito. Il Belgio non è teoricamente più debole dell'Argentina e credo che fra due anni in Francia sarà la Nazionale da battere.

Fra Germania e Francia ha vinto semplicemente la squadra più forte, più completa e più talentuosa. Non hanno punti deboli tranne l'assenza cronica di un centravanti di ruolo. Loew ha dovuto fare di necessità virtù, ma ha a disposizione il blocco Bayern, ovvero una legione guardiolana che sa arrivare in porta sfruttando l'ormai tanto vituperato tiki-taka. I risultati sono evidenti. Avrebbero potuto vincere con un margine maggiore. La Francia è andata oltre quanto mi aspettassi. Deschamps ha ricostruito la squadra e ha dato fiducia all'ambiente. In casa, fra due anni, saranno più preparati e partiranno fra le favorite.

4 luglio, Estadio do Maracana, Rio De Janeiro
Hummels porta in vantaggio la Germania
Brasile-Colombia è stata bella, ma non bellissima e ha detto molte cose: il Brasile gioca male, ma ha tre-quattro giocatori che possono decidere la partita in qualsiasi momento. Fred è indispensabile per questa squadra perché corre come un ragazzino e crea gli spazi per i centrocampisti. Hulk è inutile e dannoso, va sostituito. Io farei giocare il profeta laziale. L'apporto del pubblico è determinante per il Brasile e la paura anche. La Colombia è un'ottima squadra, ma non così forte come sembrava dopo il girone di qualificazione. Difesa buona, centrocampo buono e attacco buono. Nessun reparto è ottimo. Hanno tanta qualità, ma è spesso limitata dall'inesperienza (leggi James Rodriguez) o dall'ignoranza tattica (leggi Cuadrado); hanno corsa, ma non sempre essa è accompagnata dalla consapevolezza della destinazione (leggi Armero). Pekerman, se sarà lui a guidare ancora la Nazionale colombiana, dovrà far crescere con pazienza questi ragazzi e dare loro più disciplina tattica, altrimenti ci sarà sempre un Brasile a buttarli fuori dal Mondiale.

4 luglio, Estadio Castelao, Fortaleza
Zuniga colpisce Neymar da dietro. Mondiale finito per il talento brasiliano
Abbiamo ancora negli occhi il pianto disperato di Neymar; una vera disdetta. Il giocatore simbolo di questi Mondiali costretto a lasciare il campo in barella e privo di sensibilità negli arti inferiori. In molti, compreso chi scrive, hanno pensato che fosse la sua solita, insopportabile, tendenza alla simulazione. Ahimè, niente di tutto questo; una vertebra fratturata, Mondiale finito e molte settimane di riabilitazione prima di tornare a calciare un pallone. A questo si aggiunge la squalifica di Thiago Silva. Zuniga è entrato male, credo volesse far sentire il ginocchio all'irritante avversario, ma certo non voleva rompergli la schiena. Peccato. Pessime notizie per Felipao, ma credo che proprio per questo il Brasile batterà la Germania e andrà dritto in finale. La rosa si compatterà e giocheranno, paradossalmente, con meno pressione. La Germania parte favorita e questo favorirà il Brasile. Ho sostenuto sin dall'inizio della competizione che i verde-oro mancano di un centrocampo di qualità; mi pare sia stato evidente in ogni partita, ma più di questo è stata la pressione a schiacciare la capacità di svolgere al meglio il loro mestiere di pedatori. Adesso potranno affrontare l'avversario più forte senza i loro migliori giocatori, ma con la possibilità di schierare un centrocampista in più per arginare il possesso palla tedesco e ripartire. Sono certo che potrà essere un vantaggio.

Il Mondiale dei Mondiali si sta rivelando davvero uno dei più belli e il dessert non può che essere all'altezza. Certo una finale Brasile-Argentina sarebbe il coronamento ideale di un percorso così intenso e spettacolare, ma anche Germania-Olanda non sarebbe male. Potrà essere il trionfo del calcio europeo nel continente americano per la prima volta o l'esclusione totale dell'Europa dal tavolo della coppa più ambita. Comunque vada, sarà stato un Mondiale bellissimo. Il Mondiale dei Mondiali.

Cibali

La ballata del centravanti stitico e del portiere 'last minute'

Cartões Postais do Brasil

Occhi assonnati di uomini in maglia rossa osservano la girata del Pipita
"Pipita sveglia, sveglia sveglia Pipita! Presto, quelli dormono ancora. Arrivano sempre in ritardo, bisogna approfittarne, Pipita!": così Alejandro Sabella a Gonzalo Higuaìn verso le 13 (ora di Brasilia) del 5 luglio 2014. Kompany è notoriamente un nottambulo. E infatti improvvisamente si alza (ore 13:07 circa) e, occhi chiusi palla al piede, si avventa fuori dalla camera da letto. Chissà cosa stava sognando. "Eccolo!", occhiata d'intesa tra l'Uomo Mascherano, la Pulce e  Di Maria. Non aspettavano altro; il primo gli scippa il pallone e lo passa al secondo che lo passa al terzo che lo passa (male) al Pipita, che però è fortunato perché nel frattempo, destato da quel fastidioso frastuono, Vertonghen cerca di riappropriarsi della sfera ma riesce solo a deviarla, guarda caso proprio sui piedi del Pipita che è rapidissimo a individuare la combinazione giusta per spalancare la cassaforte dei belgi. Curtois, il portinaio, deve ancora fare colazione. Wilmots è inferocito coi suoi. Nessuno si è ancora neppure lavato i denti. "Come al solito, arriveremo con un'ora e un quarto, un'ora e mezza di ritardo, come al solito. Maledizione!" In effetti, arrivano. Tutti, anche Lukaku. Tutti, anche Hazard, che era meglio rimanesse in albergo. "Torna pure a dormire, pelandra!", gli grida Wilmots a un quarto d'ora dalla partenza del treno per le semifinali. Sul tabellone c'è scritto "argentina uno belgio zero" ed ecco, il treno è partito, pieno di gauchos e di preoccupazioni per i muscoli di Angel Di Maria.

Lo sguardo incredulo di Robben 
e quello impaurito di Míchael Umaña: rosso in arrivo?
Luigi van Gaal e Giorgio Luigi Pinto hanno organizzato bene la loro scacchiera, e si può solo dire che era prevedibile ogni schema - di attacco e di difesa. Campbell abbandonato nel deserto della metà campo olandese come fosse il centravanti del Chelsea; le rabbiose percussioni di Robben, ripetutamente falciato; le parate spettacolari e fortunate di Keylor Navas; pali e traverse e 'porta stragata' come si suol dire. E' l'atteso assedio, ma c'è sempre una mossa disponibile a Pinto per evitare lo scacco matto. Si devono battere i calci di rigore ed entra l'eroe del giorno, Tim Krul. Lungo come la fame e largo quasi come la porta, è uno specialista. C'è chi si porta il cuoco di fiducia, chi nasconde in valigia il fisioterapista e chi la fidanzata, van Gaal ha ben nascosto, nella rosa dei ventitré,  il pararigori. Krul Ha dato spettacolo. I costaricani provavano a traccheggiare e perdere tempo anche in questa situazione, ma obiettivamente non meritavano di andare più lontano di così. A San José riceveranno l'accoglienza che meritano.

"Bravo Pipita, finalmente ti sei sbloccato". In effetti: centravanti stitici, nervosi, criticati, soli sotto il solleone. Fortunatamente infortunati, come Aguero; terribilmente improbabili, come Fred. Non è la loro Coppa. Povero Campbell - come si diceva -, povero Van Persie, ieri sperduto nella folla dell'area di rigore costaricana e sempre caduto nelle trappole del fuorigioco seminate dappertutto da Pinto. Origi e Lukako, un gol a testa in cinque partite. Peralta. Diego Costa. Mitroglu. Drogba. Dzeko. Immobile. Cavani. Rooney - se è da considerare ancora un 'centravanti'. Tutte comparse di cui nessuno s'è accorto. Piccoli camei per Klose (part-time efficace, full-time inservibile). Mandzukic. Gyan. Balotelli. Suarez. Jackson Martinez. Meglio di tutti Benzema, che però i tedeschi hanno poi deciso di escludere dalla sceneggiatura. In effetti: tra un po', nessuno vorrà più giocare da numero nove. Il ragazzino che si presenterà al centro sportivo, al campo dove s'allenano i suoi amichetti, quando si sentirà chiedere dall'allenatore "in che ruolo giochi?", risponderà "giostro da falso nueve, ma anche da trequartista indifferentemente di destra o di sinistra o centrale dietro un'unica purché statica, stitica e in fin dei conti inutile punta". E prima ancora, quando nei campetti senz'erba o sulle strade a fondo chiuso si organizzeranno le partitelle nei pomeriggi d'estate, il più scarso non verrà lasciato a fingere di difendere due pali messi insieme con gli stracci, ma a fare il centravanti. E il suo destino sarà il medesimo di chi una volta se ne stava fermo davanti a quella rete immaginaria. Lunghi pomeriggi da trascorrere senza mai toccare un pallone.

Mans

5 luglio 2014

Madeleine

Il 30 giugno 1990, allo Stadio "Artemio Franchi" di Firenze, la Jugoslavia giocò la sua ultima partita ad un Mondiale. Nessuno lo avrebbe immaginato. Come non avrebbe immaginato che sarebbero poi dovuti passare 24 anni per rivedere l'Argentina vincere un quarto di finale.

30 giugno 1990, Stadio "Artemio Franchi", Firenze
Fu una brutta partita, come tante altre di Italia 90, finita in bianco ai rigori [Cineteca]: Maradona sbagliò il suo ma ciò non pregiudicò il passaggio dell'Albiceleste alla semifinale contro l'Italia, prevista a Napoli il 3 luglio. A Firenze, il pubblico lo aveva fischiato a lungo durante la partita. Forse anche per reazione Diego dichiarò guerra affermando che gli italiani si ricordavano di Napoli solo quando faceva comodo, dimenticandosi per il resto del tempo dei suoi problemi [vedi]. Sarebbe finita coi fischi romani all'inno nazionale argentino ...

In tutt'altro clima, ma con un'altrettanto brutta partita, oggi, all'Estadio Nacional di Brasilia, l'Argentina è tornata a qualificarsi per una semifinale dei Mondiali [Cineteca]. Quel giorno a Firenze Maradona non contribuì molto alla vittoria, come oggi non vi ha contribuito Messi. Ma poco importa. Nel frattempo la Jugoslavia si è dissolta, il mondo è drammaticamente cambiato, e siamo tutti un po' più poveri e privi di futuro. Ma il Mondiale continua a svolgere la sua funzione confortante di scansione del tempo, di periodizzazione della nostra vita. Quel giorno eravamo allo stadio. Oggi ci accontentiamo di essere ancora qui, a beneficiare della infinita bontà di Eupalla: allora volevamo ammirare il Pibe, oggi il suo erede. Sempre sia lodata.

Azor

Sturm und Drang

Cartões Postais do Brasil

Come avevamo ipotizzato alla vigilia [vedi], è stato un Brasile tutto "tempesta ed impeto". Già dall'inno si percepiva uno spirito meno emotivo rispetto alla gara col Cile: inno non urlato ma finalmente cantato, senza lacrime e più determinazione. E così è stata la partita.

4 luglio 2014, Estadio Castelao, Fortaleza
Solo i bambini non hanno pregiudizi verso i loro campioni
Il Brasile condivide con altre squadre (come, per esempio, l'Olanda) il destino di essere sempre osservato con pregiudizio. Ogni generazione, ogni partita, vengono misurate sul metro degli avi: il Brasile che sbarcò sulla luna nel 1970, quello che si infranse sul calcio totale degli Azzurri di Bearzot nel 1982 (proprio oggi festeggiamo la ricorrenza: vedi), in primis.

Eppure il Brasile 2013-2014 è stato guidato da Scolari e Parreira al titolo della Confederations Cup, dove distrusse la Spagna con una partita magnifica [vedi], e alla semifinale del Mondiale casalingo. L'Italia, la Spagna e l'Uruguay - per citare le nazionali presenti a entrambe le competizioni - sono già tornate a casa da giorni. Eppure quasi tutti storcono naso e bocca: "operaio" e "catenacciaro" sono le espressioni più edulcorate, "brocchi", "orrendi" e "inguardabili" le più diffuse, altre e molte quelle irriferibili.

E' probabile, invece, che se un'altra squadra - mettiamo l'Uruguay - avesse giocato le stesse partite del Brasile sarebbe stata apprezzata per il grande risultato raggiunto con partite "pragmatiche e ciniche". Dal Brasile, invece, pretendiamo l'utopia: che giochi sempre meglio degli altri, a prescindere. E questo ci condanna tutti: alla sofferenza o all'insoddisfazione di chi guarda e a quella di chi vince e non convince.

4 luglio 2014, Estadio Castelao, Fortaleza
Soli contro tutto
So di andare controcorrente e con pochi sodali, ma questa squadra, questi brocchetti, queste stelline e questi nocchieri mi ispirano una crescente simpatia. Perché sono soli contro tutto. Contro i loro limiti tecnici, contro la loro istintiva anarchia tattica, contro l'assenza di alternative più qualitative. Contro i pregiudizi e contro la tradizione culturale del loro futebol. Per questo sono ammirevoli e andrebbero, se non onorati, perlomeno rispettati.

Contro la Colombia hanno impostato l'unica partita possibile: pressing altissimo nella prima mezzora, che ha cancellato ogni identità di gioco dei colombiani portando al naufragio di stelline sopravvalutate come Cuadrado, e contenuto l'unico campione come James; controllo del gioco nella seconda mezzora; sofferenza solo negli ultimi minuti. Statistiche [vedi]: Julio Cesar non ha fatto una parata (zero "saves"), segno di una difesa eccellente (39 "clearances", rinvii, e 46 palle recuperate), mentre Ospina ha salvato tre volte; i brasiliani hanno corso di più in fase di possesso e di meno in fase di non possesso (cioè hanno corso meglio); i colombiani hanno attaccato di più (essendovi costretti da subito dallo svantaggio) ma senza essere mai veramente pericolosi. Considerata senza pregiudizi la partita delle Seleçao è stata perfetta.

Il peggiore in campo, semmai, è stato l'arbitro che ha consentito che la gara degenerasse in un mattatoio, che ha fatto purtroppo la sua vittima eccellente. La semifinale con i tedeschi, senza Thiago Silva e Neymar, priverà di ulteriore qualità una squadra già modesta. Ma sarà un'altra partita da Sturm und Drang. E pertanto bellissima.

Azor

2 luglio 2014

Piccole patrie, grande calcio

Fettine di coppa: primo turno di qualificazione 2014-15

Non sono ancora terminati i fasti brasiliani e la nuova stagione del calcio europeo è già cominciata. Non parliamo di ritiri (in Serie A il Torino ha cominciato la preparazione lunedì scorso, l'Inter si radunerà venerdì prossimo, e poi via via le altre) ma di competizioni. Internazionali.

Suggestiva è stata la "lochèscion" - come par che si dica ormai nella lingua di Dante - dell'avvio del primo turno di qualificazione alla Champions League, il 1° luglio 2014. Sui Pirenei. All'Estadi Comunal di Andorra la Vella, martedì sera, i campioni locali del FC Santa Coloma hanno battuto i pari grado di Armenia del FC Banants per 1:0. L'onore del primo gol ufficiale della stagione europea (al 5' minuto) spetta non a caso a un cognome importante: Pujol. Non Carles Puyol i Saforcada, ovviamente, bensì l'assai meno blasonato (e ricco) Marc Pujol Pons, che pure ha pedatato anche lui in Catalogna tra Figueres, Manresa, Balaguer e la stessa capitale (benché al Unió Esportiva Sant Andreu).

Mezzora dopo, in un altro contesto storico suggestivo, a Saravâl (Serravalle), un castello della Repubblica di San Marino, i campioni di casa della SP La Fiorita sono stati invece clamorosamente sconfitti nel 3° minuto di recupero dai pari grado estoni del FC Levadia Tallinn: gol di Heiko Tamm, subentrato dalla panca, e che a lungo ha pedatato nel Tartu Jalgpalliklubi Tammeka della Esiliiga, la seconda divisione del campionato nazionale.

Il Lincoln Red Imps FC di Gibraltar festeggia il suo 19°, storico,
titolo nella Premier Division: quello che gli è valso la qualificazione alla CL
Sarà stasera, però, alle ore 20 locali l'evento storico. Sotto la rocca di Gibraltar, al Victoria Stadium, l'esordio assoluto dello United locale (12° titolo consecutivo): il Lincoln Red Imps FC di Gibraltar, prima squadra del Territorio d'Oltremare dello United Kingdom of Great Britain and Northern Ireland ammessa alla massima competizione europea. Il leader della squadra, Aaron Payas, è passato alla storia per aver dichiarato che "la qualificazione in Champions League era il nostro Sacro Gral". Avversario non compiacente (avendo già battuto i gibilterrini in amichevole 4:1) sarà l'Havnar Bóltfelag di Tórshavn, capitale delle Isole Fær Øer, il cui simbolo è un bel martello impugnato.

Membro provvisorio dell'UEFA dal 2006, Gibilterra si vide bocciata l'adesione definitiva nel 2007 con 45 voti contrari, 4 astenuti e tre soli voti a favore da Inghilterra, Scozia e Galles, per le brighe del discusso e immarcescibile (altro che il nostro Abete dimissionario) presidente della Real Federación Española de Fútbol, Angel Maria Villar, che invocò addirittura il Trattato di Utrecht del 1713 che aveva riconosciuto Gibilterra appartenere alla Spagna. Solo un anno fa, il 24 maggio 2013, l'approvazione dell'affiliazione all'UEFA, con i soli voti contrari di Spagna e Bielorussia (sic!). Da settembre la nazionale di Gibilterra parteciperà alle qualificazioni per Euro 2016. Per l'adesione alla FIFA se ne riparlerà più avanti.

Qui la brochure della candidatura, al motto "For the love of the game"
Azor

Il verrou di Ottmar 'Rappan' Hitzfeld

Cartões Postais do Brasil

Hitzfeld ai tempi in cui guidava die Schwarzgelben
Ottmar Hitzfeld, tedesco di Lörrach (Kreisstadt a un tiro di schioppo dai confini francese e svizzero), classe 1949, fu un discreto pedatore nei 1970s. Attaccante, vedeva assai bene la porta. Esclusa una parentesi a Stoccarda, militava nei top-club elvetici: Basilea, Lugano, Lucerna; ma poi, da allenatore, sulla panca del Grasshoppers fece notare (era lo scorcio dei 1980s) qualità che gli consentirono il balzo e un ricco palmarès costruito a Dortmund e a Monaco. Memore delle sue origini pedatorie, ormai nell'età che volge, il signor Hitzfeld è da qualche anno commissario tecnico della rappresentativa svizzera di football. Lo hanno ingaggiato dopo la deludente performance di Euro 2008; lo pagano e profumatamente bene, ma non v'è ragione di credere che lui non sia mosso anche da affetto e riconoscenza.

Certamente, quando i suoi orizzonti erano esclusivamente cantonali, Hitzfeld ha studiato (e probabilmente conosciuto di persona) Karl Rappan. Rappan, viennese, tirava calci al pallone nei 1920s (Admira, Austria e Rapid), poi all'inizio del decennio successivo andò al Servette e dalla Svizzera non si mosse più. Guidò (come Hitzfeld, con grande successo) il Grassopphers e, come Hitzfeld, in vari (brevi e no) cicli la nazionale dei verdi altipiani e dei placidi laghi. Onorevolmente; senza vincere alcunché, ma togliendosi qualche soddisfazione. Soprattutto, Rappan è considerato il brevettatore del 'catenaccio'. Detto verrou, a quei tempi, da lui messo a punto nella consapevolezza di dover escogitare soluzioni tattiche adeguate a mettere in difficoltà avversari tecnicamente superiori. In numeri, viene tradotto come 1-3-3-3 [vedi Jonathan Wilson, Invertyng the Pyramid, cap. 10]: dunque un 'libero', tre difensori, e poi bisogna vedere se le ali stanno davanti o tornano a dare una mano.

Col verrou - ma senza Rappan, uscito momentaneamente di scena: ci tornerà per la Coppa Rimet del '54 - i rossocrociati si presentarono in Brasile nel 1950. Il modulo si rivelava particolarmente efficace nella seconda partita, al Pacaembu di São Paulo, contro la Seleçao. Catenaccio e contropiede, clamoroso due a due [Cineteca].

Karl Rappan diffonde i principi del verrou
Ieri pomeriggio, la Schweizer Fussballnationalmannschaft è tornata a São Paulo. Per giocare contro un altro avversario, certo; nessuno era tuttavia disposto a scommettere un cent su questa banda del buco (cinque pere incassate dai francesi, e come si fa?). Hitzfeld, alla vigilia, avverte: "non è la nostra ultima partita in questo mondiale". E come sarebbe possibile ciò, mister? "L'Albiceleste, se rispolveriamo e ben adattiamo il verrou del signor Rappan, leggenda della federazione e mio avo, ha poche possibilità di far gol. Basta tenerne sempre tre o quattro nei dintorni di Messi: raddoppi su raddoppi e linee di passaggio costantemente coperte, occluse, invisibili, persino inimmaginabili. Lasciare un po' di campo (ma non troppo) a Di Maria, uno che spesso si limita a fare il solletico ai grilli. Intasare lo spazio davanti all'area. Tutti gli altri sono emeriti brocchi o lenti randellatori delle terre di mezzo e quindi suvvia, crediamoci e andiamo". Ecco dunque il piano tattico di Rappan. Pardòn, di Hitzfeld. In effetti, è stata una partita di ermetica difesa per quasi centoventi minuti. Nell'unica situazione in cui gli argentini hanno potuto giocare la palla godendo di lieve inferiorità numerica - in fase di transizione attiva, come si suol dire; in sostanza, con un'azione di morbido contropiede - sono andati in porta col pallone; poi accadranno fatti inverosimili e inenarrabili (come in Brasile-Cile, più o meno), ma il responso non sarà revocato. Vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole. Inutile farsi domande.

Mans

1 luglio 2014

Archetipi e degni eredi

Cartões Postais do Brasil

Con la prestazione maiuscola contro l'Algeria Manuel Neuer si è ripreso lo scettro di migliore portiere del globo terracqueo che, per qualche ammaccatura alla carrozzeria, si era un po' appannato negli ultimi mesi. Il luogocomunismo mediatico lo celebra in queste ore come "portiere moderno: un mezzo libero". A parte l'ossimoro implicito in questa affermazione - che il ruolo di "libero", cioè, sia espressione di "modernità" nel calcio di 2014 -, l'osservazione, oltre che banale, è storicamente immemore.

30 giugno, Estadio Beira-Rio, Porto Alegre
Manuel Neuer "sweeper-keeper", ruolo moderno in quanto antico
Proprio un 30 giugno - lo stesso della partita di Porto Alegre - ma di 60 anni fa, in un match tra i più belli del Novecento, la semifinale del Mondiale svizzero tra Ungheria e Uruguay, Gyula Grosics mostrò al mondo, che cominciava a connettersi attraverso i tubi catodici, cosa significasse interpretare "modernamente" - allora, non oggi - il ruolo di portiere. Basta rivedere la partita [nella nostra Cineteca] per apprezzare la straordinaria novità che rappresentava, per un calcio invecchiato tra Metodo e Sistema, un portiere capace di giocare con i piedi e di uscire fuori area quale "estremo difensore".

In realtà, gli spettatori inglesi avevano già visto all'opera in tal senso la Fekete Párduc (per la divisa, non per il colore della pelle) il 25 novembre 1953 nel "match of the Century" [anche questo visibile in Cineteca]: quando alla fine del primo tempo Grosics uscì dall'area a respingere il pallone sull'accorrente Stan Mortensen, il telecronista della BBC commentò: "Unorthodox but effective!". Come osservò Brian Glanville, Grosics, per il suo tempismo, agiva come "an extra full-back", compensando "the burden placed on the rest of the defence, by the advanced position of the inside-forwards" [Soccer nemesis, p. 177].

All'Estadio Beira-Rio di Porto Alegre, Joachim Löw non ha potuto schierare Mats Hummels, che non sarà il Kaiser Franz ma nemmeno (per fortuna dei toeschi) Leonardo Bonucci, e l'assenza si è rivelata vistosa. Sbilanciata in avanti per tutto il tempo - 63% di possesso, 16 conclusioni in area, etc. - la Mannschaft ha rischiato innumerevoli volte (11 al tabellino) - di subire l'agilità e la pericolosità delle Fennecs. Nella metà dei casi ha risolto Neuer agendo da "sweeper-keeper": moderno in quanto antico. Degno, degnissimo erede, dell'estremo della Aranycsapat, che ci ha lasciati all'inizio di questo Mondiale [vedi]. Neuer ne ha onorato la memoria proprio nel giorno della ricorrenza di una delle più belle partite giocate da Grosics ad un torneo iridato. D'altra parte, trattasi di due Pentavalide.

Azor