28 febbraio 2014

La crisi europea

Fettine di coppa: andata (II) degli ottavi di finale 2013-14

"Risultato inglese" dicevamo in Italia negli anni 1970s, quando da noi fioccavano squallidi 0:0 in un campionato modesto assai (e che solo la nostalgia lascia credere migliore), per indicare i 2:0 che si leggevano nelle cronache della First Division e che ogni tanto si riuscivano anche a sbirciare grazie alle televisioni straniere di "confine" (Montecarlo, Capodistria, Svizzera Italiana). E 2:0 è stato in questa andata degli ottavi di CL per gli squadroni inglesi: Arsenal 0:2 dal Bayern, City 0:2 dal Barça, United 0:2 dal Pireo. Solo il Chelsea tutto difesa e contropiede di Mourinho ha limitato i danni (1:1) col Galatasaray. Speranze di riscatto al lumicino. Se va bene passeranno al turno successivo solo i Blues. Una mattanza epocale, in questo secolo, per i club di Premier.

La disparità tra prime e seconde dei gironi è già stata rilevata e spiegata in altre sedi [vedi]. Ma se dovesse essere confermata anche nei prossimi anni sarebbe la conferma della crisi di un formato commerciale - giocare un torneo tra le migliori squadre europee e non solo tra le vincitrici dei campionati - che ha vissuto il suo picco tra anni 1990s e primi 2000s. Il problema è che dal 2009 il turbo capitalismo pallonaro ha creato un'élite ristretta di superclub [leggi], che stanno relegando al ruolo di sparring partners club di nobile tradizione europea.

Lara Croft festeggia come il suo avatar
l'ennesima mirabolante doppietta televisiva
I gironi autunnali sono ormai dei round di allenamento, con le squadre di secondo rango che si battono per non finire in Europa League. La formula degli ottavi tutela ulteriormente le squadre zeppe di "top players" da play-station. Il 6:1 allo Schalke con doppiette della linea BBC è uno spettacolo deprimente nella sua "plasticità". Che fa rimpiangere i 7:1 inflitti alla Jeunesse d'Esch negli anni 1960s.

Nella crisi europea, la nostra pena è che i club italiani sono ormai scaduti a tal punto da non essere nemmeno più in grado di arrivare a questi turni farseschi. Il Milan rischia di non passare di fronte a un Atletico ormai scoppiato dopo il protratto eretismo del primo semestre. In serie B la Juve spezza finalmente le reni ai turchi; il Napoli rischia di essere messo fuori dai gallesi; la Fiorentina subisce pure un paio di reti da sconosciuti danesi (senza scandali arbitrali); la Lazio ne prende tre dai bulgari e il suo allenatore dichiara giulivo: "abbiamo fatto la partita che avevamo preparato".

Come avrebbe detto Gianni Brera: "A terra siamo noi con le nostre vergogne".

Azor

25 febbraio 2014

Soporifero derby a Torino e allergie basche per il Barça

Cartoline di stagione: 30° turno 2013-14


Il derby della Mole prometteva più di quel che effettivamente ha regalato. Dicono gli esperti di cose granata che Ventura, in questa stagione, due sole volte ha messo in campo i suoi con assetto timoroso o prudente. Nel derby di andata e in quello di domenica sera. Doppio zero a uno, doppia razione di polemiche arbitrali - che francamente ci annoiano da quel dì.  Notazioni tecniche? Qualcuna. Conte sta forse progressivamente togliendo il pallino del gioco dai piedi di Pirlo. C'è un altro play-maker in squadra, ed è Carlitos Tevez; inoltre, gli esterni hanno ormai solo raramente gli spazi per andare senza palla in profondità, a raccogliere i lanci di quaranta metri sfornati con totale nonchalance da Sant'Andrea. Meglio, così li risparmia per quest'estate.  Si aggiunga che Llorente non è certo uno da servire sulla corsa, bensì sulla testa (da qualunque posizione) o sui piedi (anche spalle alla porta: la stazza gli consente una facile protezione della sfera, attendendo i movimenti di Tevez o le incursioni di Vidal e Pogba e - quando c'è - Marchisio). Questo basta a spiegare la relativa marginalizzazione del regista nel gioco bianconero: se gli avversari si schiacciano (come l'altra sera), i centrali di difesa avanzano e possono appoggiare direttamente sui due avanti. E a Tevez bastano due metri di spazio, un raddoppio saltato, un istante di deconcentrazione altrui per concludere e fare male. Il Toro non è riuscito a impedire quell'unica giocata, ed è andato sotto avendo prima comunque individuato ampie praterie alle spalle di Bonucci e Barzagli. Lasciato troppo solo in quelle circostanze (nessuno lo accompagnò negli assalti), Ciro Immobile - ottimo progetto di centravanti! - ha sprecato come doveva. Uno a zero quasi scontato dunque, soporifero, frutto di continuità juventina (a livelli medi) di rendimento, sicurezza, fortuna. Le bollicine romane divertono di più, certo; perciò per Garcia, comunque vada, questa stagione sarà in ogni caso un successo.

Reduce dai bagordi inglesi, il Barça conferma d'essere allergico alle trasferte basche. Vi è una certa rivalidad, nel nome comunque della comune antipatia per Madrid, e la Real Sociedad - in crescita dopo rovinosa campagna europea d'autunno - ha srotolato un repertorio indigesto per gli uomini del Tata. Tre a uno, vi aspettiamo tra un anno. E così, zitto zitto, quatto quatto - profittando della regolare battuta a vuoto dell'Atletico, capace di vincere (e fortunosamente) solo con il Milan nell'ultimo mese - Carletto è lassù, solitario in cima alla Liga, in novanta minuti proiettato tre lunghezze lontano dall'intera concorrenza. Non avevamo dubbi che, alla fine, il suo l'avrebbe fatto. Ha riportato la temperatura dell'ambiente e dello spogliatoio a livelli eco-sostenibili, e ora ha tutta la primavera davanti per mettere definitivamente a punto la macchina e il gioco.

Mans

20 febbraio 2014

I Citizens sbracano, Ibra monopolizza la scena

Fettine di coppa: andata (I) degli ottavi di finale 2013-14

Se continua così, il televisore può rimanere spento di martedì e mercoledì almeno fino ad aprile. Metà degli ottavi di finale di Champions League sono virtualmente già in archivio; né pare immaginabile che la tendenza sia destinata a cambiare nei matches in cartellone la prossima settimana. Le squadre piazzatesi al secondo posto nella fase a gironi, e dunque 'costrette' a giocare in casa l'andata degli ottavi, sono riuscite nell'impresa di non segnare un solo gol e di finire (con la sola eccezione del Milan) le rispettive serate in dieci uomini. Due inglesi su quattro sono già fuori dalla competizione; l'unica italiana rimasta, come da pronostico, pure. Tempi durissimi.

Battaglia nel cielo di Londra
Naturalmente, le partite più interessanti si sono giocate a Manchester e a Londra. Ma, mentre l'Arsenal ha fatto ciò che ha potuto contro l'invincibile armata bavarese riuscendo anche a metterla in seria difficoltà nell'avvio di gara, il City ha palesemente sbracato. Opposto al Barça, rinuncia letteralmente a giocare; le scelte di Pellegrini hanno ricordato quelle che ogni tanto irritavano la critica italiota quarant'anni fa, quando in trasferte ritenute difficili Trap blindava la squadra mettendo un terzino in più, in posizione di finta ala. Schierare Kolarov in luogo di Nasri, a meglio presidiare la fascia percorsa da Dani Alves, significa alzare in partenza bandiera bianca. Lasciare il possesso al Barça votandosi al contropiede ma rinunciando alla qualità, ancorare i due difensori centrali e far massa al centro perché le incursioni di Messi e le triangolazioni tra lui Iniesta e Fabregas sono potenzialmente dannose almeno quanto le discese del brasiliano: significa essere in preda al panico. La preparazione della partita dev'essere stata, per il successore del Mancio, un autentico incubo. Comprensibile, visto che negli scorsi anni, sulla panchina del Malaga, contro i blaugrana ha rimediato solo considerevoli batoste. Ma non è l'unico; e il City non è il Malaga. I catalani hanno confermato di non essere più l'XI irresistibile di qualche tempo fa; meno fantasiosi e imprevedibili, esibiscono una manovra lenta e che raramente si accende; sembra si divertano meno, sembra che giochino inerzialmente. Restano uno squadrone 'culturalmente' ancora superiore a tutti, alla pari del Bayern (e a proposito di 'cultura' del football: nell'atteggiamento degli sky-blues, martedì sera, non c'era nulla che vagamente rimandasse alla vecchia, 'cara' tradizione inglese, raramente ispirata da calcoli tattici comunque mai originati da un complesso d'inferiorità), ma senza destare l'ammirazione di un tempo e la sensazione di essere al cospetto di una squadra imbattibile o quasi. I Citizens hanno perso l'ennesima occasione per fare strada in Europa; tutto sommato, negli ultimi anni, hanno fatto peggio del Milan. Paradossalmente.

Nella sua maturità agonistica, passata la trentina, Zlatan Ibrahimovic infila prestazioni sontuose senza soluzione di continuità. D'accordo - si dirà -, il Bayer non è il Bayern, è anche in evidente crisi di risultati. Ma il PSG sta crescendo, e di questa crescita Ibra è il principale artefice. Che fosse un autentico uomosquadra, dominante nei confronti di compagni e avversari, si sapeva da un po'. Ma oggi la sua presenza scenica ricorda quella di Johann Cruijff.

A proposito di olandesi. C'era un tempo in cui a San Siro giocavano i giocatori più forti del mondo. E tra i più forti, particolarmente forti erano quelli venuti dall'Olanda. Quelli che collezionavano palloni d'oro. Quelli che tutti ritenevano i migliori. Ancora oggi, nel Milan, ci sono degli olandesi. Il Milan di oggi è composto da pedatori mediamente modesti; tra loro, tuttavia, emergono - per la superiore mediocrità - proprio quelli venuti dall'Olanda: Nigel de Jong e Urby Vittorio Diego Emanuelson. That's all.

Mans

17 febbraio 2014

Le rivincite

Cartoline di stagione: 29° turno 2013-14

16 febbraio 2014, Ashburton Grove, London
Un gol finalmente "pesante" di Poldo
The beatufil game è tale proprio perché - come ci ha insegnato Gianni Brera - è sì storicizzabile (in forma "critica") ma non predittivo (nel senso che "non sbaglia pronostici solo chi non li fa"). Dal turno pedatorio europeo ci giungono infatti, contemporaneamente, due cartoline con lo stesso messaggio: dal City of Manchester Stadium e dall'Ashburton Grove, per dirla senza sponsor. Là dove qualche giorno prima si erano svolte le medesime partite, con esiti apparentemente perentori, il risultato è stato clamorosamente (?) ribaltato.

La "fantastica" partita del Chelsea a Manchester (1:0) in Premier è solo un pallido ricordo di fronte al netto 2:0 rifilatogli dai Citizens in FA Cup. La demolizione dell'Arsenale londinese operata dal Liverpool in casa propria (5:1) è stata ribaltata fuori casa dai Gunners con una tenace prestazione di gamba e di testa (2:1). Alla fine il bilancio vede l'eliminazione dalla prestigiosa FA Cup sia del Chelsea sia del Liverpool e una classifica in Premier ancora tutta aperta: le quattro di testa sono raccolte in soli 4 punti a 12 turni dalla fine. E tutto può ancora succedere.

Provando a "storicizzare criticamente" si può intanto osservare che - avendo tutte messo in campo le 'seconde linee' - gli organici migliori sono forse quelli del City e dell'Arsenal. Che è la tesi - ex ante - di Mourinho e di Rodgers. Ma è vero solo in parte: per dire, ieri Łukasz Fabiański ha giocato anche meglio di quanto non faccia mediamente il pur ottimo titolare Wojciech Szczęsny. C'è anche dell'altro, in realtà, e non di tattico. Bensì di psicologico: l'approccio alla gara (presupponente nel City di Premier, molle nel Chelsea di FA Cup, feroce nel Liverpool di Premier, determinato nell'Arsenal di FA Cup, etc.). Che è qualcosa di non predittivo nemmeno per i protagonisti. E che rappresenta la vera inquietudine professionale degli allenatori, perché è un dominio ignoto su cui possono influire poco.

Di tale incognita sono consapevoli tutti gli allenatori, ma gli approcci sono diversi ovviamente. Basti pensare ai metodi di Herrera e di Rocco, ormai entrati nel luogo comune. Dei managers dei quattro club inglesi in questione, la soluzione più nota è quella di José Mourinho: la guerrilla permanente, la ricerca rabdomantica del nemico, l'eversione strategica del linguaggio, come aveva colto finemente Edmondo Berselli [vedi]. Al suo confronto le "vittime" balbettano, e un maldestro imitatore come Antonio Conte finisce col ragliare.

E' possibile che alla fine vinca il titulo Mourinho: la Premier è infatti il suo habitat ideale perché, come il discorso pubblico dello UK, è "politicamente corretta", inibita e sostanzialmente ipocrita. E un personaggio non ipocrita, disinibito e politicamente libero come José non può che dominarla. Ma ci torneremo sopra. Intanto continuiamo a goderci una stagione agonistica memorabile.

Azor

10 febbraio 2014

Quei terrificanti venti, rossi, minuti

Cartoline di stagione: 28° turno 2013-14

8 febbraio 2014, Anfield, Liverpool
L'orda rossa ha appena finito di squassare gli imbelli Gunners
Le foto di un match memorabile
Week end intensissimo e probabilmente decisivo per le sorti finali di più di un campionato. La cartolina non può arrivare che dall'Anfield [card], dove l'Arsenal ha perso la testa, travolto nei primi minuti da 4 reti e un palo: un annichilimento con pochi eguali nella storia del calcio di alto livello. Venti terrificanti minuti che hanno schiantato senza scampo, anzi senza reazione alcuna, la squadra guidata da Arsène Wenger, evidenziandone le non risolte fragilità di fondo, che nemmeno le belle prestazioni che l'avevano proiettata in cima alla Premier dopo molti anni avevano dissipato [vedi]. Difficile immaginare che una squadra che ha perso anche con l'attuale United (0:1), con il City (3:6) e pareggiato (in casa: 0:0) con il Chelsea, possa davvero ambire a vincere la Premier.

Il Liverpool era uscito ammaccato e ridimensionato dai turni natalizi (dove aveva buscato 2:1 sia dal City, con qualche svista arbitrale, sia dal Chelsea [vedi]). Ora rialza la testa. Ne va dato merito a Brendan Rodgers, giovane allenatore nordirlandese in continua crescita. Per scelta ideologica appartiene al Bielsa side, ed è cresciuto a pane e tiki-taka in salsa gallese con lo Swansea. A Liverpool ha mostrato un positivo senso pragmatico, migliorando partita dopo partita l'assetto tattico, fondandolo sulle caratteristiche dei giocatori. Il gioco parte sempre da dietro, dal portiere, palla a terra, ma sfrutta le verticalizzazioni che offrono frecce come Suarez, Sturridge, Sterling e il perlaceo Coutinho (ennesimo giovane immolato sull'altare della vecchia guardia argentina nerazzurra). Il progetto attuale è l'adattamento a centro mediano di Gerrard per conferirgli un sontuoso finale di carriera in una via di mezzo tra Xavi Alonso e Pirlo. Insomma, un affascinante laboratorio di idee e di uomini. Tutto da seguire.

Per il resto, i postumi del Monday Night si sono appalesati tutti: il City di nuovo in bianco, ma stavolta a Norwich; il Chelsea rinvigorito da Matic e dalla fioritura definitiva di un campione che si annuncia epocale come Hazard. Scendendo di latitudine, anche l'Atletico, come l'Arsenal, conferma quella sensazione di non compiutezza che avevamo rilevato da qualche turno [vedi]. A goderne è il Real, tornato in testa alla Liga senza isterismi. Tutto riaperto dunque, in apparenza, nei due campionati più appassionanti. La sensazione, a questa ora, è che alla fine possano prevalere le squadre guidate dai due allenatori migliori del mazzo, Carletto nostro e José, abituati più degli altri a navigare in acque mosse. Tutto finito invece anche in Ligue 1 (dove il Monaco vorrebbe ma non può), come già da tempo in Bundeliga e in Serie A. Con la differenza che mentre Bayern e PSG potranno dedicarsi alla Champions, la Juventus subirà la coazione a vincere la coppa di consolazione nel proprio Stadium. Una prospettiva non preventivata a inizio stagione.

Azor

4 febbraio 2014

Scusate il ritardo

Cartoline di stagione: 27° turno 2013-14

2 febbraio 2014, Estadio "Vicente Calderón", Madrid
Homenaje a Luis Aragonés
Da un "Vicente Calderón" che domenica 2 febbraio 2014 ha dato un ultimo, commosso, omaggio a un grande rojiblanco, Luis Aragonés [vedi], giunge la cartolina di questo turno pedatorio europeo [card].

Dopo un paio di settimane, sciolti gli ultimi impacci e vinta ogni remora, l'Atletico Madrid ha dunque conquistato la vetta solitaria della Liga, come era nell'aria da tempo. Che l'annata potesse essere quella buona per un ulteriore salto di qualità dei Colchoneros era apparso evidente sin dall'estate, quando avevano impattato due volte con il Barça perdendo la Supercoppa solo per differenza reti [vedi]. La guida impressa da Diego Simeone sta disegnando un progetto in progressione: dalle vittorie nelle coppe al titolo nazionale, riservandosi di giocarsi il jolly anche in Europa (come rischia di assaggiare presto il sambodromo del Milan). Un progetto che si affida alla qualità dei giocatori (buona nella media ma con poche eccellenze), alla chiarezza dell'idea di gioco (solidità difensiva, esplosività offensiva) e alle ambizioni degli obiettivi (dimostrare che il calcio spagnolo non è vincente solo grazie a due squadre).

Gli statistici ci ricordano che è dal 1996 che l'Atletico non è a questi livelli. Quasi due decadi in seconda fila, tra presidenti pittoreschi (Jesús Gil y Gil: "Mi error ha sido tratar a los jugadores como personas" ...) e grandi giocatori senza una squadra dietro (Simeone stesso). Ma da qualche anno, la marcia intrapresa dal nuovo presidente Enrique Cerezo ha mostrato che anche con un budget incomparabile con le pornografie finanziarie del Real e dei Blaugrana e con l'oculatezza della gestione (le vendite di Aguero, di Torres e di Falcao tradotte in investimenti) si possono ottenere risultati e vittorie. Poi c'è il Cholismo, ovviamente. Sul quale varrà la pena spendere qualche considerazione in più in un'altra sede. Qui basti osservare che in un'epopea come quella che sta vivendo l'ambiente dell'Atletico, occorre un eroe con cui identificarla: un eroe eponimo, per l'appunto. Bene inteso: che interpreta il ruolo con pieno merito.

Detto questo, la vittoria nella Liga è ancora tutta da conquistare, e l'impressione di non compiutezza definitiva [vedi] rimane. I Colchoneros hanno potuto approfittare anche degli sbandamenti di ambienti che hanno voltato pagina, e che ne soffrono le inevitabili difficoltà. Le dimissioni di Rosell e il caso Neymar svelano come le afasie di gioco dei Blaugrana abbiano le loro radici nella dirigenza. Carletto nostro a Madrid sta facendo miracoli: in pochi mesi ha rimesso in piedi le macerie fumanti lasciate dal predecessore e sta gestendo le bizzarrie di mercato del suo megalomane presidente. Ma basta osservare la "fase difensiva" - come dicono ora i cruscanti -  delle tre squadre per capire perché l'Atletico sia lassù in cima, con una sola sconfitta e con soli 14 gol subiti in 22 partite.

Azor