15 novembre 2014

Ritorno al futuro

L'ingaggio di Roberto Mancini da parte del F.C. Internazionale come allenatore per i prossimi due anni e mezzo si configura come un perfetto "ritorno al futuro". Che sigilla, e si spera chiuda definitivamente, una catena di errori dirigenziali avviata dalla gestione Moratti, che ha dilapidato - tra malintese riconoscenze ed eccessive vedovanze [vedi] - il capitale del Triplete, e perpetuata dalla gestione Thohir, che non ha colto il momento, nella tarda primavera di quest'anno, per avviare un ciclo nuovo con una propria cifra tecnica.

Con i trofei
Perché Roberto Mancini rappresenta un ritorno al futuro? Perché, nella storia dell'Inter, è l'allenatore che ha vinto più titoli e trofei - sette - insieme a Helenio Herrera: con l'ovvia differenza di peso tra le quattro coppe internazionali del Mago e le quattro solo nazionali del Mancio. Soprattutto, è l'allenatore che è stato capace di segnare l'inversione di senso nella gestione di Massimo Moratti, dimostrando che si poteva tornare a vincere anche sulla Juventus, fin dalla troppo spesso dimenticata finale torinese della Supercoppa 2005, in cui il famigerato Massimo De Santis si beccò le reprimende di Luciano Moggi per l'annullamento di un gol di David Trezeguet per sospetto fuorigioco. Mancini cominciò a vincere, cioè, prima che il ciclone Calciopoli si abbattesse sul calcio italiano, grazie alle sue qualità principali: saper scegliere i giocatori giusti per la propria idea di calcio, voler privilegiare le qualità individuali rispetto agli schemi tattici.

Quanto al primo punto, basti ricordare il mercato che Mancini concordò con Giacinto Facchetti e Gabriele Oriali nell'estate del 2004, al suo arrivo in nerazzurro. Furono ceduti: Cannavaro, Pandev, Kallon, Farinós, Bréchet, Pinilla, Ümit Davala, Dellafiore, Guly, Zicu, Helveg, Buruk, Almeyda, Lamouchi, Sorondo, Adani, Dalmat, Choutos e Fadiga, tra gli altri. E acquistati - si noti, per soli 3,5 milioni di euro: Burdisso, Zé Maria, Mihajlovic, Cambiasso, Verón, Favalli, Davids e Carini. Questo per dire che, nemmeno allora, difettavano nella rosa le vecchie glorie, i mesti ronzini e la mediocrità di molte figurine, e che Mancini seppe suggerire, anche negli anni successivi, acquisti azzeccati: nel 2005, quelli di Samuel, Pizarro, Maxwell, Julio Cesar, Figo; nel 2006, di Ibrahimovic, Vieira, Maicon, Grosso e Crespo; nel 2007, di Chivu.

Si potrebbe pensare che tutto ciò fu reso possibile da disponibilità finanziarie ora inimmaginabili. Ma ciò è vero solo in parte. Il bilancio dei trasferimenti dell'intero quadriennio di Mancini segnò infatti un disavanzo contenuto a soli 28,8 milioni di euro. Dispendioso è stato semmai il biennio di José Mourinho, che fece subito i capricci per avere in rosa un fenomeno come Ricardo Quaresma, costato da solo 24,6 milioni. José ha vinto la Champions per meriti propri ma anche grazie al mercato faraonico seguito all'ennesima eliminazione in coppa nel marzo 2009 (Milito, Eto'o, Sneijder, Thiago Motta, Lúcio e Pandev): il bilancio del suo biennio vede infatti un rosso di 36,1 milioni, grazie anche alla miracolosa cessione di Ibrahimovic per 69,5. Nei mercati dei tre anni successivi al Triplete - in cui Moratti ha speso male e venduto peggio [vedi] - la società ha comunque operato acquisti per 161 milioni (con un bilancio positivo, contro cessioni, di 15). Nella scorsa stagione a mezzadria con Thohir, la campagna è stata dispendiosa: 59,1 milioni di acquisti contro solo 9,85 di cessioni (con un "buco" di oltre 49 miloni). Quest'anno la spesa è stata finora di 12,1 milioni (ma con l'ipoteca di altri 7,8 per il saldo a venire di Dodò), a fronte di entrate per soli 9,65 [qui le fonti].

In queste ore Erick Thohir ha promesso che, per migliorare la rosa attuale, "nei limiti del possibile del bilancio interverremo già a gennaio seguendo le indicazioni dell'allenatore". Lo ha certo affermato per rianimare un ambiente depresso che, con la sciagurata gestione di Walter Mazzarri, aveva toccato uno dei punti più bassi della storia nerazzurra. Soprattutto è consapevole che quella di gennaio potrebbe essere anche l'ultima finestra di mercato possibile prima delle sanzioni che andranno negoziate con la UEFA in tema di fair play finanziario. Dunque il tempo stringe, e la consulenza di Mancini costituisce una garanzia.

Con la sciarpa
Tutto bene allora sotto il sole? No, ovviamente. La situazione finanziaria della società è disastrosa: il deficit dell'ultimo bilancio segna un preoccupante -85 milioni (la "Gazzetta" ha stimato che per il triennio valido per il FFP della FIFA il deficit sia stato di 180 milioni contro i 45 tollerati), i debiti raggiungono i 230 milioni (a fronte dei quali Thohir ha ipotecato tutto il patrimonio e i futuri ricavi della società) e costano rate da un milione al mese più interessi e un maxi-saldo da 184 milioni alla scadenza del 30 giugno 2019 (in pratica 58 milioni all'anno per 5 anni, cioè 290 milioni), il fatturato è sceso dai 250 milioni della stagione post Triplete ai 170 dell'ultima senza coppe (anche se Thohir spera di risalire a 190 in questa, grazie ai premi dell'Europa League e alle magliette vendute in Asia). Detto in soldoni: non ci sono.

E torniamo al futuro con Mancini. Si tratta di un buon tecnico, che ha dimostrato di saper vincere anche in Inghilterra e in Turchia. Non appartiene però alla fascia dei grandi - quella, per intendersi, degli Ancelotti, dei Guardiola o dei Mourinho, per stare solo a quelli in attività. Si colloca semmai nella fascia di quelli capaci di vincere campionati ma non (ancora?) coppe significative a livello internazionale - quella dei Wanger, dei Pellegrini, dei Conte, dei Blanc, per rammentarne alcuni. Non ha la visionarietà di un Bielsa (e dei suoi "allievi") e di un Klopp, e nemmeno la "garra" di un Simeone. Ma appare perfetto per un campionato malinconico come la Serie A e per la fase triste che vive l'Inter. Moratti già preconizza il terzo posto per quest'anno (cioè il sempre più arduo spareggio agostano per disputare la CL), ma ragiona come sempre da tifoso. Mancini eredita infatti una situazione tecnica disastrosa quanto quella finanziaria: giocatori che hanno smarrito il gioco, depressi nell'autostima, atleticamente provati; e una rosa migliore di quanto non si creda, ma comunque non paragonabile con quella che trovò nel 2004 (con Toldo, Materazzi, Cordoba, Zanetti, Stankovic, Recoba, Vieri, Adriano e Cruz, tra gli altri).

Nondimeno, il Mancio potrebbe assicurare nuovamente un'inversione di senso nelle vicende nerazzurre. Scontato è il ritorno alla difesa a 4, al trequartista e al gioco a due tocchi. Soprattutto occorrerà una preparazione adeguata nel ritiro invernale, che ridia tono ai singoli e restituisca ritmo alla squadra: presupposto per tornare a vedere un'idea di gioco propositiva, come è nelle corde di Mancini. Con un paio di innesti azzeccati a gennaio, il traguardo europeo potrebbe essere alla portata, così come un percorso decoroso in Europa League (finire tra le prime 8?) e magari anche in Coppa Italia. Come Benamante mi accontenterei: a terra come siamo con le nostre vergogne ...

Azor