2 ottobre 2014

Allergie alla coppa

Fettine di coppa: secondo turno 2014/2015

Qualcosa accomuna due club che, negli ultimi anni, hanno costruito un dominio significativo nei rispettivi paesi. Juventus e Manchester City, campioni d'Italia e d'Inghilterra in cinque delle ultime sei stagioni, regolarmente, in Europa, steccano. Sono allergiche alla musichetta. Smarriscono la propria identità, perdono le partite importanti, o non le vincono. Ora, la cosa è accettabile parlando della Juventus: squadra prepotente e inarrivabile e apparentemente di un altro pianeta nella declassata Serie A, quando passa i confini - è luogo comune, ormai - diventa più timida di una matricola; semplicemente, patisce e riflette la debolezza del sistema. La questione è meno comprensibile se si parla dei Citizens, abituati in Premier a rivaleggiare (superandoli di frequente) con club che, negli ultimi dieci anni, almeno una volta in cima all'Europa ci sono arrivati (Chelsea, United, Liverpool) o quasi (Arsenal), e che occupano posizioni di prestigio nel ranking Uefa; i Citizens vantano una rosa ampia e di grande qualità, possono permettersi di acquistare campioni e di venderne a capriccio, dovrebbero essere stabilmente (come minimo) tra le prime otto/quattro d'Europa (più avanti rammenterò le loro performance recenti), cosa che dalla Juve si desidererebbe ma è difficile 'pretendere'. Tra i due club c'è un notevole dislivello, se si parla di ricchezza e di tradizione: ma la Juve non riesce a compensare la propria (relativa) povertà con la tradizione, e una tradizione è difficile da fondare anche disponendo di risorse illimitate, come sta accadendo agli Sky blues. Una tradizione, un atteggiamento, un'abitudine; peraltro, anche la Juventus vanta una storia internazionale densa di delusioni: ma, in passato, sbandava spesso e solo all'ultimissima curva; ora, cade sempre alla prima salita, svelando immediatamente le magagne che in patria le è permesso di occultare.

Mario Mandžukić e José Martín Cáceres
La sfida portata all'Atletico sul campo contiguo al Manzanarre ha confermato anche la modestia tattica (da noi ben risaputa e più volte rimarcata) di Allegri, al quale si sono aggrappati i fan di Nostra Signora sedotti e abbandonati da Andonio Gonde. Il quale, come allenatore, vale molto (ma davvero molto) di più dell'ex pilota inabissatore del Milan. Questa Juventus - più tranquilla, più sagace, più consapevole, che finalmente ha capito come deve giocare Tevez, che non si spreme più del necessario, che uccide le partite quando è il momento di ucciderle (non un minuto prima, non uno dopo), dicevano i commentatori rinfrancati - è riuscita nell'impresa di farsi infinocchiare dall'Atletico esattamente nel modo che Simeone aveva pianificato. L'unico possibile. Le statistiche dicono molto, per una volta: i bianconeri hanno dominato nel possesso palla - sì, ma la palla ristagnava (nelle fasi di possesso) a non meno di quaranta metri dalla porta dei Colchoneros; i bianconeri non hanno tirato una sola volta nello specchio della porta; i bianconeri hanno persino commesso più falli (28) dei materassai (21), pur essendo stati proprio gli uomini del 'Cholo' a mettere il match sul tema del corpo a corpo insistito, dello spezzettamento inesausto, del nervosismo strategico. Una trappola perfettamente preparata, nella quale la Juventus è precipitata nel momento peggiore: a un quarto d'ora dalla fine. L'azione del gol ha rispecchiato perfettamente l'insipienza dei nostri, caduti ovviamente sul dettaglio: il pallone spiove in area (situazione di pericolo risaputa, contro coloro) e lo mette in rete Arda Turan, ma è un pallone che arriva sul piede del turco perché - in mezzo all'area - si è creato un mismatch, ovvero un duello aereo tra Caceres e Mandžukić, con dieci centimetri e dieci chili di differenza a favore del secondo, che non inzucca ma fa volare via l'uruguagio (al quale, dopo la collisione, esce la spalla). Fine della partita, il tempo restante è stato probabilmente il meno 'giocato' (parlo di tempo di gioco effettivo) nella storia della Champions League.


All'Etihad, invece, martedì si è visto del bel calcio. Ma - attenzione - il City è una squadra che prevale sulla lunga distanza, è una squadra da campionato. In quaranta partite, l'ampiezza della rosa (e la varietà dei sistemi di gioco) è un atout mica da ridere. Il test, per la Roma, era dunque e decisamente più morbido di quello affrontato dalla Juventus. Quel che l'Atletico non concederebbe nemmeno sotto tortura, il City addirittura regala (spazio dietro le linee, spazio davanti all'ultima linea). Difficile immaginare due modi di difendere più lontani: tanto è feroce e concentrato quello dell'Atletico, tanto è distratto e talora disinteressato quello del City. Anche l'intensità della pressione ambientale è agli opposti - e rilevata da gente come Scholes e Ferdinand [vedi], abituata a ben altre situazioni nella stessa città ma nell'altro stadio (quello 'vero'). Non a caso, nelle ultime tre edizioni della coppa, i Citizens hanno superato una sola volta la fase preliminare, fermandosi però alla stazione successiva. Il Milan, nelle stesse annate, ha sempre fatto meglio di loro. Ed è detto tutto.

Infine, un pensiero mesto per la confermata dissoluzione del Liverpool. Un'altra sconfitta, sul campo teoricamente non inespugnabile del Basilea: il glorioso St. Jakob. Da lì, idealmente e malinconicamente, arriva questa cartolina.

Mans