14 luglio 2014

Löw story

I Mondiali sono finiti e noi siamo già orfani della sfera di cuoio. L'astinenza è una brutta bestia e nelle prossime settimane si farà sentire eccome. L'epilogo è stato all'altezza del resto. La Germania ha vinto. Qualche giorno di vacanza e poi di nuovo a sudare sotto il sole di amene località montane perché il circo riaprirà i battenti fra un mese e mezzo.

13 luglio 2014, Estadio do Maracana, Rio De Janeiro
Jogi a testa alta verso il destino
Con gli occhi ancora illuminati da uno spettacolo bellissimo proviamo a tracciare un (provvisorio) bilancio della manifestazione. Iniziamo dai numeri, freddi come sempre, ma piuttosto indicativi: in questa edizione si sono segnati 2,7 gol a partita, nel 2010 erano stati 2,3. Vi sono state in media 0,2 espulsioni e 2,8 ammonizioni a partita, nel 2010 erano state rispettivamente 0,3 e 3,8. In campo si sono visti in media quasi 400 (396 per la precisione) passaggi a partita per squadra, nel 2010 erano stati 353 (altro che fine del tiki taka). La Germania, squadra vincitrice del torneo, è risultata l'undici col miglior attacco (18 gol) e la miglior media di passaggi, 4157, di cui solo 377 lunghi (chiedere a Guardiola e al blocco Bayern per ulteriori delucidazioni). La miglior difesa è risultata quella degli USA il che pare sorprendente, ma non lo è poi troppo se si considera che ad allenarli c'era il maestro del vincitore, quello Jurgen Klinsmann che ha chiamato a sé il giovane Joachim Löw nel 2004 come suo vice e gli ha consegnato le chiavi della Fussballnationalmannschaft nel 2006 dopo averlo avviato a una carriera che da ieri è già storia. E proprio nella vicenda di Löw sta, credo, il segreto della Germania campione del mondo 2014. I nipotini di Wagner giocano in un campionato che è un prodotto assai trendy. La Bundesliga è un torneo che tutti i Paesi vogliono e per assicurarselo sono disposti a sborsare fior di quattrini perché è bello e spettacolare. Come sono giunti a questo risultato? Con pazienza e programmazione. Sono partiti da lontano, hanno deciso con chiarezza quello che volevano fare da grandi e l'hanno fatto. Non si vince il mondiale solo con pazienza e programmazione, ci vogliono giocatori forti (quelli se li sono costruiti in casa) e tanta fortuna. Se non hai fortuna non vinci nulla, ma se hai programmato bene, se hai avuto la pazienza di crescere i tuoi migliori talenti senza svenderli al primo procuratore-squalo che ti si presenta con in mano qualche migliaio di euro, se costruisci stadi magnifici e accoglienti e releghi le televisioni al ruolo che hanno ovvero pubblicizzare il prodotto e non fagocitarlo, se sei tutto questo e sei sfortunato non vinci comunque il mondiale, ma non esci nemmeno al primo turno in un girone in cui ci sono Uruguay e Costa Rica né perdi 7:1 in semifinale.

La Germania ha programmato bene, ha costruito il suo successo investendo sui vivai, lasciando fuori il profitto immediato a ogni costo nella consapevolezza che il denaro sarebbe comunque arrivato, a fiumi ben più straripanti degli spiccioli sborsati per avere un diciassettenne che "forse" diventerà un fenomeno. E i soldi sono arrivati, insieme coi successi. La Nazionale tedesca si fonda sul blocco Bayern, tutte le nazionali vincenti si fondano su un blocco, ma deve essere forte davvero e non solo per tradizione o per strapotere interno (leggasi Italjuve e le magre figurette che i bianconeri rimediano in Europa, per non parlare delle altre italiche compagini impegnate in Europa League, vero imbuto da cui passano, a malapena, i nostri sogni puntualmente spezzati dal ranking UEFA).

Il Maracana incorona i degni Campioni
(compresi Poldo e Poldino)
Dicevamo del Bayern: i bavaresi sono una corazzata oggi, ma non lo sono solo perché spendono tanto nell'acquistare. Hanno in squadra due stranieri veramente forti: Robben e Ribery, entrambi giocano in Baviera da anni. Intorno, oltre a Dante (non sempre impiegato da Guardiola), Martinez e Thiago Alcantara vi sono tanti tedeschi, molti dei quali cresciuti calcisticamente in Germania. Ai Mondiali abbiamo scoperto quanto sono forti Goetze e Hummels, abbiamo avuto conferma del talento di Schweinsteiger, dell'immortalità di Lahm e della superiorità nel ruolo di Neuer. Non fa piacere che la Germania abbia vinto perché ci ha raggiunti nella classifica all times del campionato del mondo, ma se lo sono francamente meritato.

Se lo meritava anche l'Argentina che ieri ha giocato la sua miglior partita del torneo e l'ha persa. L'ha persa perché la Germania ha segnato un gol. L'ha persa perché Higuain e Palacio invece hanno sbagliato gol facili per due come loro. L'ha persa perché il dottor Sabella (comunque molto bravo) ha inspiegabilmente lasciato negli spogliatoi il migliore in campo dei suoi dopo i primi 45', Lavezzi. E l'ha persa perché, come abbiamo spesso ripetuto, Messi non è Maradona. Ora il paragone deve finire per sempre. Messi è Messi e francamente ci basta e ci avanza. Certo, speravamo di vederci consegnare un nuovo mito da adorare, un santino meno sbiadito da tenere sulla testiera del letto, ma non ci è stato concesso. Messi ha giocato come ha potuto, regalando un paio di begli spunti, ma niente di più. Abbiamo tutti negli occhi il momento in cui si è piegato e ha rimesso sull'erba del Maracana. Ma che gli succede? Perché soffre di questo tipo di attacchi? Siamo sicuri che le cure cui è stato sottoposto da ragazzo per vincere il capriccio della natura che lo aveva condannato al nanismo non c'entrino nulla?

L'Argentina ha fondato la sua cavalcata verso la finale sulla difesa. Ezequiel Garay è un centrale da mettere sotto contratto costi quel che costi. Bene Demichelis, Mascherano è semplicemente il migliore nel suo ruolo. Ma tutti i giocatori dell'Albiceleste ieri hanno fatto una grande partita. Gli è forse mancato troppo Di Maria. Poteva finire diversamente, ma è finita come doveva finire.

Sono convinto che fra due anni e ancor di più fra quattro il Belgio sarà la squadra potenzialmente più forte del mondo e che la Spagna non sia finita. Al Brasile occorreranno anni per riprendersi dalla catastrofe sportiva subita; l'Argentina è sempre capace di sfornare talento, ma ha perso un'occasione che non si ripeterà presto. Noi dobbiamo ricostruire tutto facendo piazza pulita del passato se vogliamo avere qualche speranza di rinascita. L'Olanda, orfana del suo guru, può sempre sorprendere, ma adesso in cima c'è la Germania di Löw. È a loro che bisogna guardare per colmare la distanza. Ne saremo capaci?

Cibali