25 giugno 2014

Delusioni, beffe e resurrezioni

Cartões Postais do Brasil 2014

L'intesa tra Mario e Ciro
Se una squadra non calcia mai in porta, è paradossale accusare principalmente il centravanti; viceversa, se incassa un numero di reti vicino al numero complessivo dei tiri indirizzati verso la propria porta, si potrebbe ragionevolmente pensare di avere seri problemi in difesa. Concordi tuttavia, la critica e la pubblica opinione (nonché il capitano della nazionale e il CapitanFuturo giallorosso) individuano in Mario Balotelli la principale delusione, il simbolo della mollezza e della modestia mostrata dagli Azzurri, condannati all'eliminazione nell'unico girone preliminare di Brasil 2014 dove si sia visto calcio antico, orrendo, lento, involuto.

Mario ha i suoi difetti. Caratteriali più che tecnici. Ha scarsa determinazione in campo. Forse anche scarso senso della posizione, tant'è vero che né Mancini, né Mourinho lo schieravano al centro del reparto offensivo, là dove si vive sempre spalle alla porta, spalle ai difensori, là dove ogni palla ricevuta va difesa con rabbia, con forza, subendo attentati alle caviglie, morsi ai polpacci, gomitate nella schiena. A questa guerriglia lui - giocatore moderno, ma non centravanti moderno - stenta a sottrarsi col movimento e con l'astuzia. Balotelli ha altre doti, ma da quando è tornato in Italia nessuno le ha sapute o volute sfruttare. Eppure l'hanno sempre tenuto lì. Dimezzandolo. Ridimensionandolo. Ciò nonostante, è bene ricordare che le ultime importanti vittorie della nazionale sono state timbrate da lui; e da lui sarebbe pazzesco non ripartire.

Georgios Samaras, sbucato ancora una volta dall'Aldilà
Certo, Italia-Uruguay è stata una delle partite meno commestibili di questo mondiale, e sarà ricordata solo per la sua relativa importanza e per il prestigio storico delle contendenti. Amen. Ci siamo riconciliati col football in tarda serata, assaporando le partite del girone C, quello che agganciato al nostro doveva comporre due carrozze nel treno degli ottavi di finale. Beh, su quei campi (a Fortaleza e Cuiabá) sembrava si giocasse uno sport diverso. Rapido, tecnico, spettacolare, pure se altrettanto disperato - soprattutto a Fortaleza, dove tra Grecia e Costa d'Avorio era in palio il passaggio di turno (esattamente come tra Italia e Uruguay). I greci, sempre dati per morti, riescono sempre a rimandare il proprio funerale; gli africani, dal canto loro, riescono sempre nell'impresa di sperperare il proprio talento, anche quando tutto sembra volgere per il meglio. Regalare un penalty a pochi secondi dalla fine (ieri sera); oppure averlo a favore ma sbagliarlo (il Ghana quattro anni fa). Accade a loro più che ad altri, e qualcosa significherà.

Perdiamo le incursioni di Gervinho, la potenza e la classe di Yaya Touré, le ultime fiammate di Drogba; ci teniamo la rabbia agonistica di Karagounis e di Papastathopoulos, nostre vecchie conoscenze. Per fortuna rivedremo la Colombia. Tecnica e velocità, gusto del gioco e molteplicità di soluzioni, giocatori fantastici. I Cafeteros sono il vero Brasile di questo mondiale, ma la questione è aperta; l'appuntamento per risolverla è già fissato: 4 luglio, a Fortaleza - sempre che Cile e Uruguay non si mettano di traverso.

Mans