7 gennaio 2014

La solitudine bianconera

Cartoline di stagione: 23° turno 2013-14

5 gennaio 2014, Juventus Stadium, Torino
L'esultanza bianca e nera è giustificata
Arriva dallo Juventus Stadium di Torino [card] la seconda cartolina dell'anno solare. Senza "aiutini" - anzi con una direzione di gara perfetta - la Juventus vi ha sbaragliato la sera di domenica 5 gennaio anche l'ultima pallida concorrente per lo scudetto, che ha giocato decentemente solo per la prima mezzora senza però mai dare la sensazione di poter fare bottino pieno. Solo il Bayern ha impiegato meno tempo (correva il 23 novembre 2013: Borussia asfaltato al Westfalenstadion) per uccidere la Bundesliga. Siamo però al 6 gennaio e la stagione finirà tra più di quattro mesi. Quale senso potrà assumere per i bianconeri? L'obiettivo dichiarato a inizio stagione era il terzo scudetto consecutivo e dunque Conte e i giocatori lo hanno centrato: 16 vittorie, un pareggio e una sconfitta che ha suonato la sveglia, non lasciano dubbio alcuno (se non agli infingardi).

Paradossalmente la Juventus sta prendendo coscienza della difficile situazione in cui si trova ormai da un paio di stagioni. Troppo forte in Italia ma non competitiva in Europa, come ha mostrato il deludente girone di Champions. Mal celato, l'obiettivo di quest'anno erano i quarti e magari le semifinali. La finale dell'Europa League nel proprio stadio impegnerà ora tutto l'ambiente a non fallire la coppa di ripiego. Pur favorita sulla carta, le insidie non mancheranno e non vi è alcuna certezza di centrare il risultato. Anzi, il mancato traguardo potrebbe avere effetti negativi sull'immediato futuro.

In breve, la società è in una terra di nessuno. Se torna indietro (cioè, se si ridimensiona come obiettivi e fatturato) è un fallimento, dopo gli investimenti importanti sullo stadio, sul "marchio", su una crescita sportiva fondata su bilanci sani (questi ultimi, si ricordi, non ancora raggiunti). Se va avanti il vento contrario su una strada in salita sarà sempre più forte. Conte appare sempre più stretto negli abiti attuali e impaziente di misurarsi su scenari più alti. Aggiungiamo che Pogba andrà a Parigi senza alea alcuna (il dubbio sarà solo se prima o dopo i mondiali), e che Pirlo molto probabilmente finirà per coronare la sua carriera a Madrid (come meriterebbe).

La dirigenza andrà avanti, come ovvio e giusto. Ma in solitudine. In Europa non gode di alcuna influenza, come ha mostrato la due giorni di Istanbul. In Italia è il declino (agonistico, economico e culturale) dell'intero movimento a renderla ancora più sola e debole: il club è finito con l'essere l'unica pezza di qualità di un tessuto logorato, come aveva colto con lucidità, dall'esterno, Simon Kuper già un anno fa [vedi]. Da allora, semmai, la tendenza si è acuita. Agnelli e i suoi collaboratori stanno per affrontare i mesi più difficili della loro gestione, in cui dovranno vendere bene i gioielli e acquistare meglio, rimanere competitivi (l'esempio è quello della vendita di Zidane), sanare finalmente il bilancio, e trovare un tecnico di qualità, possibilmente uno straniero vincente disposto a scendere in Italia. Non sarà facile. Ma un eventuale fallimento sarebbe tale non solo per la Juventus ma per l'intero calcio italiano.

Azor