30 dicembre 2013

La maratona di Natale

Cartoline di stagione: 21° turno 2013-14

29 dicembre 2013, Stamford Bridge, Londra
Petr Čech ammira l'utilità della traversa.
Irriferibile ma immaginabile l'opinione di Mamadou Sakho
La cartolina di quest'ultimo turno calcistico del 2013 non può non venire che dall'Inghilterra, e da Stamford Bridge in particolare [card]. Per più di un motivo. Ci siamo giustamente entusiasmati per il Boxing day pedatorio, che ci ha regalato un gran bella giornata di calcio. Ma giocare dopo 48 ore non è forse la cosa migliore. Molte squadre - soprattutto quelle costrette alle trasferte - sono stanche, alcuni giocatori si fermano con i muscoli logorati, il gioco perde di intensità e spettacolo, e anche i risultati ne risultano condizionati. Chelsea - Liverpool di ieri ne è stato l'emblema. Annunciata come la partita del week end, è durata di fatto solo un tempo: i Reds hanno cominciato arrembanti ma poi si sono progressivamente estinti, scomparendo nella seconda parte del match. Ai più o meno lungo degenti José Enrique, Gerrard, Sturridge e Flanagan, Rodgers dovrà ora aggiungere anche Sakho e Allen, stiratisi allo Stamford Bridge. La panchina del Liverpool è più corta di quella del Chelsea: mentre Mourinho ha potuto ruotare 5 giocatori in 48 ore, Rodgers ha dovuto confermare per 10/11 la formazione che si era battuta in modo leonino (e sfortunato) a Manchester il 26 dicembre.

Aggiungiamo un'evidente disparità di calendario. Il Chelsea non si è mosso da Londra dal 7 dicembre: da allora ha giocato in casa con il Crystal Palace il 14, è andato a far visita qualche miglia più a est all'Arsenal il 23, poi ha ospitato lo Swansea il 26 e il Liverpool il 29; non meraviglia che abbia incamerato 10 punti su 12. Il Liverpool, invece, nello stesso periodo ha giocato solo una volta in casa (il 21 dicembre col Cardiff) ed è andato dapprima a Londra (il 15 nella tana del Tottenham), poi a Manchester (il 26 col City) e di nuovo a Londra (il 29 col Chelsea); non meraviglia che i punti fatti siano stati solo 6 su 12, con due sconfitte nelle ultime due trasferte dal fiato corto e dal corredo arbitrale avverso. Se guardiamo alle altre in testa alla classifica, delle 4 partite "natalizie" l'Arsenal ne ha giocato e giocherà due in casa (il 21 col Chelsea e il 1° col Cardiff) e due fuori (il 26 a Londra col West Ham e ieri a Newcastle); mentre il City ne ha giocato due consecutive in 48 ore in casa (Liverpool e Crystal Palace, con la quale non ha, nemmen esso, brillato) mentre le due trasferte sono state il 21 (a Londra col Fulham) e il 1° gennaio a Swansea. In breve, il calendario migliore era quello del Chelsea, che lo ha sfruttato appieno. Chi non ama José tira in gioco il suo famoso deretano posato sul latte sin dalla nascita. Ma lui, oltre che nel latte, sguazza nel fragore.

Dopo i due pareggi interni con Everton e Chelsea e la scoppola di Manchester, l'Arsenal (anch'esso alle prese con vari infortunati: Vermaelen, Özil, Oxlade-Chamberlain, Ramsey, Monreal, Diaby e Gibbs) ha sfoderato un inaspettato "carattere", andando a vincere in trasferta due volte consecutive, mostrando determinazione e forza (rimonta col West Ham, uppercut al Newcastle). E' meritato campione d'inverno. Ma non è stato capace di fare il vuoto quando doveva e poteva. Rinvengono alla spalle, clamorosamente, il City e, sornionamente, il Chelsea. Se la mattina del Boxing day la classifica si presentava schiacciata con 5 squadre in 2 punti, la sera del Capodanno la graduatoria potrebbe essere ancora più sfrangiata di quanto non lo sia oggi (le cinque sono ora stirate su 6 punti). Il Liverpool ha perso la testa, l'Arsenal no. Ma tutto deve ancora cominciare. E' il bello della Premier di questa stagione.

Azor

27 dicembre 2013

Lo Pseudobomber dei Gunners e l'Hombre Orquesta dei Reds

Cartoline di stagione: Boxing Day 2013

Lucas 'Poldo' Podolski festeggia il rientro e l'ennesimo gol
superfluo della sua carriera
Grande Boxing Day, è d'uopo scappellarsi. Iniziato con la faticosa rimonta dello United al Kingston di Hull (campo problematico da espugnare), due gol al passivo in pochi minuti e una difesa disperata negli assalti finali dei Tigers; proseguito con l'ordinariamente fortunosa (nella dinamica dell'unica rete messa a tabellino) sgambatura casalinga del Chelsea (ma lo Swansea, va detto, ha fatto ben poco per sottrarsi all'inerziale logica della partita) e con la gloriosa riapparizione, ad Upton Park [card del 1962: footing di Bobby Moore], di Poldo Podolski, Pseudobomber dei Gunners che (nonostante il rendimento costante ed elevato di Giroud) hanno proprio nel segmento terminale della compagine il loro punto forse più debole. Poldo ha confermato la sua fama di ammazzasette. Segna sempre quando il pubblico è già incanalato verso le porte d'uscita, quando la partita è in ghiaccio, archiviata nella sostanza se non nella forma del risultato, ed è proprio sul risultato che lui sa accanirsi come pochi, trasformando un 4:0 in un 5:0, un 5:0 in uno 6:0 e così via. Gli avversari non lo temono, quando le cose sono in bilico (o imponente la sfida) lui è solito esibire il repertorio tipico del mestissimo brocco, fatto di errori madornali e indimenticabili (per chi ha memoria corta, basterà andare a rivedere come partì l'azione del secondo gol italiano nella semifinale di Dortmund del 2006, o come il de cuius si divorò il gol che avrebbe riaperto quella di Varsavia nel 2012). C'è però chi lo apprezza: per esempio Wenger. Povero Arsenal: dove spera di arrivare con Poldo?

L'uruguagio del Liverpool invoca volando
una compensativa giustizia arbitrale
La giornata è finita in gloria al City of Manchester: big-match in tutti i sensi, quello tra Sky Blues e Reds. Importantissimo per la classifica, straordinario per emozioni, qualità, intensità. A mio modestissimo parere, la migliore partita dell'anno - addirittura strabiliante il primo tempo. I rossi, nella loro versione più scintillante degli ultimi trent'anni, avrebbero potuto far saltare il fattore campo e mettere una seria ipoteca sulla seconda parte della stagione domestica; non ci sono riusciti, pagando la vocazione a sprecare ignobilmente sotto porta, strapagando alla lunga una grossolana interpretazione arbitrale su azione di contropiede fermata appunto per una posizione di off-side dell'uomo lanciato a rete, e scontando (infine) la superiore capacità ed esperienza degli avversari nel leggere la partita, nel variare l'atteggiamento, accelerando o rallentando, pressando o aspettando, assecondando meglio convenienze e situazioni di gioco. Di questo match immagino si parlerà a lungo. La maturazione della rosa gestita da Pellegrini è evidente, la stagione potrebbe essere trionfale o quasi. Il Liverpool può diventare qualcosa di simile al Borussia di Klopp, ma per ora sembra destinato a subire troppo le carenze qualitative di parecchi singoli, compensate però dalla debordante presenza (tecnica e atletica) di Luis Suarez, pedatore che, allo stato, si configura come unico hombre-orquesta del calcio mondiale, dominatore assoluto delle partite come solo pochi grandi del passato ho visto capaci di essere. Potrebbe essere una fase di grazia, la grande stagione che segue e precede altre non prive (anzi) di lampi ma rovinate dal cattivo carattere (eufemisticamente parlando) dell'individuo, dalla discontinuità tipica dei campioni incompiuti; potrebbe invece essere la stagione del vero salto di qualità, l'anno che svela la dimensione definitiva di un fuoriclasse. Il Liverpool ieri ha perso, ma Luis Suarez ha sfornato non meno di mezza dozzina di assist nei quali si condensava tutta la sapienza calcistica e la morbidezza di tocco di Pelé. Senza esagerare.

Mans

24 dicembre 2013

Fromages vs champagne

Cartoline di stagione: 19° turno 2013-14

22 dicembre 2013, Parc des Princes, Parigi
Marco Verratti inseguito da Les Dogues
Parigi è meta natalizia d'eccellenza, e la cartolina di questo turno non può non giungere dal Parc des Princes [card]. Anche perché il LOSC Lille - c'est à dire, Lille Olympique Sporting Club - vi ha bloccato i quatarioti della rive droite, andando in vantaggio e subendo il pari a venti dalla fine solo per uno sfortunato rimpallo: soprattutto, giocando in modo semplice e impavido una partita di contenimento e contrattacco. E mostrando tutti i limiti irrisolti - di investimenti, di rosa e di gioco - del Paris Saint-Germain.

Il Lille ha vinto la Ligue 1 nel 2011 con Rudi Garcia in panca. Adesso vi appoggia i glutei un altro apprezzato entraîneur transalpino René Girard, capace di vincere il titolo nel 2012 con il Montpellier, che è un po' come dire l'Ascoli 1898 (a proposito: una prece per il fallimento di questi giorni nella speranza che presto rinasca dalle ceneri) guidato da Carletto Mazzone. In breve: personaggi che vengono dalla gavetta e vivono di pane e calcio. Girard adesso è lì, a quattro punti dal PSG e ad uno solo dal Monaco. Da entrambi i quali lo distanziano solo le oscene e siderali disparità finanziarie.

Non è un caso che il soprannome dei lilloises sia Les Dogues, i Mastini: pane e formaggio contrapposti al caviale e allo champagne dei parigini. Come molte della Ligue sono una squadra di impianto africano con il titolare della nazionale della Nigeria in porta, Vincent Enyeama, e un attaccante di qualità come Salomon Kalou, con un passato al Chelsea e un presente anche nella nazionale ivoriana. E poco più, se non il capitano Antonio Mavuba che, nientepopodimeno, ha pure messo le mani in faccia a Sua Maestà Zlatan mandandolo KO. Tanto per far capire il clima.

Laurent Blanc ha disposto nuovamente l'argenteria in campo, ma il risultato è sempre lo stesso: se non risolvono Ibra o Cavani la squadra fatica a imporsi su avversarie compatte e ben organizzate. Manca qualità sulla trequarti, davanti a Thiago Motta e Verratti. La rosa è invece farcita di mezzo sangue capaci solo di lanciarsi in avanti ma non di lanciare in avanti la palla in modo filtrante: tra Lucas, Menez, Pastore e Lavezzi, tutti sopravvalutati castroni, almeno due sono di troppo. Basterebbe uno come Mata, Silva o Isco, per indicare pezzi da Champs-Élysées. Basterebbe prezzolare un po' meno i mega procuratori del circo e affidarsi a qualcuno che di calcio ne capisce. O magari, più semplicemente, dare ascolto a Blanc.

Azor

16 dicembre 2013

Se nove gol vi sembran tanti ...

Cartoline di stagione: 18° turno 2013-14

14 novembre 2013, City of Manchester Stadium, Manchester
Arriva dal City of Manchester Stadium [card], e non poteva non essere così, la cartolina di questo turno stagionale dicembrino. Chi ha avuto la fortuna di guardarla ha assistito a una delle più belle partite della stagione: il City ha vinto meritatamente con largo margine su un Arsenal che ripropone anche in questa annata le fragilità di tenuta che aveva mostrato in quelle più recenti (e sulle quali avevamo già avanzato i nostri dubbi: vedi). Il risultato - 6:3 - è l'esito di una partita giocata dal primo all'ultimo minuto all'attacco da entrambe le compagini. Gianni Brera avrebbe inseguito con l'ombrello i difensori, perché è evidente che nove reti sono uno sproposito e in molte di esse è indubbio che hanno pesato errori grossolani nella fase difensiva e nei terminali davanti al portiere. Inadeguato, in particolare, si è rivelato lo spagnolo Nacho Monreal (sostituto forzato di Kieran Gibbs): sulla sua fascia i Citizens si sono infilati innumerevoli volte, scardinando l'assetto centrale della linea difensiva dei Gunners.

Reso omaggio al realismo paduo di Mastro Gioann, possono essere fatte anche un paio di considerazioni che attengono all'evoluzione delle idee di gioco e alla cultura calcistica del campionato britannico. La prima constata come nel calcio di vertice a livello internazionale stia prevalendo da qualche anno un orientamento a favore del calcio offensivo: "lo spettro del gol che si aggira per l'Europa", come lo ha chiamato Jonathan Wilson [leggi], ascrivendone a padre tutelare Marcelo Bielsa, col suo stile di gioco votato al possesso, "more passing, less tackling", e crescentemente diffuso in giro per il mondo (da Pochettino a Guardiola, da Rodgers a Montella, da Mancini a Pellegrini, agli stessi Prandelli o Benitez, per ricordare solo qualche santone). Stiamo attraversando una fase culturale che, pur senza esprimere estremismi ideologici, ritiene più virtuoso segnare un gol in più piuttosto che subirne uno in meno.

Per le tradizioni del calcio all'italiana è qualcosa, a un tempo, di riprovevole e di difficile acculturazione. Ben altro è il clima, come sappiamo, nella Terra Madre. Dopo le tragedie e le violenze degli anni 1980s, la Premier League si è affermata come il maggiore campionato planetario - quello che guardano tutti - non solo per la cultura ambientale (stadi, tifosi, merchandising etc.) ma anche per la piacevolezza di fondo del gioco espresso, con punte alte di spettacolarità, cui contribuiscono protagonisti provenienti da tutto il mondo, in quella vocazione sincretistica (apertura alla tradizione) di cui è magnificamente capace solo l'eredità imperiale britannica.

Azor

12 dicembre 2013

Una cupa giornata italiana

Fettine di coppa: sesto turno 2013-14

La disperazione di Gonzalo Gerardo Higuaín al termine
di Napoli-Arsenal
Finalmente – possiamo ben dirlo – la fase a gironi della CL si è conclusa. L’ultima giornata ha visto il nostro calcio protagonista assoluto, in tutte le sue componenti. Gli ultras del Milan che cercano di accoppare qualche omologo olandese (c’era chissà quale vendetta da consumare) tendendo agguati col favore della nebbia a oltre un chilometro di distanza da San Siro; i giocatori della Juventus che riescono nell’impresa di perdere a Istanbul (dove, da qualche anno, si gioca spesso in condizioni estreme); la terna arbitrale italiana (guidata da Tagliavento) che a Gelsenkirchen non azzecca una decisione, favorendo palesemente la vittoria dello Schalke sul Basilea (nel gioco dei cartellini rossi mostrati e risparmiati, e di un gol in fuorigioco ridicolo convalidato) e la sua qualificazione agli ottavi; il Napoli che batte al San Paolo anche l’Arsenal dopo il Dortmund, ed è nonostante ciò costretto ad abbandonare la competizione, pur avendo messo assieme la non immodica cifra di dodici punti in quattro partite. Una giornata cupa, di calcio povero – al Meazza, una delle superclassiche d’Europa è stata davvero un pianto; e povero il nostro calcio, si dice nei bar, se ad avanzare è solo il Milan. Il Peggior Milan di Tutti i Tempi, si aggiunge. La Peggior Squadra Italiana del Momento, si chiosa. Eppure è – appunto – l’unica che rimane a galla. Dov’è la novità? La Juve invece ha fallito. Clamorosamente e senza attenuanti. Anche in questo caso: dov’è la novità? Il Napoli, invece, ha entusiasmato, avrebbe strameritato di passare, ora tuttavia deve guadagnare posizioni nel ranking senza snobbare l’Europa League, e possiamo già tranquillamente affermare che l’anno prossimo, nella medesima situazione del Napoli, ci sarà la Roma, o qualunque altro club dovesse acciuffare il biglietto d’ingresso per il Group Stage. Se sei indietro nel ranking, ti capita il girone de le muerte e, per malasorte o per dabbenaggine, succede di frequente che sia la meno quotata a lasciarci le penne.

Dopo sei partite, si potrebbe redigere anche una classifica complessiva delle trentadue partecipanti. Per gioco, è ovvio. Ecco le sedici che si sarebbero qualificate:
16 punti – Real Madrid, Atletico Madrid
15 punti – Bayern, Manchester City
14 punti – Manchester United
13 punti – PSG, Barcelona
12 punti – Chelsea, Dortmund, Arsenal, Napoli
10 punti – Leverkusen, Olympiakos, Benfica, Schalke
9 punti – Milan
Il Milan, dunque, pur classificandosi all’ultimo posto, sarebbe passato. Al posto di Napoli e Benfica ci sono Galatasaray (7 punti) e Zenit San Pietroburgo (6 punti, come la Juventus). A proposito di Benfica (e Porto): nessuna portoghese agli ottavi, non è una novità ma, certamente, sorprende.

In cima, le due madrilene. Non pare un caso. Il Real, dopo tanti anni, ha finalmente ingaggiato un allenatore, e già si vedono parecchi miglioramenti. L’Atletico potrebbe recitare in commedia la parte che l’anno scorso fu del Borussia. Saranno – credo – le principali avversarie del Bayern, che si è finora solo allenato, rodando il nuovo motore e riverniciando la carrozzeria. Ora attendiamo i sorteggi, per sapere chi passeggerà sulle ombre del Milan e chi invece pescherà l’Arsenal, possibile (ma non probabile)  mina vagante del torneo.

Mans

10 dicembre 2013

¡viva el Sevilla!

José María del Nido Benavente, 
ex-presidente del Sevilla Futból Club (2002-2013)
Qualcuno si stava ormai abituando all'idea di un presidente operativo dietro le sbarre, ma finalmente si è chiusa la lunga era delnidista del Sevilla FC: 26 anni con mansioni nell'organigramma del Gran Club de Andalucía – undici e mezzo dei quali al vertice della società – sono stati ruvidamente interrotti da una breve conferenza stampa nello stadio Sánchez-Pizjuán, circondato per l'occasione dallo scomposto "affetto" di un meeting di ultras inferociti. Viene da chiedersi per quale motivo il tronfio e battagliero presidente della migliore squadra del mondo degli anni 2006 e 2007 – se tributiamo un senso ai premi assegnati dall'International Federation of Football History & Statistics – abbandona, citando lo stesso protagonista, "un ventricolo del suo cuore malconcio".

Le ombre sull'avvocato José María del Nido Benavente si addensano già in tempi remoti, molti anni prima della sua nomina a presidente dei Nervionenses biancorossi: una delle cause è la militanza (goffamente occultata in tempi più recenti) nel partito di estrema destra Fuerza Nueva. Nella famiglia del Nido, la fede calcistica e i raffinati ideali politici si sono tramandati con rigore e fedeltà: il padre José María del Nido Borrego fu vicepresidente della società nel 1971, nonché alla guida della sezione sivigliana del suddetto partito e, nel 1977, candidato senatore per il partito neofranchista Alianza Nacional 18 de julio (inquietante coalizione risultante dalla fusione di Falange española de las Jons e Fuerza Nueva). Pertanto, nel 1978 il ventunenne pargolo decideva di rendere orgoglioso il genitore partecipando al pestaggio di Jesús Damas Hurtado, un militante del Partido de los Trabajadores de Andalucía, fatto per cui sarà poi processato.

16 maggio 2007, Glasgow: Sevilla-Español, finale Uefa. 
La premiazione con del Nido
D'altro canto, indiscutibili sono i successi in ambito sportivo e amministrativo. Nell'agosto del 1995, in qualità di vicepresidente affronta la torrida estate in cui il club viene escluso dalla massima serie per non aver presentato in tempo utile le garanzie finanziarie necessarie all'iscrizione al campionato; ciononostante, l'abile e intrallazzante del Nido riesce a ovviare alla sanzione e ottiene addirittura l'ampliamento del numero delle squadre ammesse alla Primera División: da 20 a 22.Nominato presidente il 27 maggio 2002, inaugura il suo mandato impugnando la rovinosa situazione finanziaria del club: sana 40 milioni di debiti del club attraverso la vendita degli assi più quotati (Reyes all'Arsenal nel 2004, Julio Baptista e Sergio Ramos al Real Madrid nel 2005) e allestisce una rosa carica di talento, allenata da Juande Ramos (in seguito sostituito da Manolo Jiménez) e composta negli anni da ottimi elementi come il portiere Palop, gli emergenti e spensierati Dani Alves, Keita, Darío Silva, Jesús Navas e i più esperti Poulsen, Maresca, Diego Capel, Renato, Kanouté, Luis Fabiano, Adriano, Chevantón, oltre allo sventurato canterano Antonio Puerta. Dopo 58 anni di digiuno, del Nido traghetta la squadra al raggiungimento di alcuni storici trionfi. In campo internazionale, il club conquista per due anni consecutivi la coppa Uefa: il 10 maggio 2006 archivia la finale del Philips Stadion di Eindhoven con un roboante 4-0 sul malcapitato Middlesbrough di Massimo Maccarone, e l'anno dopo si conferma campione nello scontro finale, tutto spagnolo, di Hampden Park (16 maggio 2007), battendo ai rigori l'Español. Dentro i confini nazionali, il Sevilla sfida e sbaraglia più volte l'iniqua concorrenza delle superpotenze della Liga: il 25 agosto 2006 soffia  la Supercoppa Europea al Barça, con un indigesto 3-0; nel 2007 vince la Copa del Rey nella finale giocata al Santiago Bernabeu, liquidando il Getafe, e la Supercoppa Spagnola  contro il Real Madrid; nel 2010 ostenta la conquista della seconda Copa del Rey al Camp Nou, superando l'Atlético Madrid. 



Il temerario presidente, entusiasta della propria creatura e inebriato dall'inimmaginabile successo, a fine 2010 lancia una nuova sfida – destinata a fallire fragorosamente – ai colossi del calcio spagnolo, capeggiando la cosiddetta Revolución Delnidista, una egualitaria dichiarazione di guerra a Madrid e Barça per una più equa suddivisione dei diritti tv; il fallimento del robinhoodiano Delnidismo e della strategia politica del club contribuisce al calo degli investimenti del club dal 2011, e con essi al crollo del rendimento della squadra, sino a quel momento in pianta stabile nell'Europa che conta.  Ma il congedo del presidente è vincolato a questioni extrasocietarie: infatti, l'annuncio segue di quattro giorni una sentenza definitiva di condanna, emessa dal Tribunale Supremo a carico di del Nido, a sette anni di detenzione per il coinvolgimento in una torbida trama di corruzione del Municipio di Marbella. Il presidente del Sevilla FC, nonché azionista e consigliere delegato del gruppo che detiene il 35% della proprietà del club, è stato, nel recente passato, intimo amico e avvocato degli ex-sindaci di Marbella Jesús Gil (celeberrimo e discusso presidente dell'Atlético Madrid tra il 1987 e il 2003) e Julián Muñoz, con i quali si immerge per anni in un variopinto intrigo criminale movimentato da corruzione, falsificazione di fatture, peculato e irregolarità varie nella gestione di appalti municipali.

Così ieri è andato in scena un dissonante concerto sivigliano: lo straziante discorso di commiato del presidente dimissionario terminava con un vigoroso, ricinato e triplice ¡viva el Sevilla!, armoniosamente impastato con la linea melodica in contrappunto all'esterno del Sánchez-Pizjuán, dove la turba ringhiava Del Nido, ratero, dónde está el dinero?

Duca 

9 dicembre 2013

Razzie bavaresi e splendori romani

Cartoline di stagione: 17° turno 2013-14

7 dicembre 2013, Weserstadion, Brema
Le razzie bavaresi non si interrompono;
le maglie del Werder sono state  un facile bottino
Dal Weserstadium di Brema arriva una cartolina con i saluti di van Buyten, Ribery, Mandzukic, Thomas Müller, Götze e anche di Lukyima, difensore del Werder. Autori - volenti o nolenti - dei sette gol (compreso l'autogol, appunto, di Lukyima) con cui il Bayern ha passeggiato sui ricordi dello squadrone anseatico. Imbarazzante la superiorità dei bavaresi: il Pep sta mettendo a punto il suo nuovo prototipo, e dopo nemmeno mezza stagione di rodaggio ha già accantonato la Bundesliga per continua e ripetuta rottura del motore patita da tutti i (presunti) competitori, compreso il Borussia. Sistemata la pratica, si dedicherà a tempo pieno per il Gran Premio d'Europa, e li si potrà già misurare l'autentica dimensione storica di questo XI.

Così, mentre quest'anno la Bundesliga è puro one-team-show, altrove si giocano partite di alto livello agonistico. Splendida la prova dell'Everton nella tana dei Gunners, che hanno sofferto e parecchio per arginare l'euforico atletismo dei Toffees, che stanno mettendo in mostra giocatori di cui sentiremo parlare - Ross Barkley per esempio, oltre al già ben noto Lukaku. I frillini di Wenger hanno pur ricamato alcune trame a palla bassa di alto tasso tecnico, sono pur andati in vantaggio a poco dalla fine, ma la reazione dell'Everton è stata ruggente, e il pareggio sacrosanto. Dopo il Southampton, l'Everton: in Premier si rinnova la vetrina a cadenze regolari, offrendo presunte succose novità. Nessuna, finora, è riuscita a fare davvero tendenza.

Tuttavia, il week-end è stato certamente dominato - sul versante del divertimento e della spettacolarità - dalla nostra bistrattata Serie A. Molti matches incerti, altalene di risultati, grande intensità, sostanziale equilibrio. Inutile negarlo: televisivamente parlando, il calcio italiano paga soprattutto (più che la modestia tecnica degli attori, comparativamente però relativa) la sua triste cornice: stadi semi-deserti o devastati (vedi il Sant'Elia), in gran parte ostaggio del 'clima' creato dagli ultras. Ma vi sono eccezioni alla regola, così ieri all'Olimpico si è visto football di ottimo livello, a ritmi molto alti, fasi dense di incertezza e di emozioni. Roma contro Fiorentina è un buon ensemble in partenza, una jam session in cui già sai che spiccheranno gli assoli di Gervinho e Cuadrado, le finezze di Pjanić e Borja Valero, o le improvvise folgorazioni di Pepito. E' stata una partita di estrema bellezza e notevole spessore tecnico, meritatamente vinta dalla Lupa, ancora priva del suo totem ma che ha ritrovato meccanismi e velocità che l'avevano resa irresistibile nella prima parte del torneo. E' davvero l'unica alternativa alla Juventus, non ha ancora subito sconfitte, vanta una difesa difficilmente superabile (a differenza di quella napoletana, ripetutamente perforata negli ultimi turni), e in più (come si suol dire) non gioca le coppe. Può travolgerla solo la pressione ambientale, un entusiasmo sopra le righe che è solito evolvere rapidamente in depressione. Per ora, godiamoci l'esistenza di una competizione vera.


Mans

6 dicembre 2013

Il girone della notte dei tempi

Cinque titoli mondiali (Brasile) nel girone A. Un mondiale e tre europei (Spagna e Olanda) nel girone B. Un europeo nel C (Grecia). Sette titoli mondiali e uno europeo (Uruguay, Italia, Inghilterra) nel girone D. Un mondiale e un europeo nel girone E (Francia). Due mondiali (Argentina) nel girone F. Tre mondiali e tre europei (tutti tedeschi) nel girone G. Nulla nel girone H. A occhio, il girone della morte - in senso metaforico e in senso medico, poiché si giocherà nel nord del paese, a temperature e soprattutto tassi di umidità bestiali - è quello con italiani, inglesi, uruguagi. La storia antica del football, la tradizione più risalente. Il girone della notte dei tempi.

Commentare un sorteggio è sempre arduo, e rischioso azzardare pronostici. Tentazioni politico-dietrologiche difficili da tenere a bada. Limitiamoci a minime considerazioni di pura logica pedatoria. Certamente, la prima fase offrirà alcune sfide di livello e prestigio: Spagna-Olanda, il trittico delle antiche madri, Germania-Portogallo, forse Belgio-Russia, sarà da vedere quante decisive per la qualificazione. Ma ci dovremo sorbire una quantità micidiale di partite inutili (in una classifica degli orrori, metterei al primo posto Grecia-Giappone; ma anche Algeria-Corea non scherza, e in fondo nemmeno Honduras-Messico). Guarderemo con curiosità le espressioni di Blatter e Roi Michel in Francia-Svizzera (ben gli sta: certo, la Svizzera testa di serie a un mundial è cosa che non verrà dimenticata). Per ora, nulla ci solleva dal rimpianto per i mondiali a sedici squadre, e poi subito eliminazione diretta, come a Mexico '70, il torneo che rimane insuperabile (per fascino ed emozioni) nella memoria di tutti coloro che vi poterono assistere. E non è solo nostalgia.

Mans

4 dicembre 2013

La Cattedrale alla periferia del villaggio

Cartoline di stagione: 16° turno 2013/2014

1° dicembre 2013, Estadio de San Mamés, Bilbao
I baldi 
Lehoiak hanno appena azzannato la preda amazzonica
La cartolina di questo turno pedatorio europeo giunge dall'Estadio de San Mamés di Bilbao [card]. Per due motivi, uno contingente (si constata la prima sconfitta stagionale del Barça in Liga) l'altro di lungo periodo (l'abbandono de La Catedral per uno stadio nuovo e anonimo).

Domenica sera la capolista ha perso meritatamente in terra basca di fronte a una squadra che del Loco Bielsa ancora conserva memoria nell'idea di un gioco giocato, con pressing alto, nell'organizzazione che le ha dato ora Ernesto Valverde. L'Athletic ha giocato bene le sue carte nonostante in rosa annoveri veramente un finto centravanti, l'improbabile Gaizka Toquero, un generoso quadrupede incapace di inquadrare la porta sia con le corna sia con i ferri da stiro. A risolvere il match ci hanno pensato i giovani gioielli di casa Ibai Gómez, Markel Susaeta, Andoni Iraola, Ander Iturraspe, e il "bambino" Iker Muniain, che seguiamo con simpatia dalla bella cavalcata in Europa League del 2012 [vedi]. Quanto ai catalani non c'è molto da aggiungere al già detto: la squadra non è più quella dei tempi gloriosi del Pep, attraversa un inevitabile ricambio generazionale tra i vecchi campioni e i nuovi che ancora devono dimostrare di esserlo, con le alee del mercato (l'infelice Song per tutti), ed è soprattutto discontinua, alternando momenti altissimi (ce lo siamo tutti dimenticati il secondo tempo del clasíco di appena un mese fa?) a fasi disordinate, soprattutto quando cala di ritmo. Aggiungiamo poi l'inevitabile flessione in corso di stagione e l'assenza di Messi e i conti tornano. Il tiki-taka, il Tata e Neymar li lasciamo agli argomenti della critica beota.

Invece, parliamo dello stadio. Se Rudi García pretendeva di aver rimesso la chiesa al centro del villaggio i baschi hanno spostato la Cattedrale dal centro della propria storia. Con un investimento da Spagna finanziariamente ed edilizialmente ruggente, da anni 2000s, l'Athletic Club ha deciso di distruggere il vecchio, suggestivo, unico, San Mamés, centenario teatro di tante battaglie (1913-2013 [vedi Panenka]), dove si venerava in tribuna centrale la statua del Pichichi (Rafael Moreno Aranzadi, capocannoniere eponimo della Liga [vedi]), per trasferirsi lì accanto in un nuovo, comodo, anonimo stadio. Sembra di essere a Leopoli o a Salisburgo ... Totale perdita di fascino e di tradizione. Lo chiamano calcio moderno, polifunzionale, vettore di fatturato. Nel secolo scorso gli stadi costituivano dei "luoghi unici" nella trama urbanistica delle vecchie città europee, dei santuari che vivevano solo il giorno della partita e dormivano immoti e monumentali negli altri giorni. Nel nuovo secolo gli stadi sono l'ennesimo non-luogo dei tanti che imbruttiscono e avviliscono il disordine urbanistico della nostra era, tra strade mercato, svincoli autostradali, sottopassi alluvionali, cementificazioni laviche, ipermercati e mega parcheggi. Anche i Paesi Baschi si sono omologati alla vulgata della modernità, nonostante la retorica rivendicazione della propria alterità.

Azor