28 novembre 2013

Partite estenuanti nel gelo

Fettine di coppa: quinto turno 2013-14

Barbuto e agile, l'egiziano Mohamed Salah
fa esplodere il St. Jakob
In queste due serate che anticipano la chiusura del Group stage pochi erano i match con punti davvero pesanti in palio per entrambe le contendenti, e svariati gli XI ridotti a lottare nel gelo per proseguire l'avventura europea nel torneo meno nobile. Sono loro a regalare le partite migliori, quelle più incerte e spettacolari: il Viktoria Plzen al City of Manchester, l'Anderlecht soccombente in casa col disperato Benfica. Viceversa, prive di emozioni e presto consegnate alla storia (ma non alla memoria) le goleade di United e Real; soffre ma vince di largo punteggio anche Lucescu, più che altro a testimoniare il momento non brillante della pedata basca. Dopo cinque turni, solo sei posti nel tabellone degli ottavi sono già matematicamente assegnati, e qualche salvacondotto sarà distribuito nell'ultimo (10-11 dicembre) in sfide che si preannunciano tese e drammatiche: Milan-Ajax, Galatasaray-Juventus, Schalke-Basilea (a proposito: gli elvetici sono l'attuale bestia nera di Mou, avendo bissato con un gollettino in zona Cesarini il successo già ottenuto a Stamford Bridge, platonicamente vendicando le due sconfitte subite in primavera nelle semifinali di EL). Allo stato, unici (e non per caso) a punteggio pieno quelli del Bayern, a ulteriore illustrazione di un'egemonia recente ma costruita per durare, e che attinge ora il record di vittorie consecutive (dieci) nella competizione.

Paradossale, ma non imprevista, la situazione di Napoli e Juventus, comparativamente considerata. I bianconeri, in un girone di difficoltà medio-bassa, sono riusciti finalmente a raggranellare tre punti al termine di 90 minuti di noia estenuante, faticando a piegare la resistenza del Football Club Copenaghen, terzo nella Superliga danese; basterà ora non perdere a Istanbul ma, come da risalente tradizione, le difficoltà juventine in Europa compensano un comodo signoreggiare domestico. Il Ciuccio, invece, è riuscito a vincere tre partite vere nel girone della morte, ma ora dovrà probabilmente schiantare i Gunners sotto una montagna di reti per evitare il precipizio nel purgatorio dell'Europa League. Obiettivamente, l'impresa pare ardua. E' il destino delle neofite; lo stesso che, sino all'anno scorso, caratterizzava le campagne continentali del City, club irroratissimo di stelle ma penalizzato dalla propria storia e quindi dal ranking. Dal canto suo, il malinconico autunno del Milan ritrova blasone e sprazzi di classe sull'ampio rettangolo di Celtic Park. E' bastato mantenere saldi i nervi e costante la concentrazione mentale per neutralizzare le velleità degli scozzesi, il cui modo di stare in campo è invariato da decenni; Mario e Riccardino insieme (se uno si 'tranquillizza', e se l'altro mantiene voglia e brillantezza), e preferibilmente in azioni di contropiede, possono fare molto male a difese anche più attrezzate di quella celtica. Vedremo.

Di questo quinto turno restano negli occhi soprattutto alcune pennellate d'autore: ieri sera il balletto di Drogba a preparare un assist di esterno destro per Bulut, giocata degna di Pelé; la meravigliosa e fortunata (quanto sostanzialmente inutile) serpentina di Isco; le ormai consuete rifiniture di Rooney, vero hombre-orchestra del rigalleggiante United, imbattuto da un po'; martedì, una sgroppata old style di Kakà, accelerazione bruciante e shoot a girare fuori di un nulla; e naturalmente i rovesciamenti di gioco a velocità pazzesche del Borussia, capaci di mandare in apnea (e alla lunga in asfissia) qualsiasi avversario. Aubameyang e Mkhitaryan sono i nomi - non ignoti, e più difficili da scrivere che da pronunciare - dei nuovi astronauti mandati in orbita da Kloppo.

Mans

26 novembre 2013

San Siro, esterno notte

Cartoline di stagione: 15° turno 2013/2014

La cartolina di questo lungo weekend arriva da San Siro. Interno ed esterno. Sul verde prato si è visto (sabato sera) calcio monotono e per niente ispirato da parte milanista (nella norma, peraltro), sicché il vero 'spettacolo' è stato prodotto dalla curva sud. Dagli ultras. Durante e dopo il match. Nei novanta minuti si sono esibiti in un progressivo srotolamento di striscioni su cui era iscritta la loro arrabbiatura. Il crescendo testuale fu notevole, e la chiusura annunciava appunto la continuazione del discorso fuori dallo stadio (vedi foto). Da notare che, a inizio di serata, era stato esposto un messaggio di saluto equivocato: "Grande uomo, amico vero, bentornato Luca, nostro condottiero". Si pensava fosse rivolto a Luca Antonini, onesto pedatore oggi militante nel Grifone ma con recente passato in rossonero. Si sa, le curve adoperano criteri speciali nella scelta dei propri beniamini: ma nessuno si era mai accorto di quanto apprezzate fossero lassù le doti e il carisma del terzino. Infatti, non di lui si trattava ma di un leader della curva medesima, tornato in trincea dopo cinque anni di DASPO. Gli ultras onoravano verseggiando un proprio eroe: tutto qui.

Esterno di San Siro. Alcune centinaia di curvaioli fanno ciò che avevano promesso di fare, e si spostano davanti all'uscita dei garage.Cori truculenti ("Vergogna!", l'unico riferibile). Minacce (la meno preoccupante rivelava l'intenzione di tenere la squadra ferma nei sotterranei fino a mezzanotte). Poi c'è stato il noto rendez-vous tra i capi e la coppia di senatori milanisti, Kakà e Abbiati. La scena non è inedita in assoluto; lo è, però, a queste latitudini. E illustrerebbe, meglio di qualsiasi analisi, i guai di una società allo sbando e l'annunciata fine di un'epoca. Vedremo. Per ora, rumorisissimo pare il silenzio di Berlusconi, preso da altre e per lui più urgenti faccende; a quel silenzio si sovrappongono voci su futuri assetti, sul giubilamento di Galliani, sulla sostituzione di Allegri - che rimane l'unica cosa certa, sebbene sia difficile scommettere sui tempi in cui avverrà. Ma occorre anche tenere conto di come, e probabilmente a breve, inizi una nuova, caldissima campagna elettorale. Che l'ex-premier affronterà in condizioni di difficoltà estreme. E il Milan, come si sa, è da sempre uno dei suoi principali strumenti di comunicazione politica. Nuovi colpi di scena sono forse dietro l'angolo; non è detto che da quest'inferno il diavolo non esca ringalluzzito e ferocemente sghignazzante, per la gioia degli ultras.

Mans

25 novembre 2013

Match of the Year

Esattamente 60 anni fa, il 25 novembre 1953, l'Empire Stadium di Wembley ospitava quello che, per i presuntuosi sudditi della regina, andava così etichettato. In realtà, l'anno divenne presto 'secolo', prima che un altro match (Italia-Germania 4:3) meritasse uguale etichettatura. In campo a Londra, dunque, i campioni olimpici, campioni di un'Olimpiade cui non avevano partecipato nazionali 'vere' dell'occidente europeo e del continente sudamericano, contro i campioni di nulla (tutt'al più, questo sì, della British Home Championship e solo di quella) ma detentori di un primato che non cesseranno mai di rivendicare: l'invenzione del gioco. Ed eternamente imbattuti tra le mura amiche da compagini davvero 'straniere': quelle della Home Championship facevano parte della stessa grande 'famiglia' calcistica, nonché del medesimo Regno; il dominio dei Tre Leoni (seppure non incontrastato) era qui sancito dalle statistiche, ma i tabellini dicono che la Scozia aveva espugnato Wembley nella primavera del '51, bissando l'impresa del '49.
Tant'è.

Inghilterra contro Ungheria, dunque. Fu davvero una sfida memorabile, cui nessuna storia del football mancherebbe di dedicare un capitolo centrale. Un match che, col passare dei decenni, ha mantenuto intatto il suo fascino, arricchito dalla dimensione leggendaria dell'XI ungherese e dall'incessante 'outing' della critica albionica, che (a differenza dell'ultra-conservatrice Football Association) immediatamente comprese il senso e le conseguenze della cocente umiliazione inflitta dall'Aranycsapat agli uomini di Walter Winterbottom. Basterà, al riguardo, leggere le densissime pagine che al match dedica Jonathan Wilson [Inverting the pyramid, pp. 129-139 della traduzione italiana], così chiudendo il discorso:

"Certamente, quella serata di novembre, con le bandiere ammosciate nella nebbia sopra le Twin Towers, destinate queste ultime a riverberare il lavoro di Luytens a Nuova Delhi, non ci volle un grande sforzo d'immaginazione per riconoscervi la sconfitta simbolica dell'Impero".

Vai allo Speciale di Eupallog

Mans

16 novembre 2013

Monet e il falso nueve tedesco

Agonismo e concentrazione negli occhi dei giocatori ucraini;
smarrimento in quelli di Benzema
In fondo, non dispiace: proprio nel giorno in cui Raiola dichiara che Pogba - il giocatore più forte del mondo tra quelli che hanno solo vent'anni - vale un Monet, il gioiello naufraga insieme ai compagni all'Olimpiyskiy di Kiev. Varrà un Monet, ma non è che tutti si fermino incantati a guardarlo. A quelle latitudini, peraltro, di capolavori ne hanno sfornati, e di calcio ne hanno pure saputo insegnare. Certamente oggi non dispongono più (o non ancora) di fuoriclasse acclarati e acclamati, ma hanno un XI volitivo e veloce, che ieri sera ha gravemente illustrato i limiti della Francia allestita da Deschamps: manovra lenta e spuntata, nervosismo, broccaggine di ritorno nel reparto difensivo (dai fasti di Thuram all'assoluta mediocrità di Koscielny il passo è davvero lungo). Dunque non è che Raiola porti sfortuna; farebbe meglio tuttavia a cianciare dopo le partite importanti, non prima. Anche il crestato juventino, che male non aveva giocato, è infatti spazzato via dalla marea in maglia gialla nell'ultima mezzora di partita, quando il ritmo è salito vertiginosamente e lo stadio si è definitivamente incendiato. Così, ora, è possibile che alla grande esposizione di talenti del calcio mondiale prevista per la prossima estate Pogba-Monet non abbia né vetrina né ammiratori. E' capitato ad altri, in passato, anche più bravi di lui, ce ne faremo eventualmente una ragione.

Giornate istruttive, queste ultime, consacrate ai play-off per il mondiale e a una sequela di interessanti test-match. Per esempio, non deve sfuggire che due sudamericane radunatesi in Europa - Colombia e Cile, già qualificate per il Brazil - hanno inflitto altrettante batoste a Belgio e Inghilterra, cioè alla nuova e all'eterna (ma mai d'avanguardia) aristocrazia del vecchio continente.

Rivalità e inimicizia sportiva generano risse anche
quando il risultato non conta
Istruttive anche per altri versi. I colori delle divise, per esempio. Decisione FIFA: maglietta e calzoncini devono essere cromaticamente uniformi [vedi GS]. Ieri sera, al Meazza (semi-deserto), c'era Italia-Germania. Classica delle classiche, per quel che riguarda la nostra cara vecchia Europa. Azzurri tutti azzurri, teutonici tutti bianchi. I panzer, senza calzoncini neri, non sembrano più loro. Un restyling - questo non dettato però da Blatter e dall'Adidas - che coinvolge anche la forma del gioco. La Germania è folta di abatini, oggidì. Ieri sera ha giocato - chissà, forse per la prima volta nella sua storia antica e recente - senza un centravanti di fatto. Il conformista Gioacchino ha adottato il falso nueve (ieri sera l'omonimo di un centravanti tra i più archetipici della storia: Thomas Müller), e guardiolizzato la giostra. No, non sembrava Italia-Germania. Dal canto loro gli azzurri sono ora vagamente propensi al ricamo insistito, lavorìo nel quale Pirlo non ha eguali ma che risulta penalizzato dalla lentezza dei centrocampisti - Motta e Montolivo, gente di fosforo e tocco discreto, ma ci vorrebbe anche qualche fulmine di guerra. Abbiamo poi patito cialtronescamente nei disimpegni, quelli che Cesare vuole partano sempre dai difensori, regalando palloni che incredibilmente i tedeschi non hanno sfruttato.

Le amichevoli di preparazione al mundial contro la Germania sono una specie di tradizione. Gli azzurri non le vincono quasi mai. Accadde per esempio nel '65 (ad Amburgo), nel '74 (a Roma), nell'86 (ad Avellino), nel '94 (a Stoccarda). Rilevante eccezione è costituita da quella giocata a Firenze nella primavera del 2006. L'XI guidato da Lippi schiantò i rivali con un sonante quattro a uno, offrendo una dimostrazione di superiorità che di lì a qualche mese sarebbe stata ribadita in una grande serata al Westfalenstadion. A occhio, sembrerebbe che le premesse siano oggi più vicine a quelle degli anni in cui questa amichevole i nostri l'hanno persa o - come ieri sera - pareggiata. Speriamo sia solo una falsa impressione.

Le partite:
Ucraina - Francia 2:0 - tabellinoHL
Belgio - Colombia 0:2 - HL
Inghilterra - Cile 0:2 - tabellino e HL
Italia - Germania 1:1 - tabellino | HL

Mans

11 novembre 2013

Un campione che viene dal passato

Cartoline di stagione: 14° turno 2013/2014

10 novembre 2013, Old Trafford, Manchester
Wayne Rooney in pressing sul portatore di palla avversario
Wayne Mark Rooney è l'oggetto della cartolina che arriva dall'Old Trafford [card] in questo turno di campionati europei. Non tanto la classica tra United e Arsenal, che la corsa, l'agonismo e la praticità dei Red Devils hanno risolto senza patemi di contro alla leggerezza, alla tecnica e all'eleganza dei Gunners. Quanto la magnificenza della partita giocata da Rooney: il corner perfetto per l'inzuccata solitaria di Van Persie, l'occasionissima messa a lato, e soprattutto l'esempio agonistico per tutti i suoi compagni, da vero capitano di fatto. Una prestazione a tutto campo, dal pressing continuo su difensori e attaccanti, ai falli tattici a metà campo, alle coperture difensive nella propria area, alle aperture nelle ripartenze. Il nostro non è nuovo a queste prestazioni "totali", ma certo quella di domenica 10 novembre ne ha costituito una sorta di summa.

E allora non può non sovvenire una sovrapposizione memoriale. Wayne viene da lontano, infatti. Da un passato ancestrale del calcio della prima età moderna. Non è solo un giocatore "eclettico" - nella accezione sacchiana - cioè capace di giocare in ogni ruolo (e, in porta, sarebbe magari capace di parare anche i rigori, con quella reattività muscolare che ne corrobora la complessione compatta, taurina). E' anche un giocatore "totale", capace cioè di giocare più ruoli nella stessa partita, scardinando con la sua mobilità il rigore tattico che affligge il calcio di oggi, vittima di schemi e orfano di fantasia. Immaginiamocelo nell'Ungheria del 1954 o nell'Olanda 1974. Non solo non vi avrebbe sfigurato, ma probabilmente ne sarebbe stato uno dei grandi protagonisti. Più di quanto non lo sia nella modesta Inghilterra di questi anni. Rooney è un giocatore totale per squadre che giocano il calcio totale: e oggi ce ne sono davvero pochissime. Più che il Chelsea dove lo voleva Mourinho è nel Bayern di Guardiola che farebbe sfracelli, là in mezzo tra Robben e Ribery ...

Azor

7 novembre 2013

Dure salite e cupi orizzonti

Fettine di coppa: quarto mercoledì 2013-2014

6 novembre 2013, Dortmund
Aaron Ramsey, gallese, giocatore-chiave dell'XI di Wenger
in questo avvio di stagione, fredda i bollori del Westfalenstadion
inzuccando l'unico pallone della serata destinato a scuotere la rete
Tutto il mondo è paese, quando lo strapaese affiora o riaffiora, e quindi non c'è da stupirsi se al Westfalenstadion il pallidissimo Mesut Özil è stato trattato quasi (quasi) come un CR qualsiasi a Torino l'altra sera. La sua colpa specifica? Non certo d'essere turco; ma giocava, tempo fa, nello Schalke. Come l'altra sera, fischi e contumelie hanno portato male, e così i Gunners tornano dalla Ruhr con tre punti in saccoccia che hanno l'effetto di danneggiare anche il Napoli, costretto a trascorrere a sua volta indenne una serata in quell'inferno o a goleare i londinesi al San Paolo tra un mese. Il girone è complicato, perché il Borussia è comunque davanti all'Arsenal in caso di arrivo alla pari, e dunque nessuno potrà fare conti, né sconti a nessuno.

Un'onorevole (di questi tempi) sconfitta del Milan a Camp Nou ha consentito di 'misurare' la temperatura del rapporto tra BB e Galliani, fianco a fianco in tribuna e sistematicamente inquadrati dalle telecamere. Di solito il ragioniere guarda le partite insieme a suo figlio; stavolta (probabilmente per ragioni comunicativo-iconografiche, cioè aziendali) l'ha vista da solo, senza scambiare mai una parola con la figlia del padrone. Le telecamere avevano indugiato, nel pre-partita, anche su un lungo e fitto colloquio tra BB, Pippo Inzaghi e Filippo Galli (purtroppo, BB era ripresa di spalle e nessuno ha potuto leggerne il labiale), sollecitando la fantasia di tutti i guardoni che hanno a cuore (per svariati motivi) le vicende milaniste. Di questi tempi, la partita è un optional; in effetti partita non c'è stata, i rossoneri hanno speso tonnellate di energie fisiche e mentali, il Barça si è allenato nella sua bella cornice e i gol potevano anche essere il doppio o il triplo, ma tant'è. Il Milan resta in corsa, ma deve fare almeno quattro punti contro Ajax e Celtic per sbarcare agli ottavi, e nulla lascia presagire che ci riesca facilmente. Dovrà sputare l'anima. Come la Juve. Come il Napoli. Sarà, ma vedo nere nuvolastre addensarsi sull'orizzonte delle nostre, là dove si esaurisce la fase a gruppi della Champions League.

Nel tardo pomeriggio (per questioni di fuso orario) una bella partita si è giocata a San Pietroburgo. Il Porto ha cercato di asfissiare gli uomini di Spalletti nella prima mezzora, andando anche e meritatamente in vantaggio; un immediato cortocircuito difensivo ha consentito ai russi di pareggiare il conto e poi attestarsi in difesa del risultato, puntando su rapide azioni di contropiede. L'incredibile Hulk, rapinoso in occasione del pari, spreca un rigore; Arshavin entra troppo tardi ma rade al suolo in più occasioni la metà campo del Porto; fosse subentrato prima, chissà. Ora la salita, per i portoghesi, diventa durissima; per passare, dovranno espugnare la tana del Cholo, che non è tipo abituato a regalare cioccolatini. Amen.

Mans

5 novembre 2013

Il dodicesimo uomo

Fettine di coppa - quarto martedì 2013-2014

5 novembre 2013, Juventus Stadium, Torino.
Juventus-Real Madrid 2:2 (1:0)
L'incultura del pubblico che frequenta gli stadi italiani è nota ed è emersa, in tutto il suo fulgido autolesionismo, nel corso di Juventus-Real Madrid. E' stato il dodicesimo uomo, ma ha giocato per gli spagnoli. In nessuna arena europea, in partite di questo livello, un giocatore avversario è programmaticamente fischiato per novanta minuti ogni volta che è in possesso di palla - altrove è un atteggiamento riservato alle faide locali. Al Bernabéu salutarono l'uscita dal campo di Pirlo con una standing ovation; allo Juventus Stadium hanno ricambiato la cortesia accogliendo Cristiano Ronaldo come fosse il male assoluto, credendo di esorcizzarlo o (perlomeno) di innervosirlo. Impressionante la portata sonora delle bordate che scendevano dagli spalti, specie nei primi minuti, quando la sfera passava dai suoi piedi. Ma l'effetto è stato di stimolarlo - il match era di quelli da cui lui, storicamente, si astrae - e di tenerlo sempre in partita, molto più concentrato del solito, molto più 'cattivo' del solito, e in fin dei conti letale. Letale come normalmente è solo quando ha di fronte il Rayo Vallecano o il Real Saragozza.

E' un XI del quale non conosciamo ancora la vera dimensione, quello che Carletto sta faticosamente cercando di trasformare in una squadra. Viceversa, la Juve sta lentamente declinando, per usura agonistica; può ancora mettere intensità nella pressione e tenere alti i ritmi di gioco, ma in fasi sempre più frequenti e sempre più lunghe della partita intensità e ritmo calano fino a spegnersi del tutto o quasi, e diventa palese la modestia tecnica di alcuni interpreti - il disimpegno che è costato il pari all'inizio del secondo tempo è al riguardo illuminante. La differenza tra questa Juve e - per dire - quella che schiantò il Chelsea un anno fa di questi tempi è molta. Può ancora qualificarsi per gli ottavi, ma è difficile immaginare possa far meglio della stagione scorsa. Dagli altri campi, poco di rilevante. Rimane in stand-by il girone A, grazie ai pareggi esterni (a reti bianche) di United e Leverkusen; va invece segnalata la sconfitta del Benfica in terra greca, proprio il giorno in cui CR scavalca Eusebio nella fasulla classifica all times dei marcatori di coppa. Per il Portugal, il rischio di non portare almeno una squadra agli ottavi è ora altissimo.

Mans

4 novembre 2013

Un mistero agonistico

Cartoline di stagione: 13° turno 2013/2014

2 novembre 2013, Emirates Stadium, Londra
Daniel Sturridge spaventa l'incerta difesa dei Gunners
Cartolina dall'Emirates Stadium [card], per la partita di cartello del week end non solo inglese, che ci invita a contemplare uno dei "misteri agonistici" di questi anni, per dirla con Gianni Brera. Vale a dire la mirabolante penuria di trofei di una squadra capace di vincere partite anche importanti mostrando spesso un bellissimo calcio: si parla ovviamente dell'Arsenal di Arsène Wenger. Un bravo allenatore di giovani talenti ma dal palmarès non comparabile non solo con quelli dei Ferguson e dei Capello ma nemmeno con quelli dei Benitez o dei Simeone [vedi la VQA]. Anche sabato pomeriggio l'Arsenal si è prodotto in una gran partita, svelando il passo che ancora separa il Liverpool di Rodgers, che pure è cultore del gioco giocato, dal livello su cui veleggiano da anni i Gunners.

Riavvolgiamo un attimo il nastro. Da quando Wenger è il manager (cioè fa il mercato), e sono 18 stagioni, l'Arsenal ha vinto 3 Premier, 4 FA Cup e 4 Charity Shields (tutti concentrati tra 1998 e 2005) e giocato solo una finale europea (persa col Barcellona nel 2006). Tutti abbiamo però nella memoria alcune bellissime partite, non solo di campionato, ma anche in Europa: tra le tante, quelle contro il Real, il Barça, e l'anno scorso col Bayern. In quelle occasioni, come anche quest'anno col Napoli e in alcune partite Premier, come la stessa del week end contro il Liverpool, la squadra ha mostrato un gioco di "flusso" di alto livello estetico. Eppure, permane una sensazione di fondo di incompiutezza: belli ma non vincenti. Vedremo se quest'anno l'innesto di Mesut Özil e la fioritura di Aaron Ramsey saranno in grado di dare quel tocco in più di continuità nell'estro e nella forza a un organico giovane e di qualità ma senza veri campioni. Che intanto si gode la testa con 5 punti sulle inseguitrici, ma che deve ancora incontrare le favorite ai nastri: le mancuniane e il Chelsea.

Azor

2 novembre 2013

Gli intrusi

I giocatori del Wolfsburg alzano il Meisterschale nel maggio di quattro anni fa
I campionati continentali maggiori hanno passato il primo quarto di stagione ed è possibile cominciare a tirare qualche considerazione non fondata sull'estemporaneità. Le linee di tendenza sono tracciate, e non sono piacevoli. Commentando gli esiti delle supercoppe agostane avevo preso atto del preoccupante dominio dei super club - che dal 2009 appare drammaticamente irreversibile [vedi] - e che purtroppo l'avvio dei tornei nazionali ha confermato nelle sue linee di fondo. Monsieur de Lapalisse constaterebbe a sua volta l'ovvietà di tale osservazione. C'è però un problema: se la accettiamo possiamo allora anche disinteressarci degli esiti agonistici dei campionati, tanto essi appaiono scontati, ridotti come sono a questione riservata a un paio, massimo tre, club di élite finanziaria. Il modello scozzese si è ormai imposto alle leghe maggiori.

Intendo dire, potremo assistere nei prossimi anni a vittorie come quelle del Valencia (2004 e 2002) o del Deportivo (2000)? Del Wolfsbrug (2009), Stoccarda (2007) o del Werder Brema (2004)? Della Roma (2001) o della Lazio (2000)? Del Montpellier (2012), Lilla (2011), Marsiglia (2010) o Bordeaux (2009)? Dello stesso Arsenal (2002)? Si noti: non sto parlando del Novecento, ma del calcio che abbiamo vissuto nel primo decennio di questo secolo. Il dramma degli anni dieci è che questi scenari sembrano ormai preclusi, tramontati. E, con essi, il fascino delle competizioni nazionali, al di là di quello offerto potenzialmente dalle singole partite. Non è un caso che l'unica competizione seduttiva sia rimasta la Champions League, grazie soprattutto alle eliminazioni dirette da febbraio a maggio.

Il presidente del Montpellier Hérault Sport Club, Louis Nicollin,
festeggia il titolo della Ligue 1 lo scorso anno
Detta in altri termini: è la "classe media" che è entrata in crisi, economica e, conseguentemente, di aspettative. Guardiamo alle classifiche attuali. In Spagna sembrano ormai poter lottare per il titolo solo il Barcellona, l'Atletico e il Real Madrid; in Germania Bayern, Borussia Dortmund e Bayer Leverkusen; in Italia Roma, Napoli e Juventus; in Francia PSG, Monaco e Lille; in Inghilterra Arsenal, Chelsea e Liverpool. Solo per la Premier, la più equilibrata al momento, si possono ipotizzare inserimenti di due altri club, quelli di Manchester, ancora impegnati in laboriosi ricambi manageriali. Si tratta di una quindicina di squadre, che comprendono tutti i superclub per fatturato.

Non resta dunque che sperare negli "intrusi": l'Atletico del Cholo, il Bayer di Sami Hyypiä, la Roma di Garcia, il Lille di René Girard. Se vogliamo concedere qualcosa, anche il Napoli di Rafa Benitez o il Liverpool riportato in alto da Brendan Rodgers. E' questa l'attuale classe media, pur affluente, del calcio europeo, cui appartengono, in altri paesi, club come il Porto, il Benfica, lo Zenith, il Galatasary. I magnati sono invece gli altri, ormai. A un gradino sotto stanno altri club agiati ma non facoltosi: il Tottenham e il Southampton, oppure la Fiorentina, l'Inter e lo stesso Milan. E anche, in altri paesi, realtà come Ajax, Standard Liegi, Anderlecht, CSKA, etc.

Le gerarchie sono sempre più cristallizzate, con margini sempre più esigui per quella "mobilità sociale" che aveva fatto grande il calcio europeo del secondo dopoguerra. La tendenza viene da lontano, dall'affermazione del formato Premier e Champions League, dall'invasione dell'Ultracalcio come la ha bene analizzata, tra gli altri, Pippo Russo [vedi]. Ma dal 2009 - da quando l'allora sconosciuto sceicco Khaldoon Al Mubarak offrì più di 100 milioni a Silvio Berlusconi per l'acquisto di Kakà - si assiste a un'accelerazione drammatica, per molti aspetti, sui quali magari torneremo in un altro momento.

Azor

1 novembre 2013

Vedi Napule ...

Cartoline di stagione: 12° turno 2013/2014

30 ottobre 2013, Stadio comunale "Artemio Franchi", Firenze
José María Callejón Bueno schiaccia in rete un assist volante del Pipita
E' quasi un telegramma quello che arriva dall'"Artemio Franchi" di Firenze [card] in questo turno infrasettimanale. Ci segnala semplicemente - mentre la cacofonia mediatica e dei tifosi si sofferma al solito sui rigori dati e negati - la grande partita del Napoli di don Rafael, forse la migliore finora in campionato. E' così che si vincono i titoli alla fine, con partite essenziali, tre tiri, due gol, impermeabilità difensiva: la Fiorentina ha tirato solo tre volte in porta (un palo, un rimpallo per Borja, ipnotizzato da Reina, e un bellissimo sinistro di Pepito su cui il portiere del Napoli ha marcato la differenza). Per il resto, rigore tattico, concentrazione continua, doppia fase (come ormai si suol dire) di tutti, a cominciare da Higuain e dai piccoletti che sfrecciano ai suoi lati.

A Firenze Benitez ha trovato quella compattezza di assetto, quella solidità difensiva, che finora si erano viste solo a tratti. Davanti poi ci pensa Higuain, nell'occasione in versione assistman: meravigliosa la trivellata di prima per Callejon in occasione del gol. La mano di Rafa si comincia a vedere nella disposizione in campo, nell'ordinata occupazione degli spazi, nella rotazione dei giocatori (con nonchalance ha fatto entrare negli ultimi 20 minuti un Hamsik e un Insigne per Higuain e Mertens ...). I pericoli a questo punto possono venire solo dai cali di concentrazione e dagli infortuni. E da avversari più forti.

Azor