1 luglio 2013

Bentornato Futebol

Torres!
Il 29 giugno 2008, alle 21.20 - finale Euro 2008, Spagna-Germania, gol di Torres - cominciava per il Calcio una nuova era. Due anni prima una nazionale italiana di gran qualità, poca intraprendenza e qualche scheletro nell'armadio aveva vinto rocambolescamente il Mondiale, sconfiggendo nella finalissima berlinese una selezione transalpina parimenti meritevole: in quello scontro estremo erano andati in scena i penultimi battiti d'ala di esperienze internazionali pluriennali di primo piano, all'insegna del talento, dell'imprevedibilità, del successo (Zidane, Totti, Vieira, Del Piero, Trezeguet, Inzaghi, etc.). All'Ernst-Happel-Stadion di Vienna Luis Aragonés, el sabio de Hortaleza, imponeva nell'alveo del calcio che conta uno stile di gioco accattivante ed efficace, basato su possesso palla e rapidità, e regalava ai patriottici (?) Spagnoli l'immensa gioia del trionfo - tanto anelato, dopo 44 anni di siccità - inseguito al grido martellante di Juntos podemos ("insieme possiamo").

29 giugno 2008, Ernst-Happel-Stadion, Vienna.
L’inizio: il Triumphus di Luis Aragonés
Ma fu davvero "saggio" Aragonés? Curiosa l'origine dell'epiteto: in famiglia, il sabio in realtà era Matías, fratello maggiore prematuramente scomparso, così definito semplicemente perché spesso deambulava per il barrio madrileño di Hortaleza con un libro in mano, il che fa sospettare che la lettura non fosse tra le pratiche più consuete nelle periferie della España profunda degli anni Cinquanta. In seguito il soprannome passò al più giovane e celebre Luis, che per la sua andatura pesante e singolare viene ancor oggi chiamato Zapatones ("scarponi"). Al di là degli appellativi, l'edificio tattico aragonésiano era gradevole al palato dell'appassionato non tanto per le doti inventive del ct, quanto perché risultante dall'applicazione e aderenza al modello del Barça. Insomma, Luis non ebbe né un bel soprannome, né un bel gioco suo.

Nel frattempo, però, il regresso del club culé si è evidenziato nelle ultime partecipazioni alle competizioni che contano. Non tanto nell'episodica interruzione del regno incontrastato della soporifera Liga (vinta comunque nel 2008/2009, 2010/2011 e 2012/2013) per merito di un Real Madrid meno talentuoso e sgargiante ma decisamente più pratico - in puro stile Mou -, spesso superiore anche in Copa del Rey, quanto per i segnali d'allarme lanciati sui fastosi scenari della Champions League, conquistata dal Barça nel 2006 (ai tempi di Ronaldinho ed Eto'o), 2009 (Eto'o e Henry) e 2011. Un breve riepilogo: nel 2010, la dura lezione impartita dall'Inter del triplete in semifinale; nel 2012, la trappola di un Chelsea abbottonato e spietato; nel 2013, il baño bavarese. Nel corso degli anni, sono stati sviluppati gli anticorpi per un gioco già in involuzione, che gradualmente ha perso brillantezza e rapidità per ripiegarsi su un possesso palla prolungato all'estremo fino a scontrarsi con la sterilità, fraseggi rinculati e rarissime verticalizzazioni, tutte affidate al talentuoso trust Xavi-Iniesta-Messi. Come veri e propri antidoti al tiqui taca, si sono avvicendati una pressione asfissiante, catenaccio e contropiede, sfida sul possesso palla, ritmo vertiginoso e ricerca della verticalità: le ricette per la cura sono plurime e tutte a loro modo efficaci.

Il gioco della Roja ha seguito, passo dopo passo, questo declino, parzialmente mascherato da successi meritatissimi, ma in gran parte riconducibili alla pochezza o alla pavidità reverenziale degli avversari. Il dibattito su doble pivote e falso 9 sono elucubrazioni atte ad eludere il tema di fondo, ossia un atteggiamento sempre meno spavaldo ma sinora confortato da risultati, primati e letargie sempre più diffuse sulle tribune e di fronte ai televisori. Qualche noiosa statistica lungo il cammino Euro 2008-Mondiale 2010-Euro 2012: il possesso palla spagnolo passa dal 50% (2008) al 59% (2010) per giungere al 63% (2012); la media di passaggi necessari per giungere a un tentativo a rete, che nel 2008 era già piuttosto alta (33), giunge a 44 nel 2010 e a 58 nel 2012.

30 giugno 2013, Estadio do Maracana, Rio de Janeiro 
Xavi e Torres a testa bassa. La fine?
Pochi giorni fa, in dichiarazioni volutamente provocatorie prima della finale della Confederation Cup, Scolari vaticinava l'imminente fine dell'era spagnola. Felipão sfidava e sbruffoneggiava, ma non mentiva: la progressiva perdita di ritmo del gioco iberico ha traghettato la Roja al punto più basso della parabola, sino a mostrare il fianco già intravisto in Euro 2012 (con l'Italia nel girone e con il Portogallo in semifinale) e definitivamente scoperto in quest'ultima competizione (con la Nigeria e nuovamente con una modesta e timorosa Italia). Scolari, Neymar, Fred, Hulk, David Luiz, Marcelo & C., nel momento in cui la Seleçao palesa il peggior indice tecnico della storia calcistica carioca, mettono in campo una miscela di solidità teutonica, garra argentina e rapidità britannica per sbaragliare il fútbol sotto ritmo spagnolo. Il risultato, al di là del trionfo in patria, è notevole: è lo stimolo, in vista del mondiale dell'anno venturo, ad una nuova proposta di calcio per i campioni del mondo in carica e per gli sfidanti.

Duca