Béla Guttmann: a parte il look, uno dei totem di José Mourinho |
"Il terzo anno è fatale", ammonì Guttmann, che cercò quasi sempre di evitare di ritrovarsi a fare i conti con il calo della soglia motivazionale dei giocatori, della loro capacità di concentrarsi ulteriormente su obiettivi vincenti (la famosa "fame" nella vulgata mediatica, variante del più compassato "imborghesimento"), della sicurezza nella leadership dell'allenatore. Tanto più ciò vale per gli allenatori che puntano, prima che sul gioco, sul lavoro sul sistema nervoso dei giocatori.
Come tutti, Mourinho ha costruito la propria carriera sulle occasioni e dunque non è per progetto personale, ma per le offerte ricevute in virtù dei risultati conseguiti, che è rimasto solo due anni al Porto e all'Inter, dove ha finora conquistato i suoi maggiori successi internazionali. A Londra e a Madrid ha prolungato invece la sua esperienza. Col Chelsea consumò intensamente il proprio rapporto con l'ambiente e con i giocatori tra il primo e il secondo anno per poi andare incontro a una stagione fallimentare. Col Real, dove nella seconda stagione ha probabilmente intaccato le estreme riserve di energie nervose dei giocatori per riuscire a spezzare l'egemonia culturale del Barcellona di Guardiola, ha appena avviato la terza annata con i peggiori risultati in carriera: 3 sconfitte, 1 pareggio e 3 sole vittorie (due delle quali, col Barça in Supercopa e col City in Champions, là dove la posta in palio ha fatto necessariamente alzare la soglia nervosa). Quando, dopo la sconfitta col Siviglia, Mourinho ha dichiarato "non ho una squadra", "in pochi si impegnano, tanti hanno la testa altrove", "manca spirito di sacrificio, non c'è voglia di lottare", ha detto la verità.
L'allenatore neuronale |
La quaestio è dunque molto semplice nella formulazione: se sia fondata o meno l'ipotesi che vede nell'intensità del rapporto "neuronale" che Mourinho instaura con i suoi giocatori il nucleo ultimo di valore ma anche il limite strutturale della sua grandezza di allenatore. La capacità di empatia sembrerebbe risolvere la sua condizione di efficacia nello spazio di 24 mesi. Superati i quali la sua maîtrise professionale parrebbe rientrare nell'ordinarietà del mestiere, accentuata dall'assenza di un'idea originale di gioco. La stagione che è appena cominciata secondo queste declinazioni darà molte risposte. Peraltro mai definitive nel "mistero senza fine (e bello)" che è la nostra amata pedata.
Azor