19 settembre 2012

Terra incognita

Passato il mezzo del cammin della sua vita, José Mário dos Santos Mourinho Félix si sta avviando in una Terra per lui (quasi) incognita: il terzo anno nella stessa società, la terza stagione con lo stesso gruppo di giocatori. L'unica volta che ha perlustrato tale "Zona" (un luogo, innanzitutto introspettivo [vedi]) fu al Chelsea nel 2006-2007 e i risultati furono deludenti rispetto alle glorie dell'annata precedente e alle attese di Roman Abramovic. Maceratosi nei dubbi per tutta l'estate, il magnate russo lo esonerò infine il 20 settembre 2007, dopo che lo Special One aveva fallito per il terzo anno consecutivo la conquista della Champions League e avviato la nuova stagione con risultati assai deludenti.

Béla Guttmann: a parte il look, uno dei totem di José Mourinho
Mourinho, come ha scritto Arrigo Sacchi, "non possiede uno stile di gioco unico e neppure un'identità definita, ma si adatta all'avversario come un guanto alla mano". E' semmai nella capacità di "tirar fuori le risorse umane più nascoste e dare certezze e convinzioni a tutti" che l'allenatore lusitano eccelle come pochi altri nella storia del calcio. Come ha osservato finemente il maggiore dei suoi biografi, Sandro Modeo, è infatti Béla Guttmann - un anarchico individualista, ebreo errante, allenatore di straordinarie qualità psicologiche, di grandi vittorie e molti buchi neri - "uno dei modelli condizionanti" (insieme ad Harry Houdini e Artur Jorge) di José Mourinho [S. Modeo, L'alieno Mourinho, p. 29 (e p. 9 per la citazione da Sacchi)].

"Il terzo anno è fatale", ammonì Guttmann, che cercò quasi sempre di evitare di ritrovarsi a fare i conti con il calo della soglia motivazionale dei giocatori, della loro capacità di concentrarsi ulteriormente su obiettivi vincenti (la famosa "fame" nella vulgata mediatica, variante del più compassato "imborghesimento"), della sicurezza nella leadership dell'allenatore. Tanto più ciò vale per gli allenatori che puntano, prima che sul gioco, sul lavoro sul sistema nervoso dei giocatori.

Come tutti, Mourinho ha costruito la propria carriera sulle occasioni e dunque non è per progetto personale, ma per le offerte ricevute in virtù dei risultati conseguiti, che è rimasto solo due anni al Porto e all'Inter, dove ha finora conquistato i suoi maggiori successi internazionali. A Londra e a Madrid ha prolungato invece la sua esperienza. Col Chelsea consumò intensamente il proprio rapporto con l'ambiente e con i giocatori tra il primo e il secondo anno per poi andare incontro a una stagione fallimentare. Col Real, dove nella seconda stagione ha probabilmente intaccato le estreme riserve di energie nervose dei giocatori per riuscire a spezzare l'egemonia culturale del Barcellona di Guardiola, ha appena avviato la terza annata con i peggiori risultati in carriera: 3 sconfitte, 1 pareggio e 3 sole vittorie (due delle quali, col Barça in Supercopa e col City in Champions, là dove la posta in palio ha fatto necessariamente alzare la soglia nervosa). Quando, dopo la sconfitta col Siviglia, Mourinho ha dichiarato "non ho una squadra", "in pochi si impegnano, tanti hanno la testa altrove", "manca spirito di sacrificio, non c'è voglia di lottare", ha detto la verità.

L'allenatore neuronale
Una conferma indiretta della crisi del terzo anno delle squadre allenate da Mourinho viene dal logoramento e dal senso di svuotamento che anche i giocatori del Porto e dell'Inter hanno patito nella stagione successiva al suo abbandono. In Italia il fallimento della stagione nerazzurra 2010-2011 (errori di mercato, due allenatori, precoce eliminazione in Champions League e fine della striscia di scudetti vincenti) è stato prevalentemente imputato alla sua fuga a Madrid, ma probabilmente anche con lui al timone la squadra avrebbe conosciuto una flessione profonda.

La quaestio è dunque molto semplice nella formulazione: se sia fondata o meno l'ipotesi che vede nell'intensità del rapporto "neuronale" che Mourinho instaura con i suoi giocatori il nucleo ultimo di valore ma anche il limite strutturale della sua grandezza di allenatore. La capacità di empatia sembrerebbe risolvere la sua condizione di efficacia nello spazio di 24 mesi. Superati i quali la sua maîtrise professionale parrebbe rientrare nell'ordinarietà del mestiere, accentuata dall'assenza di un'idea originale di gioco. La stagione che è appena cominciata secondo queste declinazioni darà molte risposte. Peraltro mai definitive nel "mistero senza fine (e bello)" che è la nostra amata pedata.

Azor