13 luglio 2012

Les adieux

La smobilitazione dei campioni attuata dal Milan negli ultimi mesi e culminata nella vendita congiunta di Thiago Silva e Ibrahimovic al Paris Saint-Germain chiude un'epoca storica e non solo calcistica. La "discesa in campo" di Berlusconi (la seconda, dopo la mitologica guida tecnica dell'Edilnord, in cui riuscì perfino ad esonerare Marcello Dell'Utri perché troppo "catenacciaro" [fonte]) data ormai 26 anni: il tempo storico di una generazione, a tutti gli effetti. Che si conclude in maniera altrettanto spettacolare come era cominciata. Se ne sono andati, tutti insieme, a breve distanza da Kakà e Pirlo, Zambrotta, Nesta, Thiago Silva, Gattuso, Van Bommel, Aquilani, Seedorf, Inzaghi, Ibrahimovic. In pratica una formazione intera. Non ho memoria di qualcosa di analogo, di un finale di partita di questa dimensione qualitativa.

18 luglio 1986, Arena Civica, Milano
Lo sbarco della squadra dagli elicotteri per la presentazione
del Milan di Silvio Berlusconi. A condurre lo show fu Cesare Cadeo,
ma la foto svela il clima con cui fu accolto: pioggerellina, spalti non gremiti,
striscioni svolazzanti, nessuna maglietta coi colori sociali,
niente bandiere. Altri tempi: meno glamour
E' una stagione della nostra vita che si conclude. Lascio da parte le implicazioni politiche sul Caimano perché, pur non amandolo affatto, non ho mai condiviso la demonizzazione che ne ha fatto la Sinistra ossessionata. Anche i non milanisti non possono non ricordare i momenti alti e più belli di questo pezzo di storia del calcio: la rivoluzione epistemologica di Sacchi, la leggenda di Marco Van Basten, fuoriclasse come Franco Baresi e Paolo Maldini, alcune memorabili partite (la demolizione del Real Madrid, la finale di Capello ad Atene in cui uccellò il Barça guidato da Cruijff grazie anche a un capolavoro di Dejan Savićević, etc.), la grande stagione di Carletto Ancelotti con Nesta, Pirlo, Seedorf, Shevchenko, etc. Qualcosa di irripetibile. E di cui serberemo per sempre grata e ammirata memoria.

Il Milan di Mexes, Nocerino e Boateng è, indubbiamente, qualcosa che non merita nemmeno di essere comparato ai precedenti, arrivino o meno Tevez o Dzeko. Va dato merito a Berlusconi di aver cominciato con gli elicotteri e di aver chiuso il ciclo con un addio in massa altrettanto spettacolare. Uomo di spettacolo era, uomo di spettacolo rimane.

L'Europa sta impoverendosi e tornando rapidamente ai livelli di vita degli anni '70 e '80. Un ciclo depressivo che non può non toccare anche il calcio. La Premier ha debiti stellari e assisteremo a breve al crollo finanziario delle grandi squadre senza sceicchi (nei paraggi è intanto già scomparso il Rangers): il Liverpool è stato il primo a scendere le scale (tenuto su solo da quel grande allenatore che è Benitez), ora lo sta seguendo l'Arsenal e tra poco il Manchester United. Anche il Chelsea russo mostra qualche affanno. Solo il City sembra andare in senso opposto, ma vedremo per quanto ancora, perché tutto il movimento dovrà ridimensionarsi, perdendo appeal e dunque attirando meno investimenti. La Liga sta implodendo come la Spagna, Perez è in grossi guai finanziari come Berlusconi, le banche dal credito facile non erogheranno più alcun prestito, e la "legge Beckham" è stata abolita per tornare a fare pagare le tasse: in pratica non ci sarà mercato alcuno nonostante i mugugni di Mourinho. La Bundesliga sta apparentemente meglio per la riorganizzazione teutonica che si è data negli anni passati ma, come la Germania, sarà trascinata in basso (per ultima, ma lo sarà inesorabilmente) dalla crisi dell'Euro.

L'ultimo "top player" eco-sostenibile:
Gastón Ramírez, al più una bisvalida potenziale
La dico tutta: come in altri frangenti, noi stiamo dimostrando di essere un grande paese e stiamo gettando le basi per una ripartenza calcistica su nuove basi, economicamente sostenibili. Battistrada è stata la Juventus, che ha ridotto drasticamente gli stipendi (da ultimo potando anche quello di Del Piero, che pesava non tanto sui conti ma simbolicamente) e allestito una buona squadra puntando sul gioco e su giocatori italiani; lo stadio è importante, ma non è la panacea, è solo un elemento tra i molti per riavviare il ciclo su nuove basi. L'Inter, con un po' di ritardo, ha imboccato la stessa strada: si tagliano gli stipendi onerosi, perché i buchi di bilancio nascono da lì, senza guardare in faccia nessuno; la vendita di Etoo è stato il punto di non ritorno e adesso sono tutti sul mercato, a cominciare da Sneijder; si punta sui buoni giocatori e sul vivaio migliore d'Italia; ci si affida a quello che Mastro Arrigo ritiene il migliore tecnico della sua generazione; si sta per avviare la costruzione dello stadio (e, finalmente, proprio ieri anche il Parlamento della Repubblica ha battuto un colpo sulla questione). Dopo qualche rigurgito di grandeur ad uso mediatico, anche il Milan si sta avviando nella stessa direzione. La Roma degli Americani vende più che acquistare; De Laurentiis ha fatto un bel gruzzolo con Lavezzi; i Della Valle hanno chiuso la borsa e forse anche la bottega e vagheggiano la vendita di Jovetic (ma ho l'impressione che la Juve non farà movimenti oltre i 15-20 milioni, di fatto rinunciando al cosiddetto "top player" da oltre Manica: a naso direi che si fermerà a Ramirez).

Ma - attenzione - siamo i primi nell'Europa che conta ad andare a fare affari (senza l'organizzazione teutonica ma con lo spirito creativo che ci anima da tre millenni). Nessuno lo sottolinea, perché sono tutti a lamentarsi dell’“impoverimento”, ma, come sistema calcistico ci stiamo muovendo per primi con decisione e facendo un sacco di quattrini (e di risparmi): il bilancio import-export rischia di essere clamoroso a fine agosto. Stiamo vendendo nell'ultimo momento giusto, fin che ci sono ancora acquirenti. Le società che possono ancora acquistare sono pochissime (City, PSG, Anzhi, a un livello inferiore Chelsea, Malaga, Spartak Mosca [l’Inter ha rotto con Pazzini, che come tanti non ha capito il momento, quando questi ha rinunciato a 3,5 milioni per 5 anni, e 12 alla società nerazzurra]) e noi ci stiamo affrettando a vendere. Il prossimo anno, già a gennaio, potrebbe essere troppo tardi. Il mercato sarà per un bel pezzo di piccolo cabotaggio.

È dunque giusto chiedersi se il calcio che verrà sarà peggiore di quello passato. Certo, l'abbandono della scena da parte degli interpreti più qualitativi riduce la caratura tecnica. Ma la ricerca del buon calcio, del "Beautiful Game", è già in atto – sul modello spagnolo – a cominciare da Conte, Prandelli, Zeman ma anche Stramaccioni e Montella. Non c’è alternativa: rinunciare ai Pepe e puntare sui Verratti. Non potendo far arrivare da fuori i campioni occorrerà cercarli e crearli attraverso i vivai. L’Inter lo ha capito da tempo anche se poi non è altrettanto brava a tenere con sé i Bonucci, i Destro e i Faraoni. Le altre dovranno seguire l’esempio. Non per virtuosità o teutonica ponderazione, ma per necessità. Siamo probabilmente agli albori di un calcio eco-sostenibile.

Azor